Un'immagine di Amburgo (foto Pixabay)

Lo sviluppo urbano sostenibile è uno dei pilastri dell'Europa unita

Edoardo Chiti

Non è solo una questione ambientale che riguarda le nostre città. In gioco c’è anche lo sviluppo sociale

Silvia ama la sua città, un piccolo comune come tanti, 73.000 abitanti nel sud Italia. La ama così tanto che sua madre – per scherzo, ma non troppo – si chiede se non sia nata senza il gene del viaggio, il DRD4-7R, e la incoraggia a muoversi per l’Europa e ad ampliare i propri orizzonti. Ma Silvia ribatte che l’Europa è già qui. Quella che a sua madre sembra una provincia piegata su se stessa è per Silvia, invece, una città già pienamente immersa nell’Europa.

E’ l’esperienza quotidiana a darle questa prospettiva. Silvia “rigenera” gli spazi comuni. L’ultima iniziativa è stata il recupero di un mercato di quartiere, da edificio inutilizzato e decadente a spazio di co-working destinato ai giovani genitori dei bambini che frequentano la vicina scuola elementare. Nel suo impegno nelle attività di rigenerazione, Silvia è sostenuta dall’Europa. E allo stesso tempo contribuisce al consolidamento e all’attuazione di una politica europea che condivide.

 

Le istituzioni europee, infatti, vengono elaborando ormai da tempo una vera e propria politica urbana europea incentrata sull’obiettivo dello “sviluppo urbano sostenibile”. La sostenibilità non è solo ambientale, ma anche sociale ed economica: la qualità dello spazio urbano serve, allo stesso tempo, a permettere un uso equilibrato delle risorse naturali, a garantire la coesione e l’integrazione sociale, ad attrarre investimenti industriali e turismo. Essa richiede, dunque, una varietà di misure, che spaziano da quelle volte a garantire la qualità del paesaggio urbano e lo sviluppo architettonico a quelle relative agli spazi di istruzione, come le scuole e le università, alla prevenzione dell’esclusione sociale, al potenziamento dell’economia e del mercato del lavoro locale. La politica urbana europea, poi, è pensata come una “politica combinatoria”, capace di mettere in relazione tra loro le esigenze del territorio urbano con quelle delle aree rurali. E chiede alle città di proiettarsi nel tempo, facendosi carico anche delle esigenze delle generazioni future.

 

Questa politica, poco nota ma ampia e ambiziosa, è il frutto di un processo di maturazione ventennale. Viene prefigurata dal Libro verde sull’ambiente urbano presentato dalla Commissione nel 1990, che ha parlato per la prima volta di una “strategia comunitaria per l’ambiente urbano”. Ma ha il suo vero sviluppo nei primi anni del nuovo secolo, con l’adozione, da parte dei ministri responsabili dello sviluppo urbano, del Programma d’azione di Lille (2000), dell’Aquis di Rotterdam sulle politiche urbane (2004), dell’Accordo informale di Bristol (2005) e della Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili (2007). E’ in parte ridefinita nella dichiarazione di Toledo del 2010, che ha inquadrato gli impegni assunti a Lipsia nella nuova strategia “Europa 2020”, e nell’Agenda territoriale dell’Unione europea. Trova il suo provvisorio punto di approdo, infine, nel cosiddetto Patto di Amsterdam, del 2016, che fissa i principi dell’Agenda urbana per l’Unione europea.

 

Questi ultimi documenti, in particolare, individuano gli strumenti attraverso i quali realizzare l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile integrato: tra questi, piani e programmi di riqualificazione di spazi urbani, misure di contrasto ai processi di gentrification, come la regolazione dei meccanismi che stimolano la crescita dei valori immobiliari, la sperimentazione di nuove forme di partenariato pubblico-privato e la previsione di incentivi finanziari e fiscali per l’impresa privata. L’attuazione dell’Agenda territoriale dell’Unione europea, però, coinvolge anche programmi che implicano stanziamenti di spesa, come Urbact III e Interreg IVC. Il Patto di Amsterdam, inoltre, prevede lo sviluppo di dodici partenariati relativi a specifici problemi, tra cui la povertà urbana, l’inclusione dei migranti e la sicurezza: uno strumento peculiare, definito di multilevel cooperation, volto a permettere alle città, agli stati membri, alle istituzioni dell’Unione e ai privati di collaborare al fine individuare le azioni utili a migliorare l’attuazione dei programmi europei da parte delle città. Tutti i partenariati sono stati avviati e coinvolgono, per il momento, 22 paesi membri, 84 città, due associazioni di città, varie istituzioni europee e numerosi soggetti privati.

 

Le città, dunque, raccolgono la sfida dello sviluppo urbano sostenibile, attuando e approfondendo le indicazioni dell’Unione. In questo processo, non dialogano solo con le istituzioni europee, ma stabiliscono anche rapporti orizzontali, che superano i confini nazionali e permettono di risolvere problemi comuni. Silvia se ne è resa conto presto: il suo comune partecipa al Covenant of mayors, il patto con il quale oltre 7.500 comuni, che coinvolgono una popolazione di circa 250 milioni di persone, si sono impegnati, nel 2015, a ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti del quaranta per cento entro il 2030. Si tratta di una dimensione importante della politica urbana europea, che incoraggia il dialogo e la cooperazione tra le città europee. Queste reti, infatti, sono numerose. Eurocities, ad esempio, raccoglie le “maggiori città”, come Barcellona, Francoforte e Milano, con l’obiettivo di di intervenire nel processo politico dell’Unione. Lo European Innovation Partnership on Smart Cities and Communities (Eip-Scc), invece, è una complessa rete di città, imprese e banche alla quale la Commissione chiede di creare una domanda e un’offerta di innovazione in funzione delle smart cities europee.

 

A questa dinamica se ne aggiunge un’altra, destinata ad assumere una importanza crescente nei prossimi anni: le città tendono a diventare attori politici sempre più importanti dell’ordinamento europeo. Soprattutto a seguito della crisi multidimensionale esplosa nell’ottobre 2008, le città sono divenute nuovi interlocutori della Commissione e vengono coinvolte in vari modi nel policy-making europeo, in una dinamica di sottile concorrenza con i governi nazionali e le regioni. Un indizio di questo nuovo ruolo è la risoluzione adottata dal Parlamento europeo nel luglio 2018 sull’opportunità di rendere più strutturata e incisiva la loro partecipazione ai processi decisionali dell’Unione. La rinnovata attenzione alla posizione delle città nell’ordinamento europeo è confermata, su un piano diverso, dalla recente sentenze con la quale la Corte di giustizia ha riconosciuto, per la prima volta, la legittimazione di tre città europee – Bruxelles, Madrid e Parigi – a ricorrere per l’annullamento di un regolamento europeo in materia di inquinamento atmosferico.

 

La città di Silvia non ha certo le dimensioni di Bruxelles, Madrid o Parigi. Eppure, pensa Silvia, non è meno europea. Nel suo tentativo di costruire uno spazio urbano sostenibile, nel quale la comunità dei residenti possa vivere una vita di qualità, si pone all’interno della politica urbana europea. Allo stesso tempo, la rende concreta e la approfondisce. La rigenerazione, si dice Silvia mentre cammina a passo spedito, è un tassello fondamentale del processo che porta alla costruzione di uno spazio urbano di qualità. Immersa nei suoi pensieri, passa vicino al punto in cui la zona urbana sfuma in quella rurale. C’è un prato incolto e una piccola struttura. Lì sorgerà il campo di calcetto per ipovedenti. E’ rimasta sorpresa quando ha scoperto che anche le persone con disabilità visiva possono giocare a calcio, ascoltando il suono del pallone. E’ il suo prossimo progetto di riqualificazione, un altro passo per lo sviluppo (sostenibile) della sua città e dell’Europa.

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