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Così Singapore ha meno paura del virus

Giulia Pompili

Una città stato preparata alle epidemie. Nessun lockdown, tamponi a tappeto e investigatori del virus. L'hub finanziario che non si ferma

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Roma. Il confine tra diritto alla privacy e sicurezza pubblica è sottilissimo durante un’emergenza sanitaria. Soprattutto se parliamo di una pandemia. I sistemi che hanno funzionato e stanno funzionando, soprattutto in Asia, sono quelli che hanno a disposizione la tecnologia e anche la capacità di ottenere la collaborazione dei cittadini quando si tratta di mettere a disposizione informazioni personali. Singapore è considerata da più parti un modello da cui attingere per capire come contrastare l’epidemia. Un modello affascinante anche se di difficile applicazione generale: cinque milioni e mezzo di abitanti, un partito – il Partito Popolare d’Azione – che governa la città stato sin dalla sua indipendenza nel 1965, uno strisciante autoritarismo che combacia perfettamente con la richiesta di sicurezza sociale degli abitanti. La prosperità economica – secondo il Fondo monetario internazionale è il terzo paese al mondo per reddito pro capite – va di pari passo con un autoritarismo soft, che riguarda le regole sociali ma che garantisce la sicurezza anche in caso di drammatiche epidemie.

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Roma. Il confine tra diritto alla privacy e sicurezza pubblica è sottilissimo durante un’emergenza sanitaria. Soprattutto se parliamo di una pandemia. I sistemi che hanno funzionato e stanno funzionando, soprattutto in Asia, sono quelli che hanno a disposizione la tecnologia e anche la capacità di ottenere la collaborazione dei cittadini quando si tratta di mettere a disposizione informazioni personali. Singapore è considerata da più parti un modello da cui attingere per capire come contrastare l’epidemia. Un modello affascinante anche se di difficile applicazione generale: cinque milioni e mezzo di abitanti, un partito – il Partito Popolare d’Azione – che governa la città stato sin dalla sua indipendenza nel 1965, uno strisciante autoritarismo che combacia perfettamente con la richiesta di sicurezza sociale degli abitanti. La prosperità economica – secondo il Fondo monetario internazionale è il terzo paese al mondo per reddito pro capite – va di pari passo con un autoritarismo soft, che riguarda le regole sociali ma che garantisce la sicurezza anche in caso di drammatiche epidemie.

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Singapore, cioè uno degli hub finanziari più importanti del mondo e uno snodo cruciale della finanza internazionale, ieri registrava un totale di 226 casi di Covid-19 sin dall’inizio del contagio. Ieri è stato anche il giorno con il numero più alto registrato di nuovi contagi: ventitré, di cui 17 importati, cioè di persone che si sono contagiate all’estero. Secondo il ministero della Salute, 152 persone sono in ospedale e soltanto 14 in terapia intensiva. Il ministro dello Sviluppo economico, Lawrence Wong, ha chiesto ai cittadini di evitare i viaggi non necessari, ma ha assicurato che se la situazione resta su questi numeri non c’è bisogno di effettuare alcun lockdown, né di chiudere i confini. “Se saremo vigili, se implementiamo le nostre misure di sicurezza, non c’è bisogno di chiudere la città”.

 

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A metà febbraio Singapore sembrava un altro focolaio pericoloso fuori dalla Cina, con più di ottanta casi registrati. Oggi è uno dei pochi luoghi da cui arrivano immagini di speranza: le strade piene di persone senza mascherina, i mercati e le scuole aperte. Perfino durante il periodo di maggiore incertezza, il governo dava indicazioni di buon senso: sostenete i vostri negozianti di quartiere, magari evitate di attardarvi in giro. L’epidemia però finora è stata sotto controllo: come la piccola isola democratica di Taiwan, anche Singapore è stato uno dei primi paesi a emettere avvisi di viaggio da e per i luoghi ad alto rischio come la Cina. Ma secondo gli studi successivi, tra cui uno del Center for Communicable Disease Dynamics dell’Università di Harvard citato dal Time, il governo guidato da Lee Hsien Loong ha soprattutto applicato rigorosamente i protocolli di cui era già dotato: un test diagnostico sviluppato in brevissimo tempo, tamponi a tappeto, un sistema efficace di tracciamento dei contagiati e isolamento.

 

Sette gruppi da dieci persone, che lavorano un turno alla volta dalle otto di mattina alle dieci di sera, sette giorni su sette. Il ministero della Salute li ha assunti e resi operativi dopo il primo caso di Covid-19 registrato sul territorio nazionale. E’ il team dei tracciatori, cioè quelli che si occupano di rintracciare, isolare e fare test su tutte le persone che potrebbero essere state in contatto con un contagiato. Non soltanto i familiari più stretti, scriveva qualche giorno fa Salma Khalik sullo Straits Time, ma anche lo staff dei ristoranti dove hanno mangiato, gli autisti dei taxi che hanno preso, i negozianti dove sono stati nei 14 giorni precedenti. Un’indagine che inizia in ospedale, dove la prima intervista con il paziente la fanno i medici, e poi passa agli investigatori del ministero della Salute che hanno accesso a qualunque lista di passeggeri e qualunque dato: “La mappa è dettagliata, le 24 ore minuto per minuto, senza buchi”, ha detto Pream Raj del Centro per le malattie trasmissibili di Singapore allo Straits Time. Un altro dettaglio particolarmente efficace è che la quarantena per i casi sospetti è fiduciaria, cioè viene fatta a casa – e in un posto dove la pena se si butta una sigaretta a terra è di trecento euro, la sanzione per chi viola le disposizioni è particolarmente severa – ma al primo sintomo si viene ospedalizzati. Nel caso in cui si sviluppi effettivamente la malattia, il paziente è già curato all’insorgenza, quindi è più difficile che finisca in terapia intensiva. Finora Singapore non ha avuto un solo morto per coronavirus.

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