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Per l’Europa la sfida della Brexit inizia ora. Primo obiettivo: restare uniti

Paola Peduzzi

A Bruxelles l’assenza degli inglesi fa già la differenza. “Perché tutti ci vogliono dividere?”, chiede Sassoli. I rischi futuri

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Milano. In tutti gli abbandoni, le separazioni e i divorzi, il momento più difficile è quello degli scatoloni: è quando realizzi che è davvero finita. Per questo il Brexit day – il Regno Unito è uscito ufficialmente dall’Unione europea ieri a mezzanotte – è molto più doloroso per gli europei che per gli inglesi. Nel Regno Unito non cambia ancora nulla: si entra nel periodo di transizione, si tirano giù le bandiere europee, si brinda in modo più o meno sfrontato e sguaiato, ma gli scatoloni in ingresso non ci sono. In Europa sì: gli uffici dei britannici sono stati svuotati, i parlamentari sono andati via (quelli del Brexit Party ieri suonavano le cornamuse e portavano la Union Jack “a casa”), la rappresentanza permanente inglese diventa “missione”, chi resta riceve messaggi in cui si dice di controllare gli indirizzari, di stare attenti a non fare “reply” a vecchie email. Gli inglesi ora sono “visitatori da uno stato terzo”, non partecipano più agli affari europei. Gli europei erano ventotto e ora sono ventisette: la differenza si vede già.

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Milano. In tutti gli abbandoni, le separazioni e i divorzi, il momento più difficile è quello degli scatoloni: è quando realizzi che è davvero finita. Per questo il Brexit day – il Regno Unito è uscito ufficialmente dall’Unione europea ieri a mezzanotte – è molto più doloroso per gli europei che per gli inglesi. Nel Regno Unito non cambia ancora nulla: si entra nel periodo di transizione, si tirano giù le bandiere europee, si brinda in modo più o meno sfrontato e sguaiato, ma gli scatoloni in ingresso non ci sono. In Europa sì: gli uffici dei britannici sono stati svuotati, i parlamentari sono andati via (quelli del Brexit Party ieri suonavano le cornamuse e portavano la Union Jack “a casa”), la rappresentanza permanente inglese diventa “missione”, chi resta riceve messaggi in cui si dice di controllare gli indirizzari, di stare attenti a non fare “reply” a vecchie email. Gli inglesi ora sono “visitatori da uno stato terzo”, non partecipano più agli affari europei. Gli europei erano ventotto e ora sono ventisette: la differenza si vede già.

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La seconda parte dei negoziati apre una nuova fase delle relazioni con il Regno Unito, molto più rischiosa per gli europei. Se si guarda indietro agli ultimi tre anni, spicca sempre l’unità degli europei rispetto alla Brexit: per buona parte di questo periodo turbolento, il divorzio è stato un problema più per gli inglesi che per gli europei, sono state le istituzioni britanniche a torcersi fino a quasi spezzarsi, senza trovare una maggioranza né per l’uscita né per la non uscita, a un certo punto non c’era nemmeno la maggioranza per indire nuove elezioni. L’Europa unita accettava compromessi, firmava proroghe, si spazientiva ma mai troppo. Ora cambia tutto, perché la materia in discussione d’ora in avanti – le relazioni future – è incandescente: riguarda non soltanto l’Europa, ma anche gli interessi nazionali di ogni paese membro dell’Unione, che per loro natura hanno priorità diverse. Le possibilità di scontro saranno molto più alte: l’Italia probabilmente non avrà molto da dire sulla tormentata questione della pesca, visto che delle acque territoriali britanniche non le importa granché, ma invece su sicurezza e intelligence, per dire, sarà molto più sensibile, perché il confine sud dell’Europa è il nostro. Anche i paesi europei insomma dovranno trovare l’equilibrio tra l’interesse nazionale e l’interesse europeo, e lo sappiamo già che questo punto è difficile da trovare e ancor più da mantenere, per di più quando a metterlo alla prova sarà l’ex paese membro, il primo a uscire dal gruppo. Il rischio che il Regno Unito da partner diventi competitor è elevato, per di più che dall’altra parte dell’Atlantico gli Stati Uniti non giocano più il ruolo di stabilizzatore che pur con intensità diverse hanno sempre avuto. Il Regno Unito potrebbe rimanere schiacciato tra superpotenze, ma l’Europa per la prima volta da quando è iniziato il negoziato sulla Brexit corre il pericolo di ritrovarsi disunita e litigiosa.

 

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Gli europei lo sanno benissimo. Ieri David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, ha fatto un discorso di saluto agli inglesi bello e consapevole: “Perché tutti ci vogliono dividere? – ha chiesto – Perché tutti si impegnano così tanto per dividere lo spazio europeo?”. Sassoli dice che nelle politiche nazionali alcuni “temperamenti” lavorano assieme alle forze che vogliono dividere l’Ue, “ma per quale motivo?”, chiede ancora: “Noi siamo il più importante spazio economico del mondo, ma abbiamo una fissazione: questa dimensione noi la vogliamo regolata. Perché con le regole si vive meglio e si difendono anche i più deboli. E invece, quando non ci sono regole, sono solo i più forti che prevalgono”. L’appello di Sassoli è chiaro e guarda oltre il dolore degli scatoloni del Brexit day: mentre molti dicono di lasciare la luce accesa in ingresso, magari poi gli inglesi tornano, gli europei lavorano per evitare che, alla fine, l’effetto della Brexit risulti quello sperato, non da oggi, da chi “non vuole un mondo regolato”: dividerci, noi europei.

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