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L’analisi che legge Trump quando dice: si esagera con la pandemia

Paola Peduzzi

Richard Epstein della Hoover Institution sostiene che ci sia stata una reazione esagerata a una minaccia che non è così grave come molti l’hanno presentata

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Milano. Tutti si sono accorti che la competenza, di fronte a una pandemia, è necessaria, ma ora lo scontro è tra diverse competenze: c’è esperto ed esperto. Secondo una ricostruzione del New Yorker, l’ultimo esperto cui si è affidato Donald Trump è Richard Epstein della Hoover Institution. Professore alla scuola di Legge della New York University, Epstein è un giurista libertario conosciuto negli Stati Uniti anche perché non si sottrae alle molte polemiche. Il 16 marzo, Epstein ha pubblicato un documento dal titolo “Coronavirus Perspective” che ha iniziato a circolare molto nel governo americano ed è arrivato anche allo stesso presidente che pare si sia subito affezionato all’idea: Epstein sostiene che ci sia stata una reazione esagerata a una minaccia che non è così grave come molti l’hanno presentata. Trump ha avuto fin dall’inizio la tentazione di continuare la sua strategia minimizzatrice – ha cercato di isolare il virus “cinese” chiudendo le porte anche agli europei (non tutti, all’inizio gli inglesi erano esenti) – ed è intervenuto soltanto quando i mercati hanno preso a crollare, ma sempre con l’obiettivo di trovare qualcuno su cui scaricare la colpa. Il testo di Epstein era perfetto: sosteneva che l’Organizzazione mondiale della Salute aveva esagerato con la definizione di “pandemia” e prevedeva che ci sarebbero stati 500 morti negli Stati Uniti (aveva aggiunto uno zero poco dopo, dicendo che c’era stato un errore). Il 23 marzo, Epstein ha pubblicato un nuovo documento più esplicito fin dal titolo: “Coronavirus Overreaction”. Dice: “I progressisti pensano di poter guidare la vita di ognuno di noi con una pianificazione centralizzata, ma lo stato dell’economia stabilisce una cosa differente”.

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Milano. Tutti si sono accorti che la competenza, di fronte a una pandemia, è necessaria, ma ora lo scontro è tra diverse competenze: c’è esperto ed esperto. Secondo una ricostruzione del New Yorker, l’ultimo esperto cui si è affidato Donald Trump è Richard Epstein della Hoover Institution. Professore alla scuola di Legge della New York University, Epstein è un giurista libertario conosciuto negli Stati Uniti anche perché non si sottrae alle molte polemiche. Il 16 marzo, Epstein ha pubblicato un documento dal titolo “Coronavirus Perspective” che ha iniziato a circolare molto nel governo americano ed è arrivato anche allo stesso presidente che pare si sia subito affezionato all’idea: Epstein sostiene che ci sia stata una reazione esagerata a una minaccia che non è così grave come molti l’hanno presentata. Trump ha avuto fin dall’inizio la tentazione di continuare la sua strategia minimizzatrice – ha cercato di isolare il virus “cinese” chiudendo le porte anche agli europei (non tutti, all’inizio gli inglesi erano esenti) – ed è intervenuto soltanto quando i mercati hanno preso a crollare, ma sempre con l’obiettivo di trovare qualcuno su cui scaricare la colpa. Il testo di Epstein era perfetto: sosteneva che l’Organizzazione mondiale della Salute aveva esagerato con la definizione di “pandemia” e prevedeva che ci sarebbero stati 500 morti negli Stati Uniti (aveva aggiunto uno zero poco dopo, dicendo che c’era stato un errore). Il 23 marzo, Epstein ha pubblicato un nuovo documento più esplicito fin dal titolo: “Coronavirus Overreaction”. Dice: “I progressisti pensano di poter guidare la vita di ognuno di noi con una pianificazione centralizzata, ma lo stato dell’economia stabilisce una cosa differente”.

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Secondo Epstein, la pianificazione centralizzata ha portato a un crollo dei mercati, e non servirà a salvare nessuna vita. La conversazione sul New Yorker con Isaac Chotiner (che si occupa delle interviste per la sezione “Q&A” e ha sviluppato la competenza di ascoltare le risposte dei suoi interlocutori e di ribattere) non finisce bene: il giornalista cerca di capire su quali competenze si fondano le analisi di Epstein, ed Epstein inciampa un po’. Il risultato finale, dopo qualche colpo sotto la cintola da entrambe le parti, è che le premesse del giurista hanno a che fare moltissimo con l’ideologia. Ed è esattamente quel che i democratici contestano a Trump: vuole trattare un’emergenza sanitaria come un elemento della campagna elettorale, e questo rende la risposta del governo insufficiente e pericolosa. Mentre Epstein spiegava al New Yorker com’era stato possibile dimenticare uno zero nel calcolo dei morti, i morti superavano la soglia duemila e il dottor Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases masticato dal trumpismo, la spingeva per il bilancio totale oltre quella delle 100 mila vittime. Un’esagerazione, secondo Epstein e secondo buona parte dell’Amministrazione Trump. L’ideologia non è a senso unico. Nel Regno Unito, Jeremy Corbyn, leader uscente del Labour (il 4 aprile si saprà il nome del suo successore), sostiene che la pandemia è la conferma che la sua proposta elettorale – sconfitta a dicembre – fosse quella giusta: Epstein la chiama “pianificazione centrale”, i commentatori vanno semplici con “socialismo”, e ancora una volta è materia sensibilissima di scontro elettorale. A Corbyn molti rispondono che la sua idea per la vita quotidiana – interventismo statale – va giusto bene, se va bene, per un’emergenza di proporzioni globali, ma nella retorica corbyniana il fatto che questa pandemia sia il suo riscatto è già molto presente.

 

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C’è esperto ed esperto e c’è esagerazione ed esagerazione, insomma. Quel che Epstein non dice è che il problema oggi non è tanto la chiusura quanto piuttosto l’urgenza di aprire. E’ di questo che parla anche Trump quando fa la classifica degli stati che mostrano più apprezzamento e quindi saranno trattati meglio. La competenza adatta per soddisfare questa urgenza è la visione politica, non il calcolo delle esagerazioni.

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