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L’europa chiusa in casa

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Chi riesce torna nel suo paese, ma le foto delle code a est mostrano che il passaggio “senza ostacoli” delle merci non c’è più. Cronaca di un continente “murato dentro”, e di una vendetta

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S’è chiusa in casa anche tutta l’Europa per contrastare la pandemia di coronavirus. “Si è murata dentro”, scrive il New York Times raccontando le misure prese in questi giorni dalla Commissione europea, mentre anche gli Stati Uniti annunciano: una parziale chiusura del confine con il Canada; la volontà di rifiutare le richieste d’asilo al confine con il Messico, il famoso muro tanto agognato da Donald Trump. L’unico antidoto al coronavirus conosciuto oggi è quello di evitare i contatti tra le persone, e dopo alcuni tentativi nazionali di sperimentare politiche alternative – la strategia della pandemia controllata – ora tutti scivolano più o meno rapidamente verso il lockdown. Ieri sera la cautissima cancelliera Angela Merkel ha detto che questa è la sfida “più grande dalla guerra” in cui “tutto dipende dalla nostra azione solidale”, “soltanto la distanza è l’espressione della cura per il prossimo”. La Merkel s’è mossa, la circolazione delle persone è limitata, ridotta allo zero (questo è l’obiettivo), ma Ursula von der Leyen si è premurata di dire fin da lunedì, da quando cioè s’è capito che l’Europa doveva prendere misure coordinate, che la circolazione delle merci andava “agevolata” perché restasse libera “senza ostacoli”. Si è parlato di corsie preferenziali per il transito delle merci, ma al momento dieci stati europei hanno reintrodotto controlli alle frontiere. Vale per le persone, ci finiscono dentro anche le merci: basta contare quanti camion ci sono nelle immagini delle code ai confini tra i paesi membri, basta guardare gli scaffali dei supermercati che progressivamente si svuotano, mentre iniziano a essere introdotte regole d’acquisto che stabiliscono delle priorità (comunque trovare lievito e farina per fare la pizza è diventata un’impresa a rischio ammenda). 

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S’è chiusa in casa anche tutta l’Europa per contrastare la pandemia di coronavirus. “Si è murata dentro”, scrive il New York Times raccontando le misure prese in questi giorni dalla Commissione europea, mentre anche gli Stati Uniti annunciano: una parziale chiusura del confine con il Canada; la volontà di rifiutare le richieste d’asilo al confine con il Messico, il famoso muro tanto agognato da Donald Trump. L’unico antidoto al coronavirus conosciuto oggi è quello di evitare i contatti tra le persone, e dopo alcuni tentativi nazionali di sperimentare politiche alternative – la strategia della pandemia controllata – ora tutti scivolano più o meno rapidamente verso il lockdown. Ieri sera la cautissima cancelliera Angela Merkel ha detto che questa è la sfida “più grande dalla guerra” in cui “tutto dipende dalla nostra azione solidale”, “soltanto la distanza è l’espressione della cura per il prossimo”. La Merkel s’è mossa, la circolazione delle persone è limitata, ridotta allo zero (questo è l’obiettivo), ma Ursula von der Leyen si è premurata di dire fin da lunedì, da quando cioè s’è capito che l’Europa doveva prendere misure coordinate, che la circolazione delle merci andava “agevolata” perché restasse libera “senza ostacoli”. Si è parlato di corsie preferenziali per il transito delle merci, ma al momento dieci stati europei hanno reintrodotto controlli alle frontiere. Vale per le persone, ci finiscono dentro anche le merci: basta contare quanti camion ci sono nelle immagini delle code ai confini tra i paesi membri, basta guardare gli scaffali dei supermercati che progressivamente si svuotano, mentre iniziano a essere introdotte regole d’acquisto che stabiliscono delle priorità (comunque trovare lievito e farina per fare la pizza è diventata un’impresa a rischio ammenda). 

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La Merkel dice che era dalla guerra che non c’era una sfida che dipendesse tanto dall’azione di tutti: “La distanza è cura”


 

 

La libera circolazione delle merci. Gli articoli 26 e dal 28 al 34 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabiliscono le regole della circolazione delle merci. Le note tematiche dell’Ue dicono: “La libera circolazione delle merci è garantita attraverso l’eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative e dal divieto di adottare misure di effetto equivalente. I principi di riconoscimento reciproco, l’eliminazione delle barriere fisiche e tecniche e la promozione della normalizzazione sono ulteriori elementi introdotti per portare avanti il completamento del mercato interno (…). Studi recenti indicano che i benefici derivanti dal principio della libera circolazione delle merci e dalla legislazione correlata ammontano a 386 miliardi di euro l’anno”.

 

Le code a est. Le immagini satellitari mostrano code chilometriche in snodi nevralgici in Austria, Polonia e Ungheria in particolare. I camion sono rimasti bloccati in sessanta chilometri di code sull’autostrada A4 vicino a Bautzen, in Germania, a causa della chiusura del confine con la Polonia. L’Ungheria ha aperto il suo confine a intermittenza, dando accesso a seconda della nazionalità: prima sono passati i bulgari, poi i rumeni. Ma ieri mattina dalla parte austriaca del confine, camion e auto erano fermi in code lunghe (27 chilometri per i camion, 14 per le auto), quando si è iniziato a far passare soltanto gli ungheresi. La coda al confine tra Polonia e Repubblica ceca era di 40 chilometri martedì, di 48 almeno ieri pomeriggio. Le corsie preferenziali per le merci non si riescono a creare. Ci sono tre paesi, che non fanno parte dell’area Schengen, ma che stanno creando non pochi problemi al traffico delle merci europee. Un confine critico è quello tra Romania e Bulgaria, mentre la Serbia da sabato, con un decreto, ha deciso di rendere le sue frontiere invalicabili: niente entra e niente esce. 

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Un giornale da sfogliare a Parigi, il cuore vuoto di Bruxelles (ma quanti occhi indiscreti dietro gli schermi) e la crisi adolescenziale di Berlino


 

La Polonia. A Jedrzychowice, il punto lungo la A4 in cui Germania e Polonia si incontrano, martedì gli automobilisti e i camionisti sono stati fermi per 18 ore. Si fatica a entrare, la nazione vuole imporre controlli capillari e bloccare il virus alle frontiere, ma rischia non soltanto di fermare tutta l’Europa ma anche di fermare se stessa. Questi ritardi per il momento non stanno minacciando le forniture né l’export anche se la situazione è in evoluzione continua, come ci conferma un’azienda attiva nel settore chimico. La Polonia spedisce regolarmente e i ritardi sono ancora impercettibili. Anche i beni essenziali che vengono dalla Polonia, come latte, carne e grano, riforniscono ancora i supermercati europei ma non si sa cosa potrà accadere se i blocchi dovessero peggiorare. Le merci, con difficoltà, passano. Le persone un po’ meno, Varsavia non vuole nessuno che non sia tracciabile e ha accettato soltanto lunedì di far passare un treno – soltanto passare e non fermare – che consentisse a dei cittadini lituani di tornare a casa. Anche il confine tra la Polonia e l’Ucraina era stato chiuso all’inizio delle settimana e centinaia di ucraini, che si spostano per lavoro, sono rimasti in mezzo ai due paesi per ore. La Polonia coltiva l’illusione di poter bloccare il “virus senza passaporto” alla frontiera e già lo scorso fine settimana aveva deciso di chiudersi dentro. “Siamo davanti a qualcosa senza precedenti”, ha detto il premier polacco Mateusz Morawiecki ieri mentre annunciava le nuove misure. Varsavia ha preso seriamente la questione sin dall’inizio, ha guardato la Cina e ha socchiuso la porta, ha guardato l’Italia e si è barricata. Tutti in quarantena, quelli che venivano dall’estero. Tutti in quarantena, anche il governo dopo che il ministro dell’Ambiente è risultato positivo. Tutto chiuso anche per le strade, chiuse le scuole, le università, i teatri, i cinema, già la settimana scorsa quando i contagi erano ancora limitati – ieri erano 251 e i morti 7 – il governo aveva annunciato misure rapide e anche drastiche ed è stato tra i primi paesi a chiudere i confini. Si è subito presentato un problema, la Polonia è una nazione che deve molto del suo successo economico al mercato delle merci, l’export vale più di 200 miliardi di euro, circa metà del pil polacco. Chiudendosi dentro Varsavia metterebbe a rischio la sua economia. Il ministero dei trasporti ha fatto sapere di essere pronto a collaborare con gli altri paesi per non creare nei prossimi giorni un blocco delle forniture.

 

La crisi sanitaria per il governo in quarantena rischia di trasformarsi in una crisi politica. Il governo nazionalista del PiS ha annunciato misure economiche per aiutare i liberi professionisti e gli imprenditori, 200 miliardi di zloty. “Troppo poco”, hanno risposto i polacchi. A maggio ci saranno le elezioni presidenziali, l’opposizione preme affinché vengano rinviate, non vogliono un effetto municipali francesi. 


Nei supermercati inglesi non è consentito fare scorte, al massimo due confezioni di sapone per le mani, carta igienica, farina e latte


 

Al supermercato in Inghilterra. La terza catena di supermercati più importante del Regno, Sainsbury’s, ha pubblicato ieri mattina le regole d’accesso e d’acquisto nei suoi punti vendita – nel paese che in tre giorni è passato da “salutate i vostri cari” a “chiudetevi in casa e non uscite finché non ve lo diciamo noi” (è lo stesso paese che sta introducendo una legge d’emergenza che riserva al governo grandissimi poteri per i prossimi due anni). “Abbiamo cibo a sufficienza nel nostro sistema – ha detto il direttore di Sainsbury’s Mike Coupe in una lettera ai clienti – ma dobbiamo limitarne la vendita in modo che possa restare per più tempo disponibile e possa essere accessibile a molti consumatori”. Non si possono fare riserve: massimo due confezioni di carta igienica, di sapone per le mani, di latte a lunga conservazione e di tutti i prodotti più popolari. Per gli altri, il numero massimo di articoli è di tre: saranno controllate le sporte della spesa. Sainsbury’s ha anche introdotto una “silver hour” alla mattina per gli anziani e un servizio “click and collect” per chi è in autoisolamento e può andare nel parcheggio dei punti vendita a ritirare la spesa fatta online a un orario prestabilito. Tutte le catene dei supermercati inglesi hanno pubblicato una dichiarazione congiunta: “C’è abbastanza roba per tutti, se collaboriamo tutti”. Che è un po’ la sintesi di questa pandemia: ognuno pensa di poter far da sé, di coronare il proprio sogno nazionalista, o di vedere realizzate le proprie profezie isolazioniste ma poi si ritrova a dover contare sulla collaborazione, sul buon senso e sulla responsabilità del vicino di casa – dove la casa è l’Europa tutta, compreso l’inquilino inglese che ha deciso di non pagare più l’affitto.

 

Tra i bambini in Norvegia. “Se avete paura, se questo virus vi spaventa, va bene così”, ha detto Erna Solberg, primo ministro norvegese, durante una conferenza stampa per i bambini. E’ una pratica che il governo usa spesso, cercare di spiegare le cose ai bambini, comunicare direttamente con loro affinché capiscano come si comporta il loro paese, succede anche prima delle elezioni. A settembre, in occasione di un voto locale i candidati avevano anche tenuto dibattiti per bambini, i futuri elettori. “Anche se a scuola qualcuno è stato contagiato, andrà tutto bene”, ha rassicurato la premier dalla tv. Poi è arrivato il momento delle domande, quello in cui i bambini hanno chiesto di tutto. “Posso organizzare la mia festa di compleanno?”, “Se non posso andare a scuola, posso fare i compiti con gli altri?”. Ma anche: “Come ci salveremo?”, “Chi inventerà un vaccino?”, “Cosa posso fare per aiutare?”. “State a casa”, ha risposto la premier spiegando che è l’unico modo per far davvero del bene a tutti, soprattutto a proteggere i nonni. “Andrà tutto bene”. 


Quanto è vendicativo il virus: chi lo sottovaluta viene contagiato, e poi ci sono le rese dei conti giovani-anziani e maschi-femmine 


Nell’appartamento di Parigi – di Mauro Zanon. Da martedì a mezzogiorno, la Francia è in lockdown, ma se c’è una cosa che a Parigi non si ferma mai è la produzione di belle idee e di avventure editoriali romantiche, come il nuovo progetto dell’ex direttore del Monde Éric Fottorino, cartaceo, senza pubblicità, finanziato esclusivamente dai lettori. Si chiama Légende ed è un trimestrale composto al settanta per cento da foto, e al trenta da racconti, dedicato agli eroi della nostra epoca. A un giornalismo che si smaterializza alternando schermi e algoritmi, Fottorino preferisce la carta, il bel objet, da sfogliare lentamente e sorseggiare voluttuosamente come un buon bicchiere di vino rosso. Il primo numero è dedicato a Zinédine Zidane, al più grande calciatore francese di sempre assieme a Platini, poi ci saranno Jean-Paul Gaultier, Catherine Deneuve, Roger Federer, leggende, miti moderni che hanno lasciato un segno indelebile in questo mondo. “Siamo cresciuti con loro, ci siamo emozionati con loro, abbiamo riflettuto con loro, ci siamo interrogati sulla nostra epoca grazie a loro”, ha detto Fottorino, che ha appena pubblicato “La presse est un combat de rue”, elogio appassionato della carta. L’altra bella idea è venuta all’Ina, l’Istituto nazionale dell’audiovisivo, che ha appena lanciato il suo nuovo servizio di streaming, Madelen: 13 mila contenuti, un tesoro di archivi televisivi, cinematografici, teatrali, musicali che sarà accessibile gratuitamente per il primo mese e spera di rendere meno pesante il confinamento totale della nazione. A Parigi, l’hanno già ribattezzata la risposta francese a Netflix.

 

Nell’appartamento di Bruxelles – di David Carretta. Il grande esercito dei 50 mila funzionari europei è stato inviato nelle retrovie per combattere la crisi del coronavirus. Da lunedì tutto lo staff della Commissione e dell’Europarlamento – con l’eccezione del personale che svolge funzioni essenziali – è confinato a casa. Per l’Ue che aspira a diventare un campione del mondo digitale, la prova è dura: i sistemi IT faticano, vanno a rilento e saltano. Ma la prova è ancor più seria dal punto di vista politico e legale. Addio a riunioni bilaterali e multilaterali. Il collegio dei 27 commissari ieri si è svolto in teleconferenza, anche se quasi tutti i membri della squadra von der Leyen erano nello stesso palazzo, ciascuno chiuso nel proprio ufficio davanti al computer. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha annunciato che i 27 capi di stato e di governo ormai si vedranno solo in teleconferenza. I ministri nazionali partecipano ai Consigli dell’Ue collegandosi in teleconferenza. E le trattative? E la redazione delle bozze? E l’adozione formale degli atti? E quanti occhi indiscreti sono nascosti dietro la visuale delle telecamere, a cui in teoria sarebbe vietato ascoltare le conversazioni tra i leader? L’Europarlamento è ancor più in difficoltà. Come colegislatore e autorità di bilancio deve votare su ogni proposta della Commissione. Aerei non ce ne sono praticamente più. E, anche organizzando un ponte di aerei privati, i deputati non ne vogliono sapere di andare a Bruxelles. Così il cuore dell’Ue si è svuotato degli europei.

 

Nell’appartamento di Berlino – di Daniel Mosseri. Una volta era “povera ma sexy”. Oggi è più gentrificata, meno a buon mercato ma resta un’eterna adolescente. Berlino ai tempi del Covid-19 torna a fare notizia per i suoi party. Non quelli nei club di grido internazionale, chiusi per decreto al pari delle chiese, ma i Corona-party organizzati nei grandi parchi cittadini. Feste semispontanee a base di birra e poco altro, riservate ai giovani insofferenti alle quarantene volontarie o coatte. Gesti di incoscienza notturna che mettono a rischio non tanto chi ci va, ma chi resta a casa ad aspettare il figliol prodigo. “Ieri nessun party”, ci ha rassicurato un portavoce della Polizei Berlin, “però abbiamo trovato 100 giovani che giocavano a pallone in un parco a Pankow, 60 che chiacchieravano e bevevano birra a Dahlem e altri 40 al Lietzenseepark di Charlottenburg. Li abbiamo invitati a tornare a casa ma non possiamo sapere se si siano riuniti altrove”. Berlino è enorme e molto verde, mentre la polizia è in affanno da virus. “115 colleghi sono a casa in quarantena dopo che in dodici sono risultati positivi al tampone”.

 

Con la sospensione dell’Eurovision e di Glastonbury, le nostre residue speranze di normalità sono finite. Continuiamo però a interrogarci sul carattere di questo virus, e ci viene in mente soltanto una parola: vendetta. Gran parte dei sostenitori della tesi “è meno di un’influenza” è stata contagiata. I giovani sembrano i più restii a rispettare le regole dell’isolamento, e visto che è un virus che colpisce – e uccide – soprattutto le persone più anziane, è come urlare dal balcone un eterno “ok, boomer”. E poi c’è quel dato: il virus uccide più gli uomini delle donne. E’ un regolamento di conti naturale sulla parità di genere o una grande vendetta del metoo? Aspettiamo riscontri. E magari suggerimenti, ché non sappiamo bene che farcene, di un pianeta di sole donne, senza l’Eurovision e Glastonbury poi.

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