Nicolás Maduro (foto LaPresse)

Trump se la prende con Bolton dopo la grande cilecca in Venezuela

Daniele Raineri

Il presidente americano dice di sentirsi ingannato, credeva che il change a Caracas fosse più facile

Il presidente americano Donald Trump si lamenta in privato con i suoi di essere stato ingannato sulla situazione reale in Venezuela, dove credeva che sarebbe stato molto più facile rimpiazzare il leader chavista Nicolás Maduro con una figura dell’opposizione, scrive il Washington Post in un pezzo firmato da quattro giornalisti. Trump ora mette in discussione la strategia molto aggressiva degli Stati Uniti e incolpa soprattutto il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, che secondo il presidente “ci vuole trascinare in guerra”. La delusione arriva dopo che la settimana scorsa un piano americano per convincere due figure chiave del regime venezuelano ad abbandonare Maduro e l’esercito a marciare verso il palazzo assieme con l’opposizione per incoronare come leader temporaneo Juan Guaidó è finito in un nulla di fatto. Questo tipo di manovre per riuscire ha bisogno di raggiungere una massa critica, di un consenso così vasto e condiviso da far apparire la fine dei chavisti come inevitabile. Invece il piano è stato un fallimento, l’opposizione si chiede se i rapporti con gli americani siano davvero un vantaggio nella lotta politica e Maduro è un “tough cookie”, dice ora Trump, è un tipo più duro di quanto pensassimo.

 

Nell’elogio a Maduro si percepisce il cambio di sentimento del presidente americano verso la leadership venezuelana che sa dominare la folla o perlomeno incute ancora abbastanza timore da riuscire a contenere le proteste. Come dimenticare di quando Trump cambiò tono con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un e lo definì uno “smart cookie”? Fu il momento in cui dagli insulti passò alle aperture. Se sei una canaglia coriacea e sei appoggiato da Vladimir Putin – e il venezuelano Maduro soddisfa entrambi questi requisiti – è possibile che Trump cominci a guardarti con ammirazione. L’idea di un colpo facile in Venezuela è ormai svaporata e adesso gli stessi diplomatici americani sentiti dal Washington Post dicono che sarà una crisi “a lungo termine”, quelle che meno piacciono al presidente americano – anche se si parla della fine di un regime che dispone di riserve petrolifere immense ma ha ridotto il paese alla fame.

  

Nello scontento di Trump si sente anche l’impulso fortissimo che lo spinge a sganciare l’America dagli affari del mondo. A dicembre annunciò un ritiro totale dei duemila soldati americani dalla Siria – per la verità quel ritiro dev’essersi in qualche modo interrotto perché i soldati sono ancora in Siria – e l’Amministrazione sta negoziando con i talebani per ritirarsi in fretta anche dall’Afghanistan. Il piano per cacciare Maduro sembrava rapido e allettante, tanto da giustificare un’eccezione alla linea trumpiana del disimpegno totale. Ora che i tempi si allungano e che si rimediano umiliazioni internazionali, il presidente americano potrebbe essere tentato di tornare alla sua impostazione di default: facciamoci i fatti nostri. Il consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton ha da sempre altre idee sul ruolo dell’America nel mondo, molto diverse e interventiste dall’Iran al Venezuela, e sebbene il suo posto non sia considerato a rischio dagli insider di Washington esce ridimensionato agli occhi di Trump dalla cilecca nella campagna venezuelana. Bolton si è molto esposto contro Maduro, dice che il venezuelano ora vive in un bunker tormentato dal sospetto di essere circondato da traditori e gli ha intimato di abbandonare il paese per ritirarsi su qualche spiaggia tropicale, ma questa retorica suona vuota.

  

Maduro non perde tempo, il fallimento della marcia che avrebbe dovuto spodestarlo gli offre la chance di aggredire gli oppositori. Martedì l’Assemblea costituente in mano ai chavisti ha revocato l’immunità parlamentare a sette politici vicini a Guaidó e mercoledì il servizio di sicurezza fedele a Maduro, il Sebin, ha arrestato Edgar Zambrano, il vice di Guaidó. Quando Zambrano si è rifiutato di scendere dalla macchina, gli agenti hanno agganciato il veicolo a un carro attrezzi e lo hanno portato via. La Corte suprema, controllata da Maduro, accusa lui e altre nove figure dell’opposizione di tradimento, complotto e ribellione. L’Amministrazione Trump ha avvertito di non meglio specificate “conseguenze” se non sarà liberato, ma non è chiaro a cosa si riferisca. Se gli uomini che guidano le proteste cominciano a essere arrestati e neutralizzati, il campo di manovra dell’opposizione a Maduro si restringe.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)