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I calcoli dell'Unione europea su Iran e Libia

David Carretta

Josep Borrell pensa solo all’accordo sul nucleare con Teheran. La politica estera di Bruxelles rimane in mano alle capitali

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Bruxelles. L’ambizione di una Commissione “geopolitica” e il sogno di una politica estera europea, che consentano all’Europa di giocare da pari con Stati Uniti e Cina nello scacchiere globale, si stanno dimostrando una chimera nel momento in cui l’Ue inizia questo 2020 con due crisi vicinissime ai suoi confini, che covavano da tempo, ma rispetto alle quali si ritrova ancora una volta impreparata, divisa e irrilevante. “De-escalation”, “dialogo”, “riduzione della tensione”, “invertire la dinamica del conflitto” sono le espressioni più utilizzate dai nuovi leader dell’Ue e dai loro portavoce quando vengono interrogati sul pericolo di un conflitto tra Iran e Stati Uniti e sull’ingerenza militare di Turchia e Russia in Libia. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e l’Alto rappresentante, Josep Borrell, non hanno nemmeno citato l’Iran o gli Usa nella loro prima reazione venerdì all’uccisione del generale Qassem Suleimani, limitandosi a menzionare la situazione in Iraq. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha atteso fino a ieri pomeriggio per invocare “la fine del ciclo della violenza” e “spazio per la diplomazia”. Borrell ci ha messo quattro giorni per decidersi a convocare una riunione straordinaria dei ministri Ue per venerdì. Le ragioni di tanta prudenza sono varie. Sull’Iran “gli Stati membri sono divisi”, spiega al Foglio una fonte Ue: “Alcuni ritengono prioritaria la relazione transatlantica e non vogliono criticare in alcun modo gli Usa. Altri mostrano più comprensione per l’Iran o hanno interessi economici”.

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Bruxelles. L’ambizione di una Commissione “geopolitica” e il sogno di una politica estera europea, che consentano all’Europa di giocare da pari con Stati Uniti e Cina nello scacchiere globale, si stanno dimostrando una chimera nel momento in cui l’Ue inizia questo 2020 con due crisi vicinissime ai suoi confini, che covavano da tempo, ma rispetto alle quali si ritrova ancora una volta impreparata, divisa e irrilevante. “De-escalation”, “dialogo”, “riduzione della tensione”, “invertire la dinamica del conflitto” sono le espressioni più utilizzate dai nuovi leader dell’Ue e dai loro portavoce quando vengono interrogati sul pericolo di un conflitto tra Iran e Stati Uniti e sull’ingerenza militare di Turchia e Russia in Libia. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e l’Alto rappresentante, Josep Borrell, non hanno nemmeno citato l’Iran o gli Usa nella loro prima reazione venerdì all’uccisione del generale Qassem Suleimani, limitandosi a menzionare la situazione in Iraq. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha atteso fino a ieri pomeriggio per invocare “la fine del ciclo della violenza” e “spazio per la diplomazia”. Borrell ci ha messo quattro giorni per decidersi a convocare una riunione straordinaria dei ministri Ue per venerdì. Le ragioni di tanta prudenza sono varie. Sull’Iran “gli Stati membri sono divisi”, spiega al Foglio una fonte Ue: “Alcuni ritengono prioritaria la relazione transatlantica e non vogliono criticare in alcun modo gli Usa. Altri mostrano più comprensione per l’Iran o hanno interessi economici”.

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Non manca una dose di codardia. “Non va dimenticata la dimensione della sicurezza e il rischio di una rappresaglia. Vogliamo evitare di essere attaccati”, dice la stessa fonte Ue, ricordando che diversi paesi hanno truppe nella regione e che l’Iran è in grado di colpire anche sul territorio europeo. Infine c’è il trauma della crisi dei rifugiati del 2015, diretta conseguenza della guerra in Siria, che continua a pesare sui piccoli calcoli nazionali. “Ora non è più il tempo di rischiare morte, terrorismo, ondate migratorie insostenibili, ora è il momento di scommettere sul dialogo, sulla diplomazia e sulle soluzioni politiche”, ha sintetizzato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

  

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In un rapporto sull’influenza dell’Ue in medio oriente e Nord Africa pubblicato a fine 2019, il think tank European Council on Foreign Relations (Ecfr) ha fatto un bilancio della politica estera europea nella regione. Le crisi “hanno un impatto diretto sugli europei”, ma “la loro influenza nella regione non è mai stata così debole”. Secondo l’Ecfr, “malgrado le sue partnership economiche e politiche considerevoli con attori regionali, l’Europa è stata incapace di influenzare le svolte maggiori che ci sono state”. La prima causa maggiore è “una profonda mancanza di unità nella risposta dell’Europa alle sfide nella regione del medio oriente e del Nord Africa, che mina costantemente la sua efficacia. Su quasi tutte le questioni regionali, una mancanza di consenso europeo ha ripetutamente bloccato un’azione decisa”, spiega l’Ecfr. La seconda causa della debolezza Ue è che è considerata “un attore politico insignificante” rispetto agli Usa, anche per “la mancanza di volontà o incapacità dei paesi europei di impegnare le loro forze militari”. Risultato: il fallimento dell’Ue in medio oriente e Nord Africa ha “un costo alto per gli europei”, constata l’Ecfr.

  

La personalità dell’Alto rappresentante conta, ma solo fino a un certo punto. Sulla Libia Borrell sembra disinteressato: ieri il suo portavoce ha detto di non aver mai annunciato una missione con Di Maio e altri ministri europei. Sull’Iran, in continuità con Federica Mogherini, Borrell è soprattutto preoccupato di resuscitare un accordo sul nucleare con Teheran più che moribondo. Di qui il suo invito Mohammad Zarif a venire a Bruxelles, a cui però il ministro degli Esteri iraniano non si è degnato finora di rispondere. In una conversazione telefonica con lo stesso Zarif, Borrell si è mostrato comprensivo per le ragioni iraniane esprimendo “profonda preoccupazione” per l’uccisione di Suleimani. Francia, Germania e Regno Unito hanno invece sottolineato “il ruolo negativo” che l’Iran e Suleimani hanno giocato nella regione e esplicitamente chiesto alla Repubblica islamica di “astenersi da ulteriori azioni violente” e di “fare marcia indietro” sull’arricchimento dell’uranio. La dichiarazione comune di Emmanuel Macron, Angela Merkel e Boris Johnson dimostra che la diplomazia è saldamente nelle mani delle capitali. La politica estera dell’Ue non c’è e forse, in queste condizioni, sarebbe meglio non inventarla.

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