Elezioni amministrative in Turchia, vittoria a metà per la coalizione di Erdogan (foto LaPresse)

Le due Turchie

Francesco Chiamulera

Erdogan ancora contesta le elezioni a Istanbul. Due importanti intellettuali raccontano un paese diviso

Nel primo pomeriggio di martedì Ekrem Imamoglu ha fatto una passeggiata in un luogo che per molti turchi è denso di significati simbolici. Il candidato a sindaco di Istanbul per il partito kemalista Chp, in testa nelle preferenze alle elezioni di domenica scorsa, si è recato a rendere omaggio a Mustafa Kemal Atatürk presso l’Anitkabir, l’imponente mausoleo dedicato al culto laico, nazionalista e borghese del fondatore della Turchia moderna. A quel culto Imamoglu ha rinnovato la sua adesione, portando una corona di fiori in mezzo a due ali di folla plaudente, dove le bandiere con l’effigie del fondatore della patria si mischiavano a qualche rosa rossa del socialismo. Le donne presenti erano tutte vestite all’occidentale. Imamoglu ha poi scritto sul libro dei visitatori una dedica in cui si rivolge direttamente al “padre dei turchi”. E ha firmato, con audacia: “Ekrem Imamoglu, sindaco della città metropolitana di Istanbul”. È un allegro colpo di mano, che segnala lo spirito baldanzoso e di rinnovata sicurezza che anima l’opposizione laica in Turchia in questi giorni: Imamoglu è in testa ma non è stato ancora proclamato, e al mausoleo ci era andato, in teoria, come privato cittadino, aggirando il divieto ministeriale di accreditarsi come sindaco.

  

“Avevo perso ogni speranza in elezioni libere e giuste, per lo meno dal 2016. Invece è successo. I brogli non sono bastati, questa volta”, commenta Asli Erdogan, scrittrice turca (suo lo splendido “Neppure il silenzio è più tuo”, Garzanti), attivista per i diritti umani, che vive in Germania dopo essere stata imprigionata per 136 giorni dal regime turco a seguito di un articolo pubblicato su un giornale filocurdo. “I sostenitori del Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) sono sotto choc. Erano sicuri di vincere benché tutti i sondaggi indicassero chiaramente che stavolta, nelle grandi città, erano indietro. Questa è la prova della loro malafede, capisce? Per loro quei sondaggi non hanno mai importato nulla. La loro reazione in queste ore è un sintomo decisivo”. Imamoglu non è solo, nel suo successo: domenica sera nel consueto mare anatolico filoislamista si contavano le città (ri)conquistate per la prima volta da decenni dal Chp in alleanza con il centrodestra liberale dell’Iyi: la capitale Ankara, Antalya, Mersin, Adana. Solo lì, però: la provincia e le aree rurali restano saldamente con Erdogan. Eppure Istanbul ha un significato particolare.

  

Sedici milioni di abitanti, la metropoli sul Bosforo è stata il luogo dove Recep Tayyip Erdogan aveva cominciato la sua ascesa, venendovi eletto sindaco nel 1994. Ora Imamoglu, quarantanove anni, una famiglia borghese che si fa ritrarre in fotografie lontane anni luce dalla modestia religiosa a cui l’èra Erdogan ha abituato, deve affrontare le contestazioni che i sostenitori dell’Akp hanno mosso presso il consiglio elettorale riguardo a presunte irregolarità nel voto. “E già questa è una notizia. In diciassette anni non si sono mai lamentati di un voto. Cominciano a farlo ora, visto che perdono”, sorride Can Dündar, ex direttore di Cumhuriyet, giornale della sinistra turca, anche lui in autoesilio in Germania dopo che Erdogan lo aveva fatto imprigionare nelle carceri di Silivri.

  

“Faranno di tutto per impedire che questa scossa si trasformi in qualcosa di più grande”, commenta Asli Erdogan. “Ci hanno provato nel sud-est curdo del paese, mettendo in carcere migliaia di oppositori e di potenziali candidati. E nonostante questo l’Hdp, il partito curdo, ha vinto in molte città”. Proprio l’Hdp, partito socialista e ambientalista guidato da Selahattin Demirtasş, si è rivelato il perno inatteso di queste elezioni. E non solo nella regione che è il suo bastione. Per la prima volta i voti dei curdi delle grandi città occidentali sono stati indirizzati da Demirtasş, che si trova in galera da oltre due anni, verso i candidati kemalisti: “Dove non ci sono nostri candidati, votate lo stesso. Votate in modo strategico e antifascista”, ha twittato allusivamente dal carcere il leader curdo.

  

“È stato decisivo”, conferma Dündar. “Erdogan è riuscito in un miracolo: costruire la più stramba delle coalizioni elettorali, unita solo dalla resistenza alla sua figura”. Reggerà, l’improbabile alleanza tra kemalisti e curdi, dopo che per un secolo si sono fatti la guerra? “Difficile saperlo ora”, dice Asli Erdogan. “Ricordo che una notte, ai tempi delle proteste in piazza Taksim, quando la polizia se ne andò i manifestanti cominciarono a ballare insieme, e ho vivida nella memoria l’immagine di un curdo vestito con i suoi colori che danzava e si abbracciava con un uomo avvolto nella bandiera turca. Ma forse questi sono solo momenti di solidarietà effimera, chissà”.

  

L’islamizzazione della società

C’è, infine, un’altra cosa che preoccupa la scrittrice. In questi quasi vent’anni, il solco impresso dal governo islamista sulla Turchia è profondo. “La società è stata islamizzata in modo esteso. Le donne velate sono maggioranza, forse persino a Istanbul. Il lavoro più meticoloso è stato fatto sulla gioventù. C’è una generazione che non ha visto altro al potere che l’AKP. Erdogan ha aperto centinaia di scuole religiose: oltre il 25 per cento dei giovani in Turchia oggi frequenta le scuole coraniche, che sono anche scuole di indottrinamento. Sono fanatici e, mi terrorizza dirlo, sono armati. Dall’altra parte, ci sono milioni di giovani che sono cresciuti con Google e con YouTube, sono informati, marciano per il cambiamento climatico e per i diritti Lgbt. Come potranno parlarsi, queste due Turchie? Temo uno scontro violento, prima o poi”.