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Eliminare i contributi pubblici alle università, che hanno tradito la loro natura

Mattia Ferraresi

La proposta radicale di National Affairs

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Una lunga tradizione conservatrice che va da William Buckley a Donald Trump, passando per Allan Bloom, il filosofo che negli anni Ottanta ha denunciato la chiusura della mente americana, ha escogitato e prescritto varie forme di resistenza alle università contemporanee e all’ideologia che queste producono e iniettano nella classe dirigente americana. Buckley raccomandava agli ex studenti di non finanziare le istituzioni in cui si erano laureati – una pratica molto diffusa nei campus americani – Trump ha minacciato di togliere i finanziamenti all’università di Berkeley, rea di escludere i conservatori dai dibattiti, poi ha firmato un ordine esecutivo che vincola i finanziamenti alla ricerca al rispetto della libertà di parola nei campus. Altri hanno proposto di manifestare, boicottare, abbandonare il campo, opporre gesti di resistenza passiva all’omologazione culturale.

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Una lunga tradizione conservatrice che va da William Buckley a Donald Trump, passando per Allan Bloom, il filosofo che negli anni Ottanta ha denunciato la chiusura della mente americana, ha escogitato e prescritto varie forme di resistenza alle università contemporanee e all’ideologia che queste producono e iniettano nella classe dirigente americana. Buckley raccomandava agli ex studenti di non finanziare le istituzioni in cui si erano laureati – una pratica molto diffusa nei campus americani – Trump ha minacciato di togliere i finanziamenti all’università di Berkeley, rea di escludere i conservatori dai dibattiti, poi ha firmato un ordine esecutivo che vincola i finanziamenti alla ricerca al rispetto della libertà di parola nei campus. Altri hanno proposto di manifestare, boicottare, abbandonare il campo, opporre gesti di resistenza passiva all’omologazione culturale.

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La rivista National Affairs, che nell’ultimo numero ha dedicato diversi contributi al tema, ha superato tutto questo per approdare su lidi più radicali: le università vanno disancorate completamente dai finanziamenti pubblici. Lo stato federale non deve più erogare prestiti agli studenti per pagare le rette, l’istruzione superiore deve regolarsi esclusivamente nell’ambito dell’iniziativa privata, sostiene un saggio di Arthur Milikh, ricercatore della Heritage Foundation. Il cardine del ragionamento è in fondo elementare: nell’ultimo mezzo secolo le università americane hanno tradito la loro natura, si sono trasformate in “centri di ricerca e sviluppo della sinistra” e hanno animato la “trasformazione politica e morale della nazione, specialmente attraverso la rivoluzione sessuale e la rivoluzione della identity politics”: un’evoluzione ideologica naturalmente legittima, sostiene l’autore, ma che non è più ammissibile sia finanziata dai contribuenti. In un momento in cui l’America prende – pur timidamente – a discutere dell’estensione universale dei servizi sanitari, l’idea di chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici alle università, restringendo la base dei beneficiari di un servizio invece di allargarla, sembra incongrua e iperbolica. Ma National Affairs non è un covo di ultrà di un utopico stato minimo. È la rivista di policy a cui fa riferimento l’area più moderata e riformista del mondo conservatore, un organo rifondato dall’intellettuale Yval Levin nel 2009 e che ha raccolto l’eredità delle riviste animate da Irving Kristol, il padre del neoconservatorismo.

 

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La presa di posizione sulla questione universitaria di muove su vari livelli. Innanzitutto, ha a che fare con il tema della libertà di parola, minacciata in molti campus con metodi più o meno espliciti da un’alleanza fra amministratori e studenti radicali che marginalizzano idee giudicate lesive, pericolose e portatrici di odio. “Che la libertà di parola sia sotto attacco nelle università – scrive Milikh – non è sorprendente, dato che la libertà di pensiero, di cui la libertà di parola è espressione, è di rado intesa come uno dei suoi scopi”. Ma a un livello più profondo, l’idea di togliere i finanziamenti pubblici ai college è legata al tradimento del senso più profondo dell’università. Di quale senso si tratta? Milikh parla di coltivazione e accrescimento del “bene pubblico”, concetto che si articola secondo tre direttrici. La prima è l’educazione civica, cioè la formazione di cittadini animati da una qualche forma di attaccamento alla società e allo stato cui appartengono; la seconda è lo studio delle scienze naturali; la terza è la “conoscenza filosofica di sé”, l’orizzonte dell’educazione liberale classica. Questi tre scopi oggi sono “corrotti o in via di corruzione nella grande maggioranza delle università americane”, scrive la rivista, puntando il dito contro istituzioni che troppo spesso formano “ideologi con competenze tecniche, critici della tradizione senza profondità e scienziati senza prospettiva”.

 

Secondo National Affairs, i correttivi proposti dai conservatori negli ultimi decenni vanno abbandonati, ché la rete delle oltre tremila università americane è ormai un contesto culturale irriformabile attraverso gli strumenti convenzionali, e richiede misure estreme. Da qui, la proposta di cancellare i 40 miliardi di dollari che ogni anno lo stato federale versa per la ricerca e di trasferire alle università la responsabilità dei prestiti che ora lo stato concede con estrema facilità e a tassi agevolati, con un debito complessivo che si aggira attorno ai 1.500 miliardi di dollari. Non si tratta di boicottare, ma di invitare le università a prendersi le responsabilità di ciò che sono diventate.

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