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Il virus e gli altri

Dàgli all’italiano, ma che cosa stanno facendo i paesi che ci stanno attorno per contenere l’epidemia? Un giro tutto europeo aspettando un coordinamento europeo

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La Germania 

 

    

Un'immagine della stazione di Monaco (foto LaPresse)

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La fiera del Libro di Lipsia? Cancellata. La fiera dei costruttori di Monaco? Cancellata, come la Fiera internazionale del Turismo di Berlino. Per ora si salva solo la Hannover Messe: la più importante esposizione in Europa dei settori industria e automazione (e già cornice di un summit fra Barack Obama e Angela Merkel) è stata rimandata da aprile a luglio. Sempre che la diffusione del coronavirus nella Repubblica federale tedesca le permetta di aprire i battenti. Perché seppure a scoppio ritardato rispetto all’Italia, anche la Germania sta vivendo la sua esplosione di casi di Covid-19, anzi di Sars-CoV-2, secondo la dicitura indicata dal Robert Koch-Institut e rispettata dai media. Per qualche settimana i tedeschi si sono sentiti più al sicuro degli altri: forse perché sono stati fra i primi in Europa a isolare il virus – e i suoi portatori – individuati nei dipendenti di un’azienda bavarese visitata a fine gennaio da una collega cinese in arrivo da Shanghai. Oppure sarà stato un sentimento di Schadenfreude, elegante espressione per dire “meglio a te che a me”. Fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, i numeri hanno dato torto agli ottimisti.

 

Ieri erano quindici i Länder con almeno un caso di coronavirus: tutti, fuorché la Sassonia-Anhalt, a est. Anche in Germania, come in Italia, i casi si moltiplicano nelle zone più produttive, là dove la rete dei trasporti è più fitta e gli spostamenti più frequenti. Dei 262 casi di corona virus, 175 sono registrati nel Nord Reno-Vestfalia, 65 nel Baden-Württemberg e 52 in Baviera. Scandita dal ministro della Salute Jens Spahn e ripetuta da televisioni e giornali, la parola d’ordine è “niente panico” perché “le conseguenze della paura possono essere molto più gravi di quelle causate dal virus stesso”, ha avvertito il ministro. Calma e sussidiarietà, è la ricetta di Spahn secondo cui “le autorità locali sono nella posizione migliore per valutare e decidere la situazione in loco”. I tedeschi, che pure hanno preso d’assalto i supermercati, non vedono con favore le misure drastiche adottate dall’Italia. Lo prova un’uscita di Hartmut Stäker, presidente dell’associazione dei pedagoghi del Brandeburgo: “Non ha senso chiudere tutte le scuole in una volta sola”. E mentre il ping-pong degli istituti che chiudono e riaprono a ritmo di tamponi rimbalza fra Francoforte e Berlino, una notizia ha infastidito i tedeschi più di altre: scoprire di essere diventati sgraditi in Israele e in Thailandia, due paesi che hanno chiuso gli aeroporti ai voli dalla Germania. (Daniel Mosseri)

 

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La Francia

 

 

Una turista in visita al Louvre (foto LaPresse)

 

La Francia, per ora, è allo stadio 2 dell’epidemia di coronavirus: “Non c’è una circolazione attiva, ci sono casi sporadici”, si legge nella guida metodologica del ministero della Salute francese, che non coinvolgono l’insieme del territorio. Tuttavia, il passaggio allo stadio 3 sembra “inevitabile”, ha detto ieri su Lci la portavoce del governo di Parigi, Sibeth Ndiaye. “Siamo di fronte a un’epidemia mondiale, non raccontiamoci menzogne: il virus non si fermerà alle nostre frontiere”, ha aggiunto la Ndiaye, riprendendo il concetto chiave espresso del presidente francese, Emmanuel Macron, durante il bilaterale di Napoli con il premier italiano Giuseppe Conte, ossia che il Covid-19 “non conosce limiti amministrativi”.

 

Parigi si sta preparando a una situazione simile a quella italiana, ma lo fa cercando di mantenere dei toni ponderati e sottolineando che l’ultima risposta spetta alla medicina, al mondo scientifico, non alla politica. “Non siamo noi a dover decidere in quale momento la Francia sarà in una tale situazione epidemica, sono i fatti scientifici”, ha spiegato la portavoce dell’esecutivo francese, sottolineando che lo stadio 3 sarà decretato quando la comunità scientifica constaterà che le “catene di trasmissione di cui non si può trovare il paziente zero sono in maggioranza”. “Attualmente, nei tre quarti dei casi, il paziente zero si trova, anche se ci sono delle regioni dove il virus circola di più rispetto ad altre”, ha aggiunto. Ieri pomeriggio, il presidente Macron ha riunito all’Eliseo una trentina di ricercatori del settore pubblico e privato impegnati nella lotta contro la diffusione del Covid-19, mentre il ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, annunciava la chiusura di centocinquanta istituti scolastici, con “35/45mila allievi coinvolti”. Per ora i focolai del contagio vengono trattati individualmente, caso per caso, “con misure specifiche”, spiega il ministero della Salute. Nel caso di passaggio allo stadio 3 dell’epidemia, invece, sarà necessaria “la piena mobilitazione del sistema sanitario in tutte le sue componenti (medici generici, ospedali e case di cura)”. L’imperativo dell’Eliseo è fornire una risposta coordinata e non disarticolata, una risposta scientifica, razionale, per rassicurare i cittadini e non provocare ondate di panico. I media, nel complesso, stanno cercando di accompagnare la gestione equilibrata dell’emergenza da parte del governo, pur tenendo alto il livello di sorveglianza, perché la situazione non va sottovalutata. (Mauro Zanon)

 


Il Regno Unito

 

 

Due persone a Piccadilly Circus (foto LaPresse) 

 

Il governo di Boris Johnson ha presentato un piano di contenimento del coronavirus definito “graduale”, in quattro fasi, se il contagio aumenta si arriverà a chiudere le scuole, a far lavorare le persone da casa, a cancellare eventi, a richiamare medici e infermiere negli ospedali. Il rischio che si debbano introdurre misure drastiche, ha detto il premier, è alto: teniamoci pronti. I pazienti positivi sono novanta, crescono molto da un giorno con l’altro, e il governo ieri ha detto che sta considerando di passare alla fase due del piano e ne darà i dettagli: per ora le misure previste sono quelle di igiene, lavarsi le mani, mantenere le distanze di sicurezza (un metro almeno). Johnson ha spiegato che si deve cercare un equilibrio tra la chiusura completa e la vita pre virus: è un punto che tutti i governi stanno cercando, ma trovarlo non è facile.

 

Ci sono i negazionisti, come l’americano Donald Trump che continua a dire – ancora mercoledì, in un’intervista su Fox News – che i dati sono esagerati, come il 3,4 per cento di tasso di mortalità detto dall’Organizzazione mondiale per la salute, e che i democratici lavorano per spargere il panico. Ci sono quelli, come noi, che adottano misure di precauzione restrittive, finendo nelle cronache internazionali come gli untori da tenere lontani. Poi ci sono i cercatori di equilibri difficilissimi. Mercoledì il consiglio di medici che lavora con il governo britannico ha detto che non avrebbe più dato informazioni sui luoghi del contagio, per evitare il panico. Ma la notizia non è stata presa bene e ieri Chris Whitty, capo del panel medico, ha dovuto cambiare di nuovo la strategia di comunicazione: daremo i dettagli, ha detto, ma con ventiquattro ore di ritardo per fare tutte le verifiche in modo accurato. L’assenza di trasparenza ha creato il panico che si voleva contenere: molti hanno deciso di tenere i figli a casa da scuola, non avendo più la certezza di essere in posti considerati sicuri. Se il governo dice tutto è considerato un propalatore di panico, se non lo dice pure. Ma Whitty ha usato anche una formula molto utile: questa epidemia non è una gara di velocità, “è una maratona”, conservate il fiato perché verrà utile. (Paola Peduzzi)

 


 

La Spagna

 

Due turisti in quarantena all'interno dell'H10 Costa Adeje Palace sull'isola di Tenerife (foto LaPresse)

 

Da qualche giorno tutta la Spagna pende dalle labbra di Fernando Simón, un epidemiologo con i capelli arruffati e gli occhi azzurri che dal 2012 è a capo del Centro di coordinazione delle allerte e delle emergenze sanitarie del ministero della Salute spagnolo. Simón era stato il fulcro di tutte le comunicazioni sanitarie ufficiali già al tempo dell’emergenza ebola in Africa, e nelle ultime settimane le sue conferenze stampa quotidiane in cui spiega l’evoluzione del coronavirus in Spagna e fornisce i dati più aggiornati sono attesissime. Simón parla in maniera pacata e rassicurante, e nella conferenza stampa di ieri ha detto che i casi nel paese sono 253, con tre persone che erano risultate positive al virus e che poi sono morte, l’ultima ieri (tutti avevano patologie pregresse). Il ministero della Salute ha designato tre livelli di emergenza da coronavirus: il contenimento, in cui il virus è presente nel paese ma non si diffonde in maniera consistente, la mitigazione, in cui alcuni focolai si espandono in maniera difficile da controllare e si comincia a prendere misure serie come le quarantene e la chiusura delle scuole, e la trasmissione generalizzata, quando ormai il virus si diffonde in tutto il paese. Il governo per ora sostiene fermamente che la situazione in Spagna è ancora da livello uno: contenimento, quindi non ci sono misure particolari da prendere, con scarse eccezioni (per esempio si è detto di giocare a porte chiuse le partite con squadre che vengono da zone a rischio, per evitare l’afflusso di tifosi per esempio italiani). La tranquillità delle autorità, ha detto Simón, deriva dal fatto che per ora in soltanto 20 casi su oltre 250 non è stato possibile risalire all’origine, e questo fa pensare che il virus non stia circolando inosservato. Il governo del socialista Pedro Sánchez per ora è stato piuttosto efficiente nel mantenere la calma, anche grazie alla centralizzazione delle comunicazioni. Ma qualche crepa comincia a farsi vedere: due giorni fa la ministra del Lavoro Yolanda Díaz ha reso pubblica una guida alla prevenzione per le imprese ed è stata massacrata dai colleghi di governo perché aveva rotto i ranghi. E a Madrid sono piuttosto preoccupati, perché quasi la metà dei casi di coronavirus è stata individuata nell’area della capitale. (Eugenio Cau)

 


 

L’Ungheria

 

 

Passeggeri in arrivo all'aeroporto di Debrecen (foto LaPresse)

 

Ieri Viktor Orbán si è presentato alla conferenza stampa della Task Force che si occupa in Ungheria di monitorare la situazione del coronavirus. Una presenza inattesa, ma era appena arrivata la notizia dei due studenti universitari positivi al Covid-19 e il premier si è presentato per tranquillizzare la nazione e per comunicare che 24 persone sono state messe in quarantena e sono stati prelevati 230 tamponi. L’attenzione è tutta sui grandi eventi, soprattutto sulla festa del 15 marzo, giorno in cui l’Ungheria commemora l’inizio della rivoluzione del 1848. Martedì, ha detto Orbán, il governo deciderà se bloccare o meno i festeggiamenti e i grandi eventi in generale, ma intanto, ha aggiunto: l’Ungheria è pronta, anche economicamente, ad affrontare la situazione. Ha chiesto a tutti gli ungheresi di comunicare se sono stati in zone a rischio, e ha detto che se serviranno misure drastiche, il governo è pronto: “Il coronavirus è una grave minaccia per la salute pubblica e per l’economia”. Per ora l’attenzione è tutta concentrata sulle università, i due iraniani, uno, studente di medicina, è dell’ateneo di Semmelweis. L’altro, studente di farmacia, è di Gödölloő. Entrambi erano stati in Iran, dove al momento sono stati registrati 3.513 casi (le morti sono 107), a fine febbraio e appena tornati hanno chiesto di fare il tampone. Le autorità ungheresi stanno cercando tutti i possibili contatti, compagni di corso, di casa, di bevute. Hanno chiesto agli studenti che hanno frequentato gli stessi corsi di rimanere a casa ma le università sono rimaste. Poi c’è la questione dei turisti. Due visitatori che hanno trascorso due giorni a Budapest per poi proseguire per la Repubblica ceca sono risultati positivi. Erano stati a Milano, a Vienna, a Budapest, a Brno e a Praga. Le autorità stanno cercando di tracciare i loro spostamenti, ma per adesso non hanno dichiarato nessuna misura in particolare. Gli ungheresi stanno lontani dal panico, le notizie che arrivano dal confine turco-greco urlano molto forti nei media rispetto all’epidemia da coronavirus. (Micol Flammini)

  


La Svizzera

 

   

L'allestimento del Salone dell'auto di Ginevra che è stato annullato a causa dell'emergenza coronavirus (foto LaPresse)

 

Le autorità svizzere hanno confermato ieri il decesso di una persona, la prima, risultata positiva al coronavirus Covid-19. Era una signora di 74 anni del canton Vaud, quello che ha come capitale Losanna. A ieri i contagi in Svizzera erano 95, e le aree con più contagi sono quella di Zurigo, con 20 casi, e quella del Canton Ticino, con 18. La piccola Svizzera è il 13esimo paese con più casi al mondo (12esimo se escludiamo la nave da crociera Diamond Princess), e il governo ha preso alcune misure straordinarie, anche se niente di paragonabile all’Italia. Nel paese non ci sono zone rosse in quarantena e le scuole sono aperte. La misura più evidente è stata la decisione di annullare tutti gli eventi che prevedono la presenza di almeno mille persone. Questo ha provocato la cancellazione del Salone dell’auto di Ginevra e di altri eventi famosi, come la fiera di orologi Baselworld. Anche tutti i grandi eventi sportivi sono stati cancellati, e alcuni cantoni hanno preso misure ancora più drastiche: a Berna sono stati vietati gli eventi con meno di 1.000 partecipanti se gli organizzatori non possono provare che nessuno è stato in zone a rischio negli ultimi 14 giorni; a Chur hanno bandito gli eventi con più di 50 partecipanti. L’Ufficio federale per la salute pubblica ha promulgato anche nuove regole per evitare il contagio nella vita quotidiana. Sono quelle che sappiamo: niente strette di mano, tossire nel gomito, lavarsi spesso le mani e se si presentano sintomi rimanere a casa e chiamare il numero apposito anziché andare dal medico. Alain Berset, ministro dell’Interno ed ex presidente della confederazione, ha detto in un’intervista al SonntagsZeitung che gli svizzeri devono smettere di salutarsi con dei baci sulla guancia – di solito i baci sono tre. Per ora i cittadini svizzeri sembrano relativamente pacati. Alcuni hanno fatto scorta ai supermercati, ma secondo un sondaggio condotto da SonntagsBlick e pubblicato il 2 marzo soltanto un cittadino su dieci ha paura di contrarre il virus. Due terzi degli intervistati sentono che la minaccia personale è bassa o nulla, e soltanto l’8 per cento ritiene che il pericolo sia grave. Nonostante questo, un quarto degli svizzeri ritiene che il coronavirus rappresenti una grave minaccia per il paese. (ec)

 


 

La Polonia

 

 

Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki (foto LaPresse)

 

L’evento più pericoloso che potrebbe mai fare da sfondo all’epidemia da coronavirus è l’allestimento di una campagna elettorale. E la Polonia è lì, alle soglie di un nuovo voto, questa volta per eleggere il futuro presidente con un’incognita: se le condizioni sanitarie della nazioni dovessero peggiorare, anche le elezioni potrebbero essere rimandate. Di coronavirus si parla moltissimo, si cerca di prevenire l’emergenza e si guarda con interesse al modello Italia che non dispiace affatto, la Polonia è tra le prime nazioni ad aver disposto la quarantena per chiunque arrivasse dalla Lombardia e dal Veneto. Per ora c’è solo un caso, un uomo che veniva dalla Germania, le persone in quarantena sono cinquecento, i tamponi effettuati invece sono 560, ha dichiarato il ministero della Salute. Ma tra chi dice di non perdere la testa e chi invece dice che la situazione è difficilissima, il governo nazionalista del PiS deve ancora svelare quali misure concrete intende adottare nel caso la situazione peggiori. Per il momento è stato approvato un disegno di legge che conferisce al governo poteri speciali per combattere il coronavirus. Pieni poteri. E l’opposizione europeista (Ko) che spera tanto di vincere le elezioni, teme che da questo momento in poi il coronavirus potrà diventare una scusa per fare qualsiasi cosa. L’emergenza ha annullato vari aspetti della campagna elettorale, si parla sempre meno di Europa, di riforma della giustizia e di libertà civili. Si parla soltanto di Covid-19, con un senso un po’ di paura. In molti aspettano di sapere cosa intende fare in concreto il governo con questi pieni poteri. Nell’attesa, si è deciso di chiudere la Fiera del libro di Poznan agli autori stranieri: ci saranno incontri soltanto con scrittori polacchi. (m.fla)

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