Il re thailandese Rama X si affaccia dal balcone del palazzo Reale per salutare i sudditi (foto

Questo è il paese degli ossimori

Rama X, il re di Thailandia dai tanti simboli (e dalle tante passioni)

Massimo Morello

La cerimonia per l’incoronazione è soprattutto la festa di un paese che deve superare le sue crisi politiche e le sue divisioni

Bangkok. “Quello che sta accadendo è meraviglioso”, dice al Foglio Vittorio Roveda, uno dei massimi esperti in storia e arte del sud-est asiatico. E’ il suo primo commento alle cerimonie per l’incoronazione di re Maha Vajiralongkorn Bodindradebayavarangkun.

 

Rama X, suo titolo ufficiale quale decimo monarca della dinastia Chakri (sul trono dal 1782), è succeduto al padre Bhumibol Adulyadej, scomparso nel 2016. Da allora Maha Vajiralongkorn, 66 anni, è ufficialmente re di Thailandia. Ma è solo dopo la cerimonia del 4 maggio che è stato consacrato tale. A questo si riferisce Roveda, che a novant’anni mantiene una straordinaria lucidità estetica e culturale: “Alla meravigliosa serie di riti, alcuni derivati dal brahmanesimo hindu altri dal buddismo” che hanno segnato la Rachaphisek, termine thai che significa “unzione”. “Il brahmanesimo che consacra il potere sacro della regalità, il buddismo che la purifica, la benedice”. Il senso di meraviglia per Roveda si manifesta ancor più nel modo in cui i riti materializzano i simboli e questi a loro volta definiscono l’essenza della thailandesità. Accade proprio nel sincretismo tra religione hindu e mistica buddista. “E’ una tradizione che si tramanda da secoli e si raccorda con i precedenti culti animistici tuttora molto vivi. Per i thai è divenuta un modo di pensare. Ad esempio, ho sentito una commentatrice radiofonica – ma forse sono io che ho capito male – dire che il re è un’incarnazione di Visnù. Personalmente non mi risulta. Ma non importa”.

 

Altra sottile distinzione e simbiosi avviene tra le definizioni – entrambe d’origine hindu e non buddista – tra la figura del Devaraja, ossia il dio-re (secondo quello che il più grande mitografo del secolo scorso, Joseph Campbell, “è un ideale fantastico… dell’individuo che non è assolutamente niente se non l’incarnazione di un’unica legge cosmica totalmente impersonale”) e quella del Dhammaraja, il re che governa in nome di quell’ordine cosmico celeste. Secondo la vulgata corrente e molti osservatori, il re di Thailandia è un Devaraja. Ne sarebbe un forte segno il fatto stesso che non sia incoronato, ma s’incoroni egli stesso, deponendosi sul capo la Phra Maha Phichai Mongkut, la grande corona della vittoria, massimo emblema della regalità del peso di oltre sette chili d’oro e pietre preziose. Come ha fatto, con grande solennità, Re Maha Vajiralongkorn. Per altri è meglio definibile come Dhammaraja, ben provato proprio dalle cerimonie di purificazione che precedono l’incoronazione stessa. Per altri ancora, come lo storico tedesco Volker Grabowsky, in Thailandia la monarchia ha cercato di unire le due figure, sia per soddisfare il desiderio popolare e buddista di compassione e benevolenza, sia per esercitare il potere con autorevolezza.

 

Osservando il nuovo monarca nel megaschermo del centro stampa che trasmetteva la cerimonia d’incoronazione e durante la grande parata-processione che si è svolta il giorno seguente nel quartiere-isola di Rattanakosin, centro storico, monumentale e reale di Bangkok, l’apparenza, forse ben studiata, era quella di un Devaraja. Era l’incarnazione di ciò che lo storico delle religioni Mircea Eliade definisce “ierofania”, qualche cosa che manifesta il sacro. “Ieratico è il temine corretto. Guardandolo in televisione vedevo le immagini delle sculture nei templi khmer”, dice Roveda che di quei templi è stato uno dei maggiori studiosi. E’ tangibile il contrasto con l’impressione che dava re Bhumibol, colui che per la maggior parte dei thai è ancora venerato come una specie di spirito benevolente, incarnazione delle virtù buddista. Un Dhammaraja, appunto. “Alla fine, però, tutte queste definizioni vengono usate senza pensarci troppo”, commenta Roveda che ormai considera la storia come una forma d’Estetica. Tutto ciò, quindi, può apparire oggetto di un dibattito accademico che spesso si trasforma in un’immagine spettacolare, ennesima attrazione di un paese che ha fatto del turismo uno dei propulsori del pil.

 

L’elemento spettacolare, romanzesco, del resto, ha caratterizzato la vita del principe Maha Vajiralongkorn, segnata da tre matrimoni, avventure romantiche e militari (come pilota di caccia e sul fronte della guerriglia anticomunista degli anni ’80), e l’inizio del suo regno. Il primo evento a occupare le cronache globali risale alle elezioni del marzo scorso, quando sua sorella Ubolratana Rajakanya Sirivadhana si è candidata a primo ministro per il Thai Raksa Chart, partito considerato dai monarchici una sorta di emanazione del male, nemico di quei “good people” che re Vajiralongkorn ha invitato a votare alla vigilia delle elezioni. Ma la storia ha avuto un lieto fine col ritiro della candidatura, in obbedienza alla volontà reale, e l’apparizione della principessa ai posti d’onore nelle cerimonie d’incoronazione.

 

Quindi, pochi giorni prima dell’incoronazione protagonista della scena è stata colei che oggi è la regina consorte Suthida Vajiralongkorn na Ayudhya, sposata con una “semplice” cerimonia il primo maggio. Prima che divenisse tale e il nome Suthida non potesse essere dato a bambine nate dopo quel giorno, lavorava come assistente di volo per la Thai Airways. In seguito all’incontro con l’allora principe iniziò la carriera militare e nel dicembre del 2016 divenne comandante delle unità per le operazioni speciali della Guardia reale col grado di generale. In questo caso il richiamo cinematografico all’amore per la body guard si è rivelato tanto irresistibile quanto riduttivo. E in questo caso il lieto fine non è tanto nel coronamento di un sogno d’amore, quanto nell’immagine di regale sottomissione che Suthida è riuscita a trasmettere, sia che si avvicinasse al trono in prosternazione, sia seguendo il palanchino reale lungo i sette chilometri della parata. “E’ meglio lei di tutti gli altri generali”, ha commentato un’anziana signora che assisteva alle cerimonie.

 

“Il governo thai vuole trasmettere un’immagine rassicurante”, spiega una fonte diplomatica a Bangkok, e tutto ciò che fa parte dell’iconografia reale può servire a tale strategia. “In questo caso, però, sembra che si sia pensato soprattutto all’immagine interna più che alla percezione estera. Non è un caso, forse, che alla cerimonia d’incoronazione non siano stati invitati i rappresentanti del corpo diplomatico”. Quasi l’incoronazione fosse il segno di un paese che deve superare le sue crisi politiche e le sue divisioni in nome di un principio superiore estraneo e incomprensibile al resto del mondo. “Secondo me il re è preoccupato per la sopravvivenza della monarchia in Thailandia”, ha dichiarato lo storico Sulak Sivaraksa, uno dei più noti esponenti del dissenso thailandese, più volte accusato di lesa maestà.

 

Questo re, infatti, ha un’eredità pesantissima: una situazione politica perennemente sull’orlo di una crisi e la necessità, se non il dovere, di dimostrarsi all’altezza del predecessore. “Il popolo lo amerà perché figlio di suo padre”, afferma Roveda e la sua valutazione sembra trovare conferma nei giudizi raccolti tra la folla che seguiva la grande parata del 4 maggio. Una folla di decine di migliaia di persone, tutte rigorosamente in giallo (il colore simbolo del lunedì, giorno di nascita del re e che rappresenta il sole), sin troppo ordinate e sincronizzate nell’acclamare il sovrano gridando all’unisono “Songphracharoen”, lunga vita al re. Segno anche questo di un nuovo ordine, tanto più se paragonato alla spontanea empatia dimostrata dal popolo che nell’ottobre 2017 seguiva i funerali di re Bhumibol. Lo conferma una vecchia venditrice di amuleti cui si chiedeva se questo re le piacesse come il padre. “Nit noi”, ha risposto, “così così”. Affermazione che si è sentita ripetere e che va interpretata più come una sospensione di giudizio che una critica. “I thai si aspettano molto da lui”, dice un diplomatico accreditato a corte. Anche per questo, probabilmente, re Rama X cercherà di rappresentarsi come un Devaraja. “Per Sua Maestà la conservazione è un obiettivo primario e lui è un uomo dalle idee forti. Il precedente re non è sostituibile se non da qualcuno che incarni l’idea della monarchia”.

 

L’idea è stata espressa da re Vajiralongkorn nel suo discorso ai membri della famiglia reale, del potente consiglio della corona e ai più alti ufficiali governativi, invitandoli a “condividere” la sua “determinazione” per il bene della nazione. Come ha dichiarato Puangchon Unchanam, docente di scienze politiche alla Naresuan University, una delle più quotate in Thailandia: “A dispetto di ogni previsione, ha dimostrato più abilità politica, volontà e assertività per governare il suo regno di quanto molti avessero pensato, specie prima che divenisse re”. Lo ha dimostrato anche assumendo il controllo diretto del tesoro della corona e del Sangha, la comunità monastica, di cui nomina il supremo patriarca.

 

Il problema, dunque, assume nuovamente carattere accademico: può un Devaraja essere un monarca costituzionale qual è il re di Thailandia dalla “rivoluzione democratica” del 1932? “Devaraja e monarchia costituzionale sono un ossimoro”, risponde Roveda divertito dalla questione. “Ma questo è il paese degli ossimori”.

 

Forse è proprio l’ossimoro il mezzo per superare il momento critico che inizia subito dopo le cerimonie d’incoronazione. Il 9 maggio, infatti, verranno ufficialmente dichiarati i risultati delle elezioni del 24 marzo. Risultati che si preannunciano ancor più ambigui di quelli delle urne. Il candidato più probabile e logico per la guida del paese è il generale Prayuth Chan-ocha, attuale primo ministro, rappresentante del partito che ha ottenuto il maggior numero di voti. Prayuth, però, deve confrontarsi con una coalizione d’opposizione molto forte (nonostante le manovre che dopo le elezioni l’hanno indebolita).

 

La situazione potrebbe risolversi con un colpo di scena. Secondo alcune voci diffuse tra gli ambienti dell’alta società il primo ministro che potrebbe assicurare la formazione di un governo di unità nazionale è Amporn Kittiamporn, un tecnocrate molto vicino a Sua Maestà.

Di più su questi argomenti: