Vietnam, incontro tra Donald Trump e Kim Jong Un ad Hanoi

Trump incontra di nuovo Kim e questa nuova “normalità” è inquietante

Giulia Pompili

Il gran circo di Hanoi. Oggi sarà “una giornata faticosa” dice il presidente americano. I dubbi sul trattato di pace e il ruolo di Seul

Roma. Il secondo summit tra il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un è iniziato ieri ad Hanoi, in Vietnam. Davanti alle bandiere americane e nordcoreane, quelli che soltanto un anno fa erano due nemici giurati per la seconda volta si sono stretti la mano, inaugurando il vertice ad altissimo livello che dovrebbe portare alla progressiva apertura della Corea del nord e alla normalizzazione dei rapporti tra Washington e Pyongyang. Durante le prime ore è andato in scena un incontro fotocopia rispetto a quello di Singapore del 12 giugno dello scorso anno: i due leader hanno attraversato la passerella, si sono stretti la mano, hanno scambiato qualche parola in inglese. Kim Jong-un, nel classico completo nero con giacca maoista, sembrava molto più a suo agio rispetto alla volta precedente, e ogni volta che ha accennato un sorriso i click delle macchine fotografiche della stampa si intensificavano, tanto da coprire la voce del loquace Trump. 

  

Seduti a un tavolo per un breve briefing prima del colloquio bilaterale, Trump ha detto per l’ennesima volta che la Corea del nord “ha un incredibile potenziale economico. Penso che il tuo paese abbia un incredibile futuro davanti, e tu sei un grande leader. Non vedo l’ora che accada, e vorrei aiutarti a farlo accadere”. Quello delle bandiere è un dettaglio del cerimoniale che sembrava impossibile prima di Singapore, quando ancora l’America non riconosceva la Corea del nord come stato sovrano e quindi la sua bandiera era impossibile da mostrare affiancata a quella a stelle e strisce. Ma siamo entrati in una nuova èra, quella in cui un presidente americano in carica dice a un leader nordcoreano: “È un onore essere con il chairman Kim, è un onore essere insieme in Vietnam”. Dopo i convenevoli, i due hanno avuto un incontro privato di una mezz’ora, accompagnati soltanto dalle interpreti. Poi c’è stata una cena piuttosto ristretta, offerta dagli Stati Uniti: un tavolo tondo, e Trump e Kim seduti vicini. Trump ha scherzato con i fotografi in sala, e chi conosce la gerarchia dell’élite nordcoreana ha riso a denti stretti. Perché seduto dal lato nordcoreano del tavolo, oltre all’interprete Sin Hye-yong, c’era Kim Yong-chol, un personaggio chiave della storia nordcoreana e nei suoi rapporti con l’America, formalmente ancora sottoposto a sanzioni. Un anno fa la sua presenza alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang, in Corea del sud, fu molto criticata, ma a metà gennaio era a Washington a organizzare il summit insieme con il segretario di stato americano Mike Pompeo. Accanto a lui era seduto Ri Yong-ho, ministro degli Esteri di Pyongyang. Dal lato americano c’erano Pompeo, il capo dello staff ad interim Mick Mulvaney, e Yun-hyang Lee, l’interprete di Donald Trump.

    

Vietnam, attesa per l'incontro tra Donald Trump e Kim Jong Un (foto LaPresse)


    

Arrivato l’altro ieri nella capitale vietnamita, nella mattinata di ieri Trump ha avuto un incontro con il presidente Nguyen Phu Trong e poi con il primo ministro: semplice cerimoniale e visita di cortesia dalle autorità che hanno ospitato il summit. Però, ancora una volta, in quell’occasione ha spiegato che l’economia vietnamita dovrebbe essere un modello per la Corea del nord. Victor Cha, uno degli analisti di affari nordcoreane più famosi, che un anno fa stava per essere nominato ambasciatore americano a Seul – nomina poi cancellata dallo stesso Trump per via dell’atteggiamento “ostile” dimostrato da Cha – ha scritto ieri su Twitter che insistere sul “modello vietnamita” potrebbe non essere opportuno in questa fase: quel che Trump non ha capito è che la Corea del nord di Kim Jong-un si sente molto più di un “piccolo” paese del sud-est asiatico. Si sente una potenza nucleare ormai legittimata a parlare, a trattare direttamente con il presidente americano.

   

Oggi sarà una “giornata faticosa”, ha detto Trump, e quando qualcuno gli ha chiesto se si parlerà con Kim Jong-un di una possibile trasformazione dell’armistizio del 1953 in un trattato di pace, Trump ha detto: “Vedremo”. Di sicuro un trattato di pace sarebbe un successo notevole non solo per la Corea del nord, ma anche per la Cina, perché vedrebbe realizzarsi il progressivo disimpegno militare americano nell’area del Pacifico. Se Trump è in cerca del premio Nobel per la pace – e il primo ministro giapponese Shinzo Abe lo avrebbe già nominato – ha già dovuto cedere un pezzo del merito sulla questione nordcoreana: la presenza della bandiera della Corea del sud sulla medaglia commemorativa del summit di Hanoi in vendita nel negozio online della Casa Bianca dice molto più di quanto si possa pensare.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.