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“Unica uscita la coalizione”

Israele e la nuova Knesset. La paura dei religiosi, ebrei e islamici. Cosa accade ora

Giulio Meotti

Parla Amnon Lord: “Gli errori di Netanyahu possono portarlo a finire in un deserto come Ben Gurion”. Gli arabi guidano l’opposizione

Roma. Il 10 aprile, Bibi Netanyahu e Benny Gantz hanno entrambi cantato vittoria. Il 18 settembre, nessuno dei due lo ha fatto. “Netanyahu ha perso, Gantz non ha vinto”, recita l’adagio in Israele dopo la seconda tornata elettorale in sei mesi. I centristi dell’ex capo di stato maggiore Gantz sono avanti di un punto sul Likud. Ma né la destra (55) né il centrosinistra (56) hanno i numeri alla Knesset per formare un governo (61 seggi). Terza, a sorpresa, la Lista araba unita con tredici seggi. Ago del Parlamento, il russo Avigdor Lieberman.

 

Le elezioni israeliane non sono state una disputa tra destra e sinistra, la “sinistra” è l’ombra di ciò che fu e solo il cinque per cento degli israeliani si definisce tale. Dei palestinesi non si è parlato. “Nessun singolo episodio ha plasmato la popolazione e la politica di Israele come l’ondata di attentati suicidi perpetrati dai palestinesi nei primi anni Duemila” scriveva Matti Friedman sul New York Times della scorsa settimana. “Gran parte di ciò che vedi qui nel 2019 è il seguito di quel periodo”. A decidere le elezioni, oltre al referendum su Netanyahu, sono state invece le divisioni identitarie e religiose. Che succede ora? Cinque scenari. Unità nazionale fra Likud e Bianco e blu di Gantz. Governo Likud-Lieberman, che però aveva causato il ritorno alle urne rompendo con Bibi. Governo Likud-Labor, ridotto ai minimi storici. Governo di centrosinistra fra Gantz, il Campo democratico della sinistra, il Labor e un appoggio esterno degli arabi. Ultimo scenario, di nuovo alle elezione. Gantz dovrebbe essere il primo a ricevere il mandato esplorativo per formare il governo.

 

Poche le certezze dunque. Quel che appare chiaro è che Israele si è svegliato un po’ meno religioso e un po’ più arabo, dopo che i due grandi partiti hanno agitato lo spettro delle due comunità più stigmatizzate: gli ebrei ultraortodossi e gli arabi musulmani.

  

Non è entrato alla Knesset il partito della destra messianica Otzma Yehudit e ha perso molto il partito nazional-religioso Yamina di Naftali Bennett e Ayelet Shaked. Ne parliamo con Amnon Lord, l’ex direttore del quotidiano Makor Rishon, columnist del primo giornale del paese Israel Hayom e vicinissimo a Netanyahu, che a Lord ha concesso l’intervista preelettorale. “Due giorni fa qui si parlava di annettere la Valle del Giordano, oggi degli arabi in una grande coalizione, tutto cambia in Israele in poche ore”, dice Lord al Foglio. “Gli arabi hanno ora un peso enorme. In cambio dell’eventuale appoggio esterno, gli arabi chiederebbero fondi per le loro comunità a Gantz, accordi con l’Autorità palestinese e un progetto post sionista di società. Lieberman era antiarabo e oggi è una manna per gli arabi. Entrambi odiano Bibi”. Il capo della Lista araba unita, Ayman Odeh, ha detto che sosterrà Gantz come incaricato premier. E a conferma, Netanyahu ha detto di voler formare un “governo sionista senza gli arabi”, dopo che in campagna elettorale li aveva accusati di frode elettorale e di cercare di “impadronirsi” del paese. Secondo Lord, è uno degli errori commessi da Bibi. “Come la sua retorica antiaraba per spingere il proprio elettorato ad andare a votare. Adesso c’è il rischio di un movimento secolarista post sionista, fortemente rafforzato dalle urne, e che tenterà di bloccare l’identità ebraica in Israele. La soluzione ideale sarebbe un governo di unità Bibi-Gantz. I governi di unità nazionale negli anni Ottanta hanno funzionato bene sotto il punto di vista delle riforme economiche. Nel 2009, Netanyahu ha creato un governo con Tzipi Livni e Ehud Barak ed è stato uno dei migliori governi nella storia israeliana, il paese ha superato indenne la crisi finanziaria, ha fermato la nuclearizzazione dell’Iran, due guerre a Gaza. David Ben Gurion dopo dieci anni di potere, al top della popolarità, fu costretto a cedere la guida. E ha finito i suoi giorni nel deserto. Bibi farà lo stesso?”.

 

Tutto il sistema politico si è radicalizzato. “Il Likud era un partito di centrodestra, sotto Bibi è diventato un blocco nazionalista”. In caso di unità nazionale, gli arabi saranno il partito di opposizione. E questo avrebbe ricadute importanti per il paese. “Lo stato dovrà informare gli arabi sulla sicurezza. La cosa positiva è che non potranno più dire che in Israele vige uno stato di apartheid”. Amnon Lord abbozza una risata, ma piena di incognite.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.