Steve Baker (foto LaPresse)

Steve Baker ci spiega che i Tory sono in continuità con il passato

Gregorio Sorgi

Per il leader dell’ala più euroscettica dei conservatori inglesi Boris Johnson e Nigel Farage non possono “essere una squadra inarrestabile”

Londra. “Non c’è alcun populismo né nazionalismo nelle nostre idee. Andremo alle elezioni con un programma da centristi”. Steve Baker, il capo dell’ala euroscettica più oltranzista dei Tory, i cosiddetti “spartani” che per tre volte hanno bocciato l’accordo di Theresa May, usa un tono insolitamente pacato e rassicurante in un colloquio con il Foglio a poco più di un mese dalle elezioni britanniche del 12 dicembre. “Johnson è un centrista che vuole uscire dall’Unione europea – spiega Baker – e le nostre proposte rispecchiano le sue idee. Non sono d’accordo con chi sostiene che sia in atto una trasformazione dei Tory, in realtà c’è grande continuità. Restiamo un partito di centro che vuole aumentare la spesa pubblica nella sanità e nella scuola”. Eppure solo 26 dei 43 deputati appartenenti al One nation group, la più importante corrente dei Tory moderati, si ricandideranno con il partito. Queste scelte potrebbero costare molti seggi a Johnson? “Spero di no, i remainer conservatori si devono riconoscere nel nostro partito e nei deputati come me. E’ un peccato che alcuni di loro non si candideranno con noi”. Però è stato Johnson ad averli espulsi dal gruppo parlamentare per avere votato una legge contro il no deal. “La decisione è stata più che giustificata. Non hanno solamente votato contro le indicazioni di partito, ma hanno ceduto il controllo dell’agenda legislativa all’opposizione indebolendo la posizione negoziale del Regno Unito. Non sono stati espulsi perché contrari all’uscita dall’Ue, ma perché hanno rimosso il diritto di governare all’esecutivo”. La metà dei conservatori indipendenti, tra cui gli ex ministri Amber Rudd e Philip Hammond, non sono stati riammessi. Non sarebbe stato più opportuno ricompattare il partito alla vigilia delle elezioni?

   

“Queste scelte spettano al premier e ai capigruppo, se non hanno riammesso alcuni deputati significa che non sostengono la politica del governo”. Il nuovo Parlamento dovrà approvare l’accordo di Johnson sulla Brexit, e ogni voto sarà importante. “Però mi dispiace molto che alcuni ribelli non fanno più parte dei Tory – aggiunge Baker – Ho un grande rapporto con molti di loro tra cui Dominic Grieve, se non è stato riammesso è per le sue azioni, ma non c’è alcun rancore tra di noi. Ho sempre lavorato per migliorare l’unità del partito, e mi fa piacere che alcuni membri del One nation group si candideranno alle elezioni. La verità è che siamo tutti dei ‘one nation conservatives’ (conservatori liberali, ndr)”. Il più radicale degli euroscettici – che in un’intervista al New Statesman lo scorso aprile aveva accusato il deep state di avere “bullato i parlamentari” per restare nell’Ue – oggi predica prudenza e difende l’accordo di Johnson. “L’intesa non è perfetta, ma è molto meglio di quella della May. Non è previsto il backstop, che era intollerabile, e il rapporto futuro con l’Ue prevede un accordo di libero scambio”. Baker è stato l’anello di congiunzione tra i conservatori e il Brexit Party, ma i due partiti sembrano intenzionati ad andare divisi alle elezioni. Donald Trump ha consigliato a Farage di unire le forze con Johnson (“sarebbe una squadra inarrestabile”) in un’intervista radiofonica con l’ex leader dello Ukip. Tuttavia, Farage ha escluso un patto di non aggressione con i Tory, spiegando che presenterà un candidato in ogni seggio anche a costo di frammentare il voto euroscettico. “Sarebbe una sciocchezza e rischierebbe di fare vincere i candidati pro remain in alcune constituency. Al Brexit Party converrebbe candidarsi nei 20 seggi dove hanno qualche possibilità di vincere, che coincidono con le aree storicamente laburiste. Scendere a patti con Farage avrebbe comportato il nostro sostegno al no deal, che ci avrebbe distrutto. Andare alle elezioni con la promessa di uscire senza accordo sarebbe un danno alla reputazione dei Tory, allontanerebbe gli elettori moderati a cui tengo molto”. Dopo avere minacciato il no deal più volte, è possibile che il Regno Unito esca dall’Ue senza accordo al termine del periodo di transizione nel 2021? “Le probabilità sono vicine allo zero, nessuno vuole il no deal. Tutti vogliono un accordo di libero scambio senza dazi, anche gli stati membri dell’Ue. Per approvare un’intesa è necessaria una scadenza, e spero di risolvere le questioni ancora aperte entro il 2021. Vorrei un accordo che rispecchia la dichiarazione politica, e sono ottimista anche se ci sono delle questioni ancora aperte. Questi sono giorni felici, tutti quanti dovrebbero rilassarsi e lavorare per negoziare un buon accordo”, conclude Baker.

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