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Biden è il comeback grandpa e ha (almeno) quattro stelle allineate

Paola Peduzzi

L’ex vicepresidente stravince in dieci stati, riapre la gara con Sanders e rientra nel mirino di Trump. Cosa succede adesso

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Milano. Il Partito democratico americano andava in cerca di un’unità, di un sarto che sapesse rimettere insieme scampoli e stracci di un’identità tormentata creando un abito presentabile in società, e nella notte del SuperTuesday lo ha intravisto in Joe Biden. L’ex vicepresidente della stagione obamiana ha vinto le primarie in dieci dei quattordici stati al voto, compresi il Texas e la Virginia, conferme rassicuranti oltre che ricche di delegati. Bernie Sanders non è sconfitto, ha il tesoretto ambitissimo della California e la tenacia di un candidato che cerca il riscatto dal 2016, ma gli elettori democratici stanno dando un segnale sempre più preciso: Sanders non ci convince. Quando e dove vince, il senatore del Vermont non raccoglie il consenso del 2016 (esempio, il suo Vermont: 51 per cento oggi, 86 nel 2016), come se scontasse tutto il peso del “candidato inevitabile”, e soprattutto non riesce a creare la mobilitazione necessaria per allargare la base democratica, e riprendersi poi a novembre gli infatuati di Trump del 2016. I sandersiani, agguerritissimi e arrabbiatissimi, dicono che si sta ricostituendo il veto dell’establishment democratico, il “no Sanders” del 2016, il muro dei potenti contro il fascino dell’outsider: con tutta probabilità i prossimi appuntamenti elettorali saranno dominati da questo furore vittimistico, cui molti sono parecchio sensibili. Ma nei numeri si scorge che lo slancio di Sanders è ridimensionato: non si sa né di quanto né per quanto, e resta il timore di un logoramento fino all’estate.

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Milano. Il Partito democratico americano andava in cerca di un’unità, di un sarto che sapesse rimettere insieme scampoli e stracci di un’identità tormentata creando un abito presentabile in società, e nella notte del SuperTuesday lo ha intravisto in Joe Biden. L’ex vicepresidente della stagione obamiana ha vinto le primarie in dieci dei quattordici stati al voto, compresi il Texas e la Virginia, conferme rassicuranti oltre che ricche di delegati. Bernie Sanders non è sconfitto, ha il tesoretto ambitissimo della California e la tenacia di un candidato che cerca il riscatto dal 2016, ma gli elettori democratici stanno dando un segnale sempre più preciso: Sanders non ci convince. Quando e dove vince, il senatore del Vermont non raccoglie il consenso del 2016 (esempio, il suo Vermont: 51 per cento oggi, 86 nel 2016), come se scontasse tutto il peso del “candidato inevitabile”, e soprattutto non riesce a creare la mobilitazione necessaria per allargare la base democratica, e riprendersi poi a novembre gli infatuati di Trump del 2016. I sandersiani, agguerritissimi e arrabbiatissimi, dicono che si sta ricostituendo il veto dell’establishment democratico, il “no Sanders” del 2016, il muro dei potenti contro il fascino dell’outsider: con tutta probabilità i prossimi appuntamenti elettorali saranno dominati da questo furore vittimistico, cui molti sono parecchio sensibili. Ma nei numeri si scorge che lo slancio di Sanders è ridimensionato: non si sa né di quanto né per quanto, e resta il timore di un logoramento fino all’estate.

 

Biden non ha nulla di questo rancore. Per quanto si sia detto di tutto su di lui, sulla sua stanchezza e vecchiaia, sulla sua campagna asfittica della prima fase (in sintesi: Biden non ce la fa), l’ex vicepresidente ha la leggerezza del “comeback grandpa”, dice che non si è mai sentito tanto vivo, raccoglie molti soldi (100 milioni in tre giorni), consolida il suo primato nell’elettorato afroamericano (negli stati del sud ha stravinto) e soprattutto placa l’ostilità interna, allineando dalla sua parte gli ex candidati ritirati ed endorsement pesanti. Il tutto a una velocità pazzesca, quattro giorni e la corsa delle primarie è totalmente cambiata, quel che pareva inevitabile non lo è più – non solo Sanders ma anche la frattura dentro al partito. Ieri si è ritirato anche Michael Bloomberg, che dopo aver speso più di tutti i candidati messi insieme (compreso il presidente), non ha fatto alcun blitz elettorale. Ora Bloomberg sostiene Biden e se mantiene la promessa che aveva fatto per cacciare Donald Trump “whatever it takes” la sua macchina elettorale si metterà al servizio dell’ex vicepresidente. Intanto pure Trump è cambiato: all’ultimo comizio ha parlato delle facoltà mentali molto ridotte di “Sleepy Joe” e ha pubblicato un video in cui sembra che Biden confonda la moglie con la sorella. Il prossimo appuntamento è per il 10 marzo, sei stati al voto, in alcuni casi percentuali di consenso molto ravvicinate per Biden e Sanders, più di 350 delegati in palio, altre stelle che si allineano.

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