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Cinque anni fa, la strage islamista a Charlie Hebdo

Era il 7 gennaio 2015 quando due individui mascherati e armati di AK-47 entrarono negli uffici del giornale satirico. Dodici furono i morti. Altre quattro persone furono assassinate il 9 gennaio in uno dei supermercati della catena kosher Hypercacher

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Sono passati cinque anni dalla strage islamista nella redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo. E in questi giorni di tensione internazionale per l'uccisione in Iraq del regista della strategia estera iraniana, il generale Qassem Suleimani, occorrere ricordare che i mandanti dell'attentato del 2015 erano da cercare nel paese degli ayatollah. Nel computer di uno dei fratelli Kouachi, gli attentatori che hanno decimato la redazione, fu trovata la fatwa dell’ayatollah Khomeini contro Salman Rushdie.

   

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Sono trascorsi cinque anni dalla strage parigina, infatti, e ventisei ne sono passati da quando l'ayatollah Khomeini, il 14 luglio 1989 su Radio Teheran, lanciò la condanna a morte (riconfermata nel 2008 dal regime iraniano), contro Salman Rushdie perché il suo romanzo “I versi satanici” fu ritenuto blasfemo nei confronti di Maometto. Eppure nonostante la tempesta che si scatenò attorno al libro, nonostante Theo van Gogh, Ayaan Hirsi Ali, Charlie Hebdo e tutti coloro che hanno pagato a caro prezzo la loro libertà di parola e di critica nei confronti dell’islam, per Rushdie (intervistato dal settimanale francese Express) l’occidente ha tratto solo dei “cattivi insegnamenti” da ciò che è successo, e anzi di fronte all’ascesa inarrestabile e spietata dell’estremismo islamico ci sono stati “dei compromessi e delle rese”.   

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Ma torniamo a Parigi e a quei giorni di gennaio del 2015. 

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Qui trovate una cronaca del massacro.

 

Le vittime

Le vittime dell'attentato furono diciassette: dodici persone sono morte il 7 gennaio nella redazione del Charlie e nei dintorni: Stéphane Charbonnier (Charb), direttore e disegnatore del Charlie Hebdo; i vignettisti Jean Cabut (Cabu), Georges Wolinski, Bernard Verlhac (Tignous) e Philippe Honoré; Mustapha Ourrad, curatore editoriale; Elsa Cayat, psicanalista e giornalista; Bernard Maris, economista professore all'Università di Parigi; Michel Renaud, fondatore del festival Rendez-vous du Carnet de voyage; Frederic Boisseau, addetto alla manutenzione; Ahmed Merabet, agente di polizia in servizio nell'XI arrondissement di Parigi; Franck Brinsolaro, guardia del corpo di Charb. A questi si sono poi aggiunti una poliziotta e altre quattro persone morte il 9 gennaio in uno dei supermercati della catena kosher Hypercacher. Undici, invece, sono le persone rimaste ferite.

  

  


Qui c'è un ritratto che il suo amico Giuseppe Scaraffia fece di Wolinski, il disegnatore più famoso di Charlie Hebdo. La gauche, le donne divine e “sgualdrinelle”, la vecchia Jaguar, i sigari, il divano di cuoio e la tv.


   

I terroristi

Gli autori della strage furono i fratelli Saïd Kouachi, nato il 7 settembre 1980, e Chérif Kouachi, nato il 29 novembre 1982, jihadisti franco-algerini di Gennevilliers. L'attentato del 9 gennaio è invece opera del trentaduenne Amedy Coulibaly, nato a Juvisy-sur-Orge e già condannato per furto di armi nel 2001.

    

“Questi combattenti ”, ha scritto Giuliano Ferrara “sono dei voyou, dei ragazzi di strada, incerti tra il rap dell’integrazione e la preghiera di conversione, e hanno scelto il loro e l’altrui destino, alla fine, in base a una predicazione cui si sono islamicamente sottomessi, in base a testi inequivoci dell’ortodossia sunnita, tra moschea e rete dell’islamismo politico. Hanno scelto di eseguire un ordine divino che impone di castigare la blasfemia come è accaduto a Charlie Hebdo, come accade con la miserabile sorte di Asia Bibi in un carcere pachistano, con la schiena di un blogger piena di frustate saudite: hanno scelto la morte degli altri, e la loro, in un rito cultuale di conversione e arruolamento, di esecuzione della legge coranica, al quale hanno saputo corrispondere fino alla fine nella follia della testimonianza di gioventù, uscendo allo scoperto e sparando all’impazzata davanti alla falange dei gendarmi di cuoio, oppure pregando alle cinque, ora del blitz, e correndo poi verso l’esecuzione nel negozio kosher dove la paura innocente dei clienti ebrei, compreso un bambino, era diventata la maledetta cauzione della loro scorreria urbana.

 

Sono dettagli importanti, sono il punto di vista che conta, più della rapida capacità di allineamento menzognero al mainstream politico islamo-conformista di un capo Hezbollah o di un presidente iraniano che si dissociano a sorpresa. Se li degradate a lupi, degradate voi stessi. Disconoscete il nemico. Non sarete mai capaci di combatterlo né di amarlo. Al posto del vangelo, libro eccelso, primitivo e terribile e selvaggio, metterete il prontuario della cultura del piagnisteo, una specie di ideologia che fa dello scontro di religione e di civiltà in atto una storiaccia di cronaca nera e di impazzimento terrorista”.

  

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Dopo l'attentato

Dopo l'attentato, Charlie Hebdo tornò tutto rosso in edicola, dopo una pausa opprimente di sei settimane che ci fece temere una nostalgia senza cura.

 

Nella nuova copertina ci sono cani che corrono, veloci, perché sono “irresponsabili e sottomessi”, ha spiegato Luz, l’autore della vignetta, “noi siamo gli irresponsabili che scappiamo”, il cagnolino con Charlie in bocca, e “loro sono quelli sottomessi che ci rincorrono”, Marine Le Pen, Nicolas Sarkozy, il Papa, il cagnone nero-jihadista con il kalashnikov tra i denti, danari, coccodrilli, il marchio della tv Bfm, l’all news francese. “Siamo tornati”, due milioni e mezzo di copie è la tiratura, ben oltre il business as usual che era di 50 mila copie, ma con una gran voglia di normalità, pure se di normale non c’è più niente.

 

In democrazia vale il diritto di bestemmia, spiegò al Foglio il direttore di Charlie Hebdo, Gèrard Biard. “La contestazione è parte dei nostri valori, anche la contestazione di dio”, e a chi chiede di essere più cauti e rispettosi, risponde: “L’unica esagerazione è quella che viola la legge”.

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Dopo la strage di Charlie Hebdo c’è stato l’attentato al caffè di Copenaghen. Perché nella “hit list” dei terroristi islamici, accanto al nome di Stéphane Charbonnier, il direttore del settimanale satirico francese, c’era quello di un artista svedese: Lars Vilks. “Non posso nascondermi e sperare che passi tutto: loro non dimenticano. C’è una paura immensa. Nessuno scrive o dice più niente”. Qui l'intervista del Foglio:

   

“Di fronte all’islamismo, la Repubblica non deve tremare!”. Si intitola così l’appello pubblicato dalla rivista francese Marianne e firmato da scrittori, giornalisti, intellettuali e imam francesi, tutti musulmani, tutti contro l’islamismo, definito “un totalitarismo e una piaga che ci minaccia tutti, senza eccezione”. Insieme vogliono denunciare “l’islam politico”, definito “malattia dell’islam” con le parole dello scrittore franco-tunisino Abdelwahab Meddeb. 

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L'attentato a Charlie Hebdo fu solo il primo che colpì la Francia. Nel novembre dello stesso anno un commando stragista islamista fece irruzione nel locale notturno Bataclan uccidendo novanta persone. In altre zone di Parigi altri jihadisti spararono sulla folla. Le motivazioni della strage erano le stesse che provocarono la morte dei disegnatori della rivista satirica francese: l'odio per la cultura occidentale.

 

“C’è un filo per nulla sottile e anzi piuttosto robusto che collega i fotogrammi del terrore proiettati in mondo visione dal terrorismo islamico e le immagini delle minacce che colpiscono ogni giorno un paese come Israele, simbolo genuino della lotta tra le libere democrazie e i totalitarismi nascenti. Quel filo non è legato alla storia del Bataclan che sarebbe stato preso d’assalto per il suo essere non solo un’allegoria perfetta di una spensieratezza dell’occidente colpita a morte nella sua intimità ma anche per essere un luogo sensibile a causa della sua vicinanza al mondo ebraico (i proprietari del Bataclan sono ebrei e già nel 2011 i servizi segreti francesi, come riportato ieri da Le Point, avevano disinnescato un progetto di attentato organizzato dal Jaish al-Islam contro il Bataclan e i suoi proprietari ebrei). Il filo a cui facciamo riferimento è più solido. Ed è lo stesso filo messo in rilievo la scorsa settimana su questo giornale quando abbiamo scelto di dar vita a un comitato di solidarietà per i boicottare i boicottatori di Israele, comprando prodotti made in Israel”, scriveva il direttore Claudio Cerasa.

 

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Il ricordo di Vincino

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