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In Germania c'è una scuola antipopulista

Daniel Mosseri

A Berlino si organizzano corsi per rafforzare la democrazia (ma senza connotati politici). Intervista a Reinhard Fischer

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Berlino. In Germania si va a scuola di anti-populismo: per non rimanere interdetti davanti al vicino di casa che se la prende con i migranti o con il parente lontano odiatore di professione dell’establishment si può seguire il corso offerto dalla Landeszentrale für politische Bildung (Lpb), ossia dalla centrale statale per l’educazione civica di Berlino. In Germania ce ne sono 16, tutte coordinate da una direzione federale. Organizzato in un paese dove il linguaggio scorretto e aggressivo di Alternative für Deutschland fa ancora notizia, il corso contro gli slogan populisti sembrerebbe assumere una valenza politica. Non è così, assicura il direttore alla programmazione della Lpb berlinese Reinhard Fischer ricevendo il Foglio nel suo ufficio attiguo all’Amerika Haus, nel cuore più vecchio di Berlino ovest, a due passi dallo zoo: “Non abbiamo alcuna agenda politica: il nostro compito è promuovere la democrazia, spingendo i cittadini a partecipare alla vita del paese”. Un esercizio che si compie dal basso “per esempio facendosi eleggere rappresentanti di classe nella scuola dei propri figli”. A vigilare sulla neutralità politica delle Lpb “in ogni Land provvede un Kuratorium composto dai deputati statali”, spiega ancora Fischer.

 

Impiegati dello stato – 100 in Baden-Württemberg e tre nella piccola Saarland – i dipendenti delle centrali per l’educazione civica non si occupano soltanto di populismo. Fra i corsi, offerti all’incirca ogni due mesi, spicca anche quello sul razzismo “che è sempre degli altri” e quello per riconoscere le fake news. “I nostri obiettivi sono mutevoli: sette, otto anni fa era importante spingere più persone a votare”. Ironia della sorte: gran parte dei nuovi elettori in Germania vota proprio per i populisti di AfD. “Nella società polarizzata di oggi – riprende Fischer – la priorità è convincere i tedeschi di opinioni politiche diverse a dialogare”.

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Dietro alla fondazione delle Lpb c’è la convinzione che una maggiore partecipazione porti a una più forte legittimazione del sistema democratico; ed è un’idea che parte da lontano. Fischer ricorda la fine della Repubblica di Weimar, “un regime democratico rovesciato dall’interno perché troppo pochi si alzarono a difesa della libertà”. Il che ha giustificato la creazione “senza eguali in Europa” delle centrali per l’educazione civica. Strumenti peraltro mutuati dalle ancor più antiche Reichszentralen fur Heimatdienst, i centri di propaganda istituiti nell’ultima fase di vita dell’impero guglielmino “allo scopo di sostenere il sentimento pro bellico nell’ultima fase della Grande guerra”. Nella primavera del 1918 i tedeschi erano stanchi del conflitto e il Kaiser cercava di inculcare le virtù della belligeranza. Prevarrà invece lo sfinimento, e già a novembre dello stesso anno Guglielmo II abdicherà. “Eppure le centrali furono mantenute dalla nuova Germania di Weimar, per sostenere questa volta le ragioni di un regime repubblicano in un paese di forte tradizione monarchica”. Furono i nazisti ad abolire l’educazione civica: con Goebbels la propaganda diventava una risorsa strategica da gestire dal cuore del governo. Di regime in regime, arriviamo al 1945. Nell’immediato dopoguerra le potenze alleate, americani in testa, decidono che è necessario rieducare i tedeschi, trasformando gli ex sostenitori del nazismo in sinceri democratici. Allo stesso tempo i vincitori della guerra convengono che la rieducazione debba essere condotta da cittadini tedeschi. “Rinascono così le centrali per l’educazione civica: accade nel 1946, tre anni prima della fondazione della Repubblica federale”, osserva Fischer. La prima Lpb a vedere la luce è quella del Nord Reno-Vestfalia, l’ultima nasce a Berlino dieci anni dopo.

 

Neutralità prima di tutto

Tornati al presente, chiediamo a Fischer se l’ingresso di AfD in ciascuno dei sedici Länder abbia finito per influenzare le attività della centrale berlinese o di altri Lpb. “No, perché continuiamo a non fare politica attiva”. Certo, ammette: un rappresentante di AfD nel Kuratorium aveva inizialmente espresso dubbi sul corso per replicare agli slogan dei populisti, “ma lo abbiamo invitato a partecipare a una sessione e si è subito convinto che nel nostro training non c’è alcun contenuto contro il suo partito”. D’altronde, insegnare a rispettare le donne, gli zingari o gli omosessuali non è un’attività politica: è pura educazione civica, segnala ancora il direttore alla programmazione. Oggi AfD è in netta minoranza in ogni Lpb ma un domani il partito sovranista potrebbe però avere la maggioranza in uno o più Kuratorium. Anche in quel caso non ci saranno problemi, continua Fischer ottimista: “La neutralità politica e la legge sono la nostra bussola: per cui non faremo mai un corso per esempio contro la pena di morte”. C’è poi un’altra linea rossa: “Non ci occupiamo nemmeno di post verità: qua da noi non si discute se la terra è piatta o sferica. O se l’uomo stia influenzando il clima. E continueremo così anche se oggi c’è un partito [AfD] che sostiene che l’uomo non c’entri nulla”.

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