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Quelli dell’appeasement

Giuliano da Empoli

Gli apprendisti stregoni della “pandemia controllata” stanno cambiando idea, assaliti dalla realtà. Appunti sulle strategie anticontagio e sulle conseguenze politiche del ritardo

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Questa è la versione aggiornata e riadattata per il Foglio di un articolo pubblicato sul Grand Continent, la rivista del think tank europeo Groupe d’Etudes Géopolitiques

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Questa è la versione aggiornata e riadattata per il Foglio di un articolo pubblicato sul Grand Continent, la rivista del think tank europeo Groupe d’Etudes Géopolitiques

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Il ritardo e le contraddizioni nell’adozione di misure radicali per contrastare la propagazione del coronavirus in Francia non dipendono solo da un’evidente sottovalutazione della situazione italiana e da considerazioni politiche legate alle elezioni comunali del 16 marzo.

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Dipendono da un’esitazione più fondamentale sulla strategia da adottare, che ha fatto perdere al governo francese tempo prezioso nella lotta contro la propagazione del virus.

 

Boris Johnson è stato l’unico a difenderla esplicitamente, con il suo famoso “preparatevi a dire addio ai vostri cari”, ma anche numerosi responsabili francesi hanno sostenuto a lungo la linea di lasciare che il virus si propagasse, limitandosi a rallentarne la diffusione, fino ad arrivare che almeno la metà della popolazione si infettasse, come ha ancora ripetuto domenica alla radio il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer.

 

In pratica, mentre i primi paesi che sono stati toccati dal Covid-19, a partire dalla Cina, passando per la Corea del sud, Singapore e Taiwan, fino ad arrivare all’Italia, hanno deciso, non senza esitazioni e gravi errori, di fare qualunque sforzo per arrestarne la propagazione (al costo di arrivare in alcuni casi ad una completa paralisi della vita economica e sociale), il Regno Unito, la Germania e, per alcuni giorni e in forme assai contraddittorie la Francia, hanno dato per giorni l’impressione di voler imboccare una strada diversa.

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Qui si dava per scontato che l’epidemia fosse destinata a diffondersi e si puntava solo a rallentarne la corsa in modo da renderla più sostenibile per il sistema sanitario. Ecco perché le misure di social distancing sono state adottate solo in modo parziale e talvolta contraddittorio. Ecco perché la politica di test sistematici che sta dando risultati eccellenti nei paesi asiatici non è stata adottata e in Francia ad esempio è praticamente impossibile sottoporsi a test a meno di non presentare sintomi gravi.

 

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Certo, le strategie dei tre paesi presentavano delle differenze, e il governo britannico è stato il più radicale nel rifiutare di adottare misure di prevenzione. Ma in forme diverse, Angela Merkel, Boris Johnson e Emmanuel Macron hanno tutti affermato (nel caso della cancelliera tedesca) o fatto capire che c’era da aspettarsi che milioni di loro concittadini fossero contagiati dal Covid-19 nel corso delle prossime settimane e mesi.

 

Questa linea veniva presentata come una prova di buonsenso, a fronte dell’emotività latina che avrebbe preso il sopravvento nel caso italiano, l’unica in grado di non paralizzare l’economia e di garantire una gestione ordinata della crisi.

 

A oggi, dopo il brusco revirement francese e la parziale marcia indietro di Boris Johnson, non è chiaro quanti e quali governi europei siano ancora attestati su questa linea.

In ogni caso, i presupposti – e alcune implicazioni – di questa strategia, meritano a mio avviso di essere indagati.

 

In verità nessuno può seriamente sostenere che l’epidemia non possa essere fermata. Il caso cinese e quello di diverse democrazie asiatiche dimostrano il contrario: il coronavirus si può fermare. Il punto è che Johnson, Merkel e, fino a pochi giorni fa, lo stesso Macron pensavano che il costo per farlo fosse troppo elevato per almeno quattro ordini di ragioni.

In primo luogo, in termini economici, per il rischio di una paralisi di tipo cinese o italiano.

In secondo luogo, in termini politici, perché gli europei non sono cinesi (e neppure coreani), e difficilmente accetterebbero una, sia pur temporanea, riduzione delle libertà personali come quella che potrebbe essere imposta da una politica di contrasto del virus che sia veramente efficace.

In terzo luogo perché, al contrario della Cina, i grandi stati europei possono contare su sistemi di sanità pubblica universali, in grado di mitigare l’impatto della crisi.

In quarto luogo, perché la diffusione del virus finirà col produrre una forma di immunità di gregge come accade in genere per forme virali di questo tipo quando raggiungono un certo stadio di diffusione.

Si tratta di argomenti di peso, ma se ci si ferma ad analizzarli ci si rende conto che hanno un grado di certezza decrescente.

Il primo argomento, quello economico, è il più solido. Puntare a bloccare la propagazione del virus significherebbe, a questo punto, paralizzare l’economia per un certo numero di settimane, se non di mesi. Anche se esempi come quello della Corea del sud e di Singapore dimostrano che una strategia di test sistematici può consentire di evitare un lockdown completo.

Il secondo argomento, quello politico, è già più debole. Il caso italiano dimostra che, dopo il caos dei primi giorni, anche un popolo notoriamente reticente alla disciplina collettiva può accettare una riduzione temporanea delle proprie libertà nel nome di un superiore interesse generale. La sostenibilità di lungo periodo di questa situazione resta da dimostrare – e dipenderà in parte dalle misure di accompagnamento economico che saranno messe in campo dalle autorità – ma l’evoluzione nella mentalità collettiva in corso in Italia in questi giorni è, per chi conosce il paese, a dir poco sbalorditiva.

 

Il terzo argomento, quello della capacità dei sistemi sanitari pubblici di gestire l’emergenza è la principale incognita alla quale si urta la strategia della “pandemia controllata”. I sistemi sanitari pubblici dei tre paesi in questione sono certo molto avanzati, ma solo quello tedesco si distacca dagli altri per il numero dei posti in terapia intensiva (29,2 per ogni 100 mila abitanti, a fronte degli 11,6 francesi e dei 6,6 della Gran Bretagna). Il sistema sanitario italiano presenta disparità regionali molto maggiori di quelle degli altri paesi, ma possiede nel complesso 12,5 posti per ogni 100 mila abitanti e, soprattutto, i suoi picchi di eccellenza sono concentrati proprio nella regione che è stata colpita più duramente dal coronavirus, la Lombardia. Se si prevede che milioni di persone contraggano il Covid-19 e i dati ci dicono, a oggi, che all’incirca il 5 per cento dei malati richiederà cure intensive, bisognerebbe davvero prefigurare una capacità miracolosa di monitorare e contenere questo virus altamente contagioso per immaginare che gli ospedali pubblici non siano a un certo punto debordati.

A meno che non si conti, come fanno esplicitamente Boris Johnson e il suo consigliere-ombra Dominic Cummings, sull’immunità di gregge. Che certamente esiste ma presenta contorni che la maggior parte degli epidemiologi sembra considerare a questo stadio molto incerti. Impossibile prevedere, in pratica, se e quando scatterebbe.

A fronte di questi ragionevoli dubbi, la strategia della “pandemia controllata” presenta almeno quattro certezze:

1. Si accetta l’idea che milioni di persone siano contagiate dal virus, partendo dal presupposto che i sistemi sanitari pubblici siano in grado di ridurre considerevolmente il danno, in attesa che scatti l’immunità di gregge e/o che si trovi una cura. Si accetta dunque che migliaia, forse decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di persone muoiano perché si ritiene che i costi (economici, politici, forse anche sanitari) di una strategia di contrasto radicale del coronavirus sarebbero più radicali;

 

2. Si accetta che a pagare il prezzo di questa scelta strategica siano in modo particolare alcune fasce della popolazione, più vulnerabili nei confronti della malattia: anziani e immunodepressi in primis;

 

3. Si accetta di mettere a rischio i sistemi sanitari dei paesi che, in Europa e soprattutto fuori dall’Europa, non hanno lo stesso grado di avanzamento e che molto difficilmente saranno in grado di adottare la strategia della “pandemia controllata”;

 

4. Si vanificano gli sforzi dei paesi, Italia in primis, che stanno cercando, a costo di sforzi colossali, di controllare la diffusione del virus.

 

Tutto legittimo, ma non si può non vedere che si tratta di una strategia al tempo stesso ultraliberale e completamente unilaterale. Perfettamente coerente, di conseguenza con la cultura politica di Donald Trump e di Boris Johnson. Un po’ meno, forse, con quella di Angela Merkel e di Emmanuel Macron.

Neppure la Cina, che pure non è nota per i suoi valori umanistici, ha osato portare a tal punto l’economicismo: la colossale macchina cinese ha scelto di rallentare, fin quasi a fermarsi, per diversi mesi piuttosto che infliggere una pandemia alla sua popolazione.

Le scelte che stanno compiendo in questi giorni i maggiori dirigenti politici europei si presentano sotto forma di considerazioni di carattere tecnico-scientifico mentre sono in realtà delle scelte politiche.

Inoltre, fingono di presentarsi come le scelte più ragionevoli e moderate, mentre in realtà presentano un grado elevatissimo di incertezza. Mentre il caso della Cina e degli altri paesi asiatici di mostra che, sia pure a costi molto elevati, l’epidemia può essere contenuta, nulla dimostra che i calcoli degli apprendisti stregoni della pandemia controllata siano corretti. Nulla dimostra che i sistemi sanitari dei grandi paesi europei siano in grado di curare i malati senza dover arrivare rapidamente a forme di triage da tempi di guerra, come avviene già negli ospedali italiani, nei quali i medici sono costretti a scegliere quali pazienti curare e quali no. Nulla dimostra che le opinioni pubbliche europee siano davvero pronte a sopportare una situazione del genere perché prima o poi l’immunità di gregge ci salverà e nel frattempo la macchina economica non può fermarsi.

 

Anche in Italia diverse forze politiche, di governo e di opposizione, si erano attestate sulla linea della gradualità delle misure e della preminenza della dimensione economica, prima di essere travolte dall’onda di emozione che è seguita all’aggravarsi dell’emergenza negli ospedali e alle notizie dei drammi che vi si svolgevano.

 

Cosa succederà quando le conseguenze delle scelte che i maggiori leader europei stanno facendo implicitamente in questi giorni diventeranno evidenti? Neppure loro sono in grado di affermarlo con certezza e il livello molto elevato di improvvisazione e di contraddizione che osserviamo nelle loro decisioni di questi giorni non ha nulla di rassicurante.

 

Senza considerare il rischio, assai concreto, che nel corso delle sue forsennate oscillazioni, il presidente Trump adotti la linea della guerra totale alla malattia, lasciando soli gli alfieri europei della linea dell’appeasement.

 

Certo, il momento che viviamo è difficilissimo e nessuno può pretendere di avere la verità in tasca. Anche la scelta opposta, quella di contrastare con ogni mezzo la diffusione del virus che è stata presa dai paesi più colpiti fino a oggi, non è priva di rischi e di incognite considerevoli.

Ma è imperativo che queste scelte essenziali siano messe sul tappeto e presentate per quello che sono. Scelte etiche e politiche, non scelte puramente tecniche.

 

A oggi, non è chiaro quanti e quali governi europei siano ancora attestati sulla linea della pandemia controllata. Tutto lascia pensare che la maggior parte di loro sarà costretta nei prossimi giorni ad effettuare un brusco voltafaccia com’è accaduto in Francia.

Resta il fatto che, confrontati con l’emergenza più drammatica della loro carriera, letteralmente una questione di vita o di morte, alcuni tra i maggiori leader europei hanno preso decisioni in radicale contrasto con lo spirito europeo al quale sostenevano di ispirarsi.

Speriamo che le immagini del panico che si è scatenato in Francia all’annuncio della quarantena decretata dal governo, identiche a quelle italiane di dieci giorni fa, abbiano almeno l’utilità di fargli capire che, volenti o nolenti, siamo tutti nella stessa barca.

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