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Nella tana del lupo populista

Luciana Grosso

Un pomeriggio nella villa di The Movement, la creatura bannoniana piazzata nel cuore dell’Ue. Monsieur Modrikamen, ci racconta il suo progetto (piccino), ci fa la solita tiritera (compresi gli occhi a cuore per i gialloverdi) e ci lascia con un po’ di suspense

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Bruxelles. “Avvocato, si rende conto che mezza Europa è convinta che lei sia il male in terra e che lo scenario nel quale lei e quelli come lei governano viene considerato da un sacco di gente il peggiore possibile?”. Inizia così, che le maschere prima si buttano giù e meglio è, l’intervista a Mischaël Modrikamen, luogotenente plenipotenziario di Steve Bannon in Europa. A lui, l’ex demiurgo e consigliere di Donald Trump ha affidato il compito di federare, in un unico e ramificato gruppo, detto The Movement, i populisti di tutta Europa. L’idea è quella di mettere insieme quanti più gruppi nazionali possibile per fare una rete unica di competenze, di informazioni e, com’è ovvio di questi tempi, di dati.

 

 

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The Movement vuole diventare una specie di federazione mondiale dei populisti, da Bolsonaro a Salvini. “Un po’ come l’internazionale socialista del secolo scorso, solo con il populismo al posto del socialismo. Ma non è l’unica similitudine, perché come i socialisti di allora, anche noi vogliamo che a vincere sia la democrazia, il popolo, e non la tecnocrazia e pochi privilegiati”. Un governo dei molti e non dei pochi, direbbe qualcuno. “Chi è contro The Movement è contro la democrazia, anche perché i partiti che aderiscono al nostro gruppo sono quelli che stanno riscuotendo maggior successo elettorale. E la democrazia impone che si faccia quel che vuole la maggioranza. Se si vuole che a governare sia la minoranza allora si opera al di fuori della democrazia”. Passare un pomeriggio con monsieur Modrikamen è estremamente istruttivo. Non tanto per quel che riguarda le cose della politica, ché ormai la tiritera del popolo contro le élite la sappiamo a memoria, quanto proprio sul genere umano. Modrikamen è la dimostrazione del fatto che aveva ragione Loredana Bertè e che “i cattivi così cattivi non sono mai”. E’ la dimostrazione che il mondo, quello vero, è un concerto di paradossi, contraddizioni e colpi di scena.

 

Il primo paradosso ha a che fare con l’aspetto di Modrikamen: non ha niente, a vederlo, del tipo umano del populista al quale la cronaca ci ha abituato: non ha la barba ostentatamente sfatta di Steve Bannon; non ha l’irruenza verbale di Donald Trump; non ha i toni e i desideri fascistoidi di Jair Bolsonaro; non ha le felpe di Matteo Salvini o l’ambiguità di Luigi Di Maio; non ha la tracotanza di Nigel Farage. Niente di tutto questo, anzi. E’ affascinante, gentile, educato e, anche se è lui l’intervistato, sembra abbia più voglia di ascoltare e di chiedere che di parlare e rispondere.

 

Eppure, nonostante sia eccellente nel metterci a nostro agio, qualcosa in lui e nella bellissima villa in cui ci accoglie, stona. Anche se è difficile capire cosa. Forse l’arredamento sfarzoso, che mette un po’ in soggezione. Forse il gigantesco ritratto di Winston Churchill all’ingresso. Forse il silenzio vuoto dell’anticamera nella quale si fa attendere per quasi quaranta minuti. O forse, la sua stessa storia: figlio di un ebreo polacco scampato alla Gestapo e poi unitosi alla resistenza, Modrikamen è cresciuto nell’ambiente barricadero degli operai comunisti di Charleroi, gente di lotta e di fatica. Lì è diventato avvocato, prima, e ricco, dopo. Buon per lui. Pur avendo una formazione di sinistra e, per di più intrisa della fobia per i gruppi xenofobi che solo gli ebrei dovrebbero sapere, Modrikamen si è spostato molto a destra, fondando prima un piccolo partito (il Parti du Peuple, il cui unico eletto alla Camera è, a proposito di paradossi, Aldo Carcaci, un ex dirigente del Partito socialista belga) e poi dando vita, con Steve Bannon, a The Movement. “Bannon – dice – è un po’ il Billy Graham del populismo mondiale, non ha un vero ruolo operativo, ma è l’architetto, l’ideologo, quello che ha una visione, che capisce le cose prima degli altri”. Sì, bene, ma cos’è di preciso The Movement? Cosa lo avete creato a fare? “Non siamo un partito e non abbiamo intenzione di candidarci alle elezioni. Siamo un gruppo di partiti, una federazione. Mi piace dire che siamo un club. Come era l’Internazionale socialista o come è Davos. Siamo il punto di riferimento internazionale per i populisti di tutto il mondo”.

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“Se qualcuno vuole che a governare sia il popolo – dice Modrikamen – la maggioranza delle persone, e non pochi privilegiati, è a noi che deve fare riferimento. Vogliamo dare voce a chi non l’ha mai avuta, un po’ come ha fatto Donald Trump negli Stati Uniti. Opereremo dietro le quinte, daremo informazioni, sondaggi, consulenze, coordineremo i lavori”. Quindi The Movement coordinerà la maggioranza silenziosa e la condurrà ad avere voce e potere.

 

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Certo la coniugazione dei verbi al tempo futuro però è d’obbligo perché, a oggi, a The Movement fanno capo solo sei gruppi in tutto il mondo, due dei quali sono italiani, la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Poi, nel registro delle presenze appare il Partito del popolo di Modrikamen stesso, i Social-liberali di Jair Bolsonaro (il cui figlio, Eduardo, è referente per l’America latina) e il montenegrino Partito per il cambiamento. Non molto, invero. Anzi, proprio poco, tanto che lo scorso novembre il Guardian ha pubblicato un articolo nel quale, con un certo giusto, si elencavano i no incassati da Modrikamen, dalla destra danese a quella austriaca, da quella ceca a quella tedesca di Alternative für Deutschland. Ambivalenti, in bilico tra l’aderire o meno, appaiono Fidesz di Viktor Orbán, gli spagnoli di Vox, il Rassemblement national di Marine Le Pen e il nostrano Movimento cinque stelle, con cui pure ci sono stati dei contatti, anche se, almeno per ora non sono sfociati in niente di concreto. “Il governo italiano è la prova che le cose si possono fare. Due partiti diversi ma con un enorme seguito e un obiettivo comune: difendere le persone e i loro interessi, sia dai tecnocrati sia da chi arriva da fuori. Salvini in questo è eccezionale: tutti pensavano che fermare gli sbarchi fosse impossibile, ma lui, semplicemente lo ha fatto. Ha chiuso i porti, l’uovo di Colombo”.

 

Al di là dei (preconizzati) successi elettorali di Salvini, per ora The Movement non appare una compagine molto affollata. “Non è vero. Nelle nostre file abbiamo alcuni tra i politici più potenti del mondo, come Bolsonaro che guida un paese colossale da 200 milioni di persone. Anche la Casa Bianca è dalla nostra. Non creda a chi dice che Bannon e Trump non si parlano più. Non è vero. Anzi. C’è grande vicinanza e un contatto costante tra la Casa Bianca e The Movement”. Mentre dice quest’ultima frase Modrikamen ci fissa negli occhi, come per accertarsi che abbiamo capito bene quello che sta dicendo e che lo scriveremo bello chiaro. Va bene. Lo scriviamo, e se questo è un messaggio per qualcuno là fuori, non ci si dica che non lo abbiamo recapitato.

 

Certo, Steve Bannon è un personaggio un po’ “spooky”, piuttosto opaco, anzi, con un’aura da Rasputin, sempre indaffarato a tramestare tra suprematisti bianchi, troll russi e fake news.

 

“Breitbart non è un sito di fake news, ma un normalissimo giornale, fatto con rigore e impegno, che si occupa di pubblicare notizie che altri giornali non pubblicano, perché impegnati a tutelare un sistema di potere del quale, spesso, loro stesso fanno parte. Certo, può capitare che prendano qualche cantonata, ma quale giornale non lo fa”. E tutta la storia del Russiagate e dei troll russi che infestano i social? “Sono tutte sonore balle. Finché i partiti tradizionali, sempre gli stessi da anni, vincevano, andava tutto bene. Quando hanno iniziato a perdere hanno detto che era colpa di Putin, dei troll, di Facebook. Niente di tutto questo è vero. Se i popolari e i socialisti stanno perdendo voti, mi spiace, ma la colpa è solo loro e delle loro politiche fallimentari e della loro tracotanza nei confronti delle persone più deboli. Le fake news non c’entrano niente. I social network non c’entrano niente. Vladimir Putin non c’entra niente”. Già Putin. In molti credono che dietro questa ondata populista che sta travolgendo mezzo mondo ci sia il presidente russo: “Mai avuto niente a che fare, né con lui né con la Russia. E soprattutto mai preso un soldo, né da lui né dalla Russia. Personalmente sono contrario alle sanzioni, ma è un’opinione mia. E’ del tutto evidente che la Russia ha i suoi interessi e che questi possono non coincidere con quelli dell’Ue. Ci sta. E’ nell’ordine delle cose. Solo, se dipendesse da me, starei molto attento a provocare Mosca, perché non è escluso possa scoppiare una guerra. E se dovesse succedere, possiamo star certi che il terreno di battaglia sarebbe qui in Europa. Come sempre, del resto”.

 

Così, una volta capito cos’è The Movement (“un club di populisti”) e cosa non è (un partito, almeno per ora) e chi sono i suoi leader (Bannon, Bolsonaro, Salvini) occorre capire cosa The Movement voglia, oltre che, come detto, dare voce a chi non ce l’ha (tante grazie).

 

“Oggi il mondo è diviso in due grandi blocchi: uno che potremmo chiamare dei globalisti, ossia di quelli che pensano che la globalizzazione sia stata una buona idea e che tutti i popoli di tutti i paesi del mondo siano interscambiabili e l’altro, che potremmo chiamare dei sovranisti, quello di chi pensa che no, non siamo interscambiabili. Ogni popolo ha la sua terra, la sua cultura, i suoi riferimenti. La globalizzazione è stata costruita e voluta dai tecnocrati, ma non funziona. Per questo la gente non vota più i leader che hanno permesso questo sistema di cose. Per questo le persone non credono più ai politici tradizionali e per questo non credono più all’Unione europea”.

 

A tal proposito: che si fa con l’Unione europea? Non è faccenda da poco, visto che uno dei (pochi) partiti che aderiscono a The Movement, la Lega, potrebbe essere il più votato di tutti alle prossime elezioni: “L’Europa che abbiamo in mente è un’Unione di paesi sovrani e soprattutto democratici. L’Unione europea così com’è è destinata a finire. Ma non perché lo vogliamo noi, ma perché ha fallito. Non rappresenta più niente per nessuno. Non vuol dire che ogni paese andrà per conto suo, ma che l’Ue dovrà per forza di cose diventare un’Unione di stati autonomi e magari limitarsi a tenere insieme accordi commerciali o economici”. Quindi niente più Unione europea? “Non butto via il bambino con l’acqua sporca. Penso che i paesi europei debbano lavorare insieme per essere più forti. E’ successo in passato, per esempio con il consorzio di Airbus, riuscito a mettere insieme competenze francesi, tedesche e spagnole. O con gli studenti in Erasmus, un progetto che amo molto e che rimpiango di non aver potuto fare, perché ai miei tempi non c’era. L’Europa secondo noi non è un progetto da buttare completamente via, ma deve rimanere un progetto tecnico. Muore se, come sta succedendo adesso, prova a diventare politico. Ci piace l’idea di Unione democratica a più voci, ognuna delle quali abbia pari diritto di essere ascoltata, e in cui, magari, ci possa anche essere un presidente eletto direttamente. Ma non un’Unione in cui nessun paese può decidere per sé. Lo sa che oggi l’80 per cento delle leggi dei singoli paesi viene deciso a Bruxelles?”. Sì, sappiamo che è una stima che negli ambienti euroscettici circola da tempo. Ma sappiamo anche che è parecchio approssimativa (l’80 per cento di cosa? Di quante leggi?) e che è stata più volte confutata. Così, per paradosso (vi avevamo avvertiti ce ne sarebbero stati molti) Modrikamen si propone allo stesso tempo come distruttore e salvatore dell’Ue.

 

“Io non voglio che l’Europa finisca, ma voglio che sopravviva e continui a prosperare. Ma affinché questo sia possibile serve cambiare. Quello che va bene in un posto, può non andare bene in un altro. Se l’Unione europea vuole continuare a esistere deve essere meno unione, e più europea”. E sia, ma come? “Con il lavoro, tanto per cominciare: deve essere riservato a chi in un paese è nato e cresciuto, non a chi arriva da fuori. In Belgio o in Italia abbiamo migliaia di disoccupati, eppure continuiamo a dare lavoro agli stranieri. Che senso ha? Non so da voi in Italia, ma qui in Belgio non si trova un camionista belga nemmeno a piangere. Sono tutti romeni o bulgari, perché costano meno, con il risultato che abbiamo migliaia di belgi a spasso e altre migliaia di romeni sottopagati. Non è gusto, non lo è per nessuno”. E poi? “Poi tirando su dei bei confini, forti e chiari, ben visibili e invalicabili. Non c’è niente di male, ci sono sempre stati. Servono a tenere lontani gli immigrati che cercano un lavoro che comunque non c’è, e tengono lontani i terroristi, che arrivano e scorrazzano da un lato all’altro del continente”.

 

Un’ultima domanda: i sondaggi dicono che a parte l’exploit di Lega, Rassemblement national e Cinque stelle, i populisti avranno poca roba in termini di voti e seggi. La maggioranza sembra destinata a essere un blocco di popolari, socialisti e liberali: “Vedremo… Chissà. Del resto anche Hillary Clinton doveva vincere no?”. Già.

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