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La caccia alle streghe che brucia i giornali turchi

Daniel Mosseri

Ankara ha scatenato una feroce repressione della libertà di stampa, chiudendo canali tv in lingua curda e decine di testate editoriali accusate di fare da cassa di risonanza per i cospiratori gulenisti o per i terroristi del Pkk

Se fumano ancora tanto come vuole un vecchio adagio non è dato sapere. Di certo i turchi vanno meno in edicola. Turkstat, l’istituto turco di statistica, ha fornito i dati sulla situazione dei media a mezzo stampa nel 2016 e il quadro non è confortante. Se nel 2015 si contavano 2.731 quotidiani e 4.071 riviste, un anno dopo il calo medio è del 7,9% con i giornali scesi a quota 2.527 e i periodici – più colpiti – a 3.738. La minore offerta in edicola si è tradotta in un calo di tutta la carta stampata circolante. È ancora Turkstat a certificare la contrazione: nel 2016 l’istituto ha contato 1.705 milioni di copie vendute (di quotidiani al 94%), ben 390 milioni di meno rispetto a quelle registrate nel 2015. Difficile spiegare una ritirata così netta, il 20% in un anno, con la generale avanzata dei nuovi media a discapito della stampa. Certo, anche la Turchia non sfugge al trend: -7,5%  nel 2014  e – 7% l’anno dopo. È anche vero però che fra il 2012 e il 2013 si era registrata una crescita di 7,1 punti percentuali.

Soprattutto è vero che il 2016 è stato l’anno della grande purga del regime contro i mezzi di comunicazione di massa, dai giornali locali ai canali satellitari. È dal 16 luglio dello scorso anno, data del fallito golpe contro il presidente Recep Tayyip Erdogan, che il governo di Ankara ha scatenato una caccia alle streghe mediatiche, chiudendo di imperio canali televisivi in lingua curda e decine di testate editoriali accusate di fare da cassa di risonanza per i cospiratori gulenisti oppure per i terroristi curdi del Pkk.

Fra le vittime delle purghe ci sono giornalisti più famosi di altri: fra questi svetta Can Dundar, ex direttore del quotidiano Cumhuriyet riparato in Germania fra un periodo di carcere e un altro. La triste sorte di tanti reporter turchi ha voluto che Turkstat snocciolasse i suoi freddi dati nelle stesse ore in cui a Istanbul si celebrava il terzo giorno del processo contro i colleghi di Dundar, editore compreso, tutti indicati dagli investigatori turchi come sediziosi terroristi, armati di penna e taccuino. Sulla testa degli imputati pendono condanne fra i sette e i 43 anni mentre i capi di imputazione restano quantomeno vaghi.

  

Fra i colleghi di Dundar a rischio condanna c’è anche Ahmed Sik, un giornalista già finito in prigione nel 2011 e 2012 per aver denunciato l’infiltrazione degli affiliati di Fethullah Gülen nell’apparato statale turco. All’epoca il predicatore ed Erdogan erano in buoni rapporti e Sik pagò lo scotto delle sue denunce, ma oggi che Fethullah è il nemico pubblico numero uno, Sik è stato inserito nella lista dei gulenisti. Commentando i dati dell’istituto di statistica, lo stesso Daily Sabah, quotidiano vicino al partito di Erdogan, ammette che decine di giornali locali, regionali e nazionali sono stati chiusi perché espressione della rete di Gülen. A completare il quadro si aggiunge lo Stockholm Center for Freedom, organizzazione a difesa della libertà di stampa in Turchia, secondo cui Ankara si accingerebbe a mettere in vendita otto dei gruppi editoriali messi sotto sequestro negli ultimi mesi.

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