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Un piano per Israele

Micol Flammini

Donald Trump fa la sua proposta per la pace in medio oriente e offre ai palestinesi denaro e uno stato

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Roma. Donald Trump ha svelato il nuovo piano di pace per il medio oriente. Durante la conferenza stampa era presente anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu che qualche ora prima che venissero rivelati i dettagli del “deal of the century” (così lo ha chiamato il presidente americano) ha rinunciato all’immunità: “Non permetterò ai miei avversari di usare questa questione per turbare la storica mossa che sto portando avanti”, ha scritto su Facebook. La storica mossa è l’accordo, il piano di pace, “la proposta più generosa che sia mai stata presentata”, scrivevano i media israeliani quando del deal si conoscevano soltanto i retroscena. Il piano, affidato al genero di Trump, Jared Kushner, generoso lo è davvero e prevede l’annessione da parte di Israele degli insediamenti della Cisgiordania e la valle del Giordano che lo stato ebraico controlla dal 1967. Il piano di 80 pagine (di cui 30 sono progetti economici per i palestinesi) assicura che Gerusalemme rimarrà la capitale indivisa dello stato ebraico ma chiede agli israeliani di fermare la costruzione di insediamenti nei territori arabi per quattro anni. I quattro anni serviranno anche ai palestinesi per costruire un proprio stato, per negoziare e per dimostrare di essere pronti a condannare il terrorismo. “Il benessere dei palestinesi ci interessa”, ha detto Trump rivelando il progetto di aiutare la costituzione di uno stato palestinese che abbia la capitale dove sorgono i quartieri arabi di Gerusalemme est, dove il presidente ha annunciato di voler aprire un’ambasciata americana, “se ci sarà l’accordo tra le parti”. Ha ribadito la costituzione di un fondo di 50 miliardi di dollari per fare in modo che i palestinesi abbiano un loro stato, con infrastrutture adeguate che sia contiguo a Israele. Secondo il progetto i territori dello stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza saranno collegati da ponti e tunnel.

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Roma. Donald Trump ha svelato il nuovo piano di pace per il medio oriente. Durante la conferenza stampa era presente anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu che qualche ora prima che venissero rivelati i dettagli del “deal of the century” (così lo ha chiamato il presidente americano) ha rinunciato all’immunità: “Non permetterò ai miei avversari di usare questa questione per turbare la storica mossa che sto portando avanti”, ha scritto su Facebook. La storica mossa è l’accordo, il piano di pace, “la proposta più generosa che sia mai stata presentata”, scrivevano i media israeliani quando del deal si conoscevano soltanto i retroscena. Il piano, affidato al genero di Trump, Jared Kushner, generoso lo è davvero e prevede l’annessione da parte di Israele degli insediamenti della Cisgiordania e la valle del Giordano che lo stato ebraico controlla dal 1967. Il piano di 80 pagine (di cui 30 sono progetti economici per i palestinesi) assicura che Gerusalemme rimarrà la capitale indivisa dello stato ebraico ma chiede agli israeliani di fermare la costruzione di insediamenti nei territori arabi per quattro anni. I quattro anni serviranno anche ai palestinesi per costruire un proprio stato, per negoziare e per dimostrare di essere pronti a condannare il terrorismo. “Il benessere dei palestinesi ci interessa”, ha detto Trump rivelando il progetto di aiutare la costituzione di uno stato palestinese che abbia la capitale dove sorgono i quartieri arabi di Gerusalemme est, dove il presidente ha annunciato di voler aprire un’ambasciata americana, “se ci sarà l’accordo tra le parti”. Ha ribadito la costituzione di un fondo di 50 miliardi di dollari per fare in modo che i palestinesi abbiano un loro stato, con infrastrutture adeguate che sia contiguo a Israele. Secondo il progetto i territori dello stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza saranno collegati da ponti e tunnel.

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L’intenzione dei palestinesi è di rifiutare il piano che prevede oltre al disarmo del gruppo terroristico Hamas anche la smilitarizzazione di Gaza. Abu Mazen ha interrotto i rapporti con gli americani, e si è rifiutato di parlare al telefono con Trump e non ha nemmeno voluto leggere la bozza del piano inviatagli prima dell’annuncio. Ha convocato una riunione a cui hanno partecipato anche i leader di Hamas e insieme hanno annunciato la “giornata della rabbia”. Le manifestazioni dei palestinesi lungo la Striscia erano iniziate già prima che il piano venisse svelato e a Ramallah i manifestanti hanno bruciato un’immagine di Netanyahu mentre l’esercito israeliano aveva incrementato la sua presenza anche nella valle del Giordano.

 

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La possibilità di un ripensamento da parte dei palestinesi passa attraverso le pressioni dei paesi arabi. Come aveva anticipato nel giugno scorso Kushner, i 50 miliardi servono a creare degli investimenti per il futuro stato palestinese. Durante la conferenza stampa di ieri erano presenti gli ambasciatori di Oman, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, segno della disponibilità nei confronti dell’accordo. “Potrebbe essere l’ultima occasione per i palestinesi”, ha detto Donald Trump. Più volte il piano è stato definito “storico” e rispetto agli ultimi accordi segna delle differenze importanti: il riconoscimento degli insediamenti israeliani, di Gerusalemme come capitale di Israele e un impulso economico fortissimo per un futuro stato palestinese.

 

“Ho avuto l’appoggio di due persone importanti – ha sottolineato il presidente – del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e di una persona che sta lavorando duramente per diventare il premier israeliano, Benny Gantz”. L’accordo era già pronto tre anni fa, ma gli Stati Uniti avevano deciso di non rivelarlo a causa dell’instabilità della politica israeliana. Il 2 marzo si voterà per la terza elezione in un anno e tutto ruota attorno a Benjamin Netanyahu e a Benny Gantz, leader del partito Kahol Lavan, anche lui invitato a Washington. L’accordo gode di un vasto consenso tra gli israeliani, a opporsi sono gli abitanti degli insediamenti e i partiti di estrema destra che rifiutano il riconoscimento di uno stato palestinese. Netanyahu e Gantz hanno trovato un punto in comune, forse un punto di partenza per un futuro governo di unità nazionale, dicono alcuni commentatori.

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