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Lione contro gli estremisti

Francesco Maselli

L’estrema destra aveva messo radici e faceva azioni violente. La città ha reagito, ma i problemi restano

Se si cerca su Google “Lyon, extrême droite”, si trovano decine di articoli, reportage audio e video sulla seconda città di Francia e sul suo rapporto con i movimenti estremisti di destra, piccoli gruppi che negli ultimi anni hanno eletto Lione come loro centro nevralgico. Qualche articolo è addirittura intitolato “Lione, capitale dell’estrema destra francese”. Quando lo scorso settembre Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen ed ex deputata del Front national nella scorsa legislatura (2012-2017), ha fondato la sua università, scegliendo Lione come sede, la narrazione sull’estrema destra attratta dalla città è ricominciata.

 

Le associazioni che compongono la galassia dell’estremismo nero francese hanno scelto in particolare il V arrondissement della città, il Vieux Lyon, il centro storico da molti considerato come il cuore della civiltà francese: Lugdunum è la colonia fondata dai romani nel 43 avanti Cristo e a lungo comunità principale della Gallia, per poi diventare l’epicentro del cattolicesimo francese, visto che proprio a Lione fu fondata una delle prime diocesi transalpine nel II secolo dopo Cristo. Questa storia esercita un fascino innegabile verso i gruppi identitari, anche se la loro scelta non è del tutto slegata da considerazioni utilitaristiche: “Aprire una sede di un’associazione nel Vieux Lyon è conveniente”, spiega al Foglio Thomas Rudigoz, deputato de la République en Marche! ed ex sindaco del V arrondissement di Lione, “i piccoli locali fronte strada sono molto accessibili, pur essendo molto vicini al centro e ben collegati con il resto della città”.

 

Secondo Jean-Yves Camus, presidente dell’Observatoire de la radicalité politique e tra i massimi esperti di estrema destra in Francia: “Lione non è la capitale dell’estrema destra francese, questa affermazione è esagerata. Però la città ha una storia molto travagliata, è stata allo stesso tempo il centro della resistenza all’occupazione nazista e il principale presidio dei collaborazionisti; la sua calma e la sua vita politica conservatrice nascondono uno scontro politico che è sempre stato molto violento”.

 

La città ha un interesse simbolico: sorge sulla romana Lugdunum, ed è stata epicentro del cattolicesimo francese

Dopo l’attacco di alcuni estremisti contro la bottega di un orologiaio del centro, il quartiere si è ribellato e ha chiuso le loro sedi

Nel Vieux Lyon, fino al novembre del 2018, quando la loro presenza si è drasticamente ridotta grazie alla reazione del quartiere, che li ha letteralmente espulsi, erano aperte 8 sedi in un’area di pochi chilometri quadrati dove agivano principalmente il Parti nationaliste français, il Groupe Union défense poi diventato Bastion social e Génération identitaire. Questi gruppi tenevano riunioni e organizzavano le loro attività di propaganda e di “disturbo” del quartiere, almeno secondo i commercianti della zona.

 

Uno dei principali oppositori di questi movimenti, e l’unico commerciante ad avere accettato di essere citato, è Philippe Carry, proprietario di una delle botteghe storiche di Lione, l’Horloger de Saint-Paul. Il suo negozio-laboratorio, in rue Juiverie, è a pochi passi dalla sede di Génération identitaire e da Made in England, un negozio di vestiti aperto dai militanti del Bastion Social e poi fallito. La bottega è disordinatissima, non c’è spazio sulle pareti che non sia occupato da un orologio, qualcuno funzionante, altri rotti, altri ancora in riparazione. Sul tavolo da lavoro di Philippe Carry, invece, ogni cosa è al proprio posto “per lavorare bene bisogna poter trovare tutti gli attrezzi e subito”, dice sorridendo.

 

Gli chiediamo in che modo l’azione dei gruppi di estrema destra ha turbato la calma del quartiere: “I militanti sono raramente qui e non sono molto numerosi. Suppliscono a queste difficoltà logistiche imponendo la loro presenza, mostrando di tenere, se vogliono, il quartiere sotto sorveglianza: occupano le scale che portano alla parte alta della città vecchia, intonano canti di guerra, organizzano ronde notturne, spesso hanno aggredito persone di etnia araba o nera, così come una coppia di omosessuali”.

 

Insomma questi gruppi provano a imporre una sorta di controllo del territorio con delle azioni che possono diventare molto violente, soprattutto dopo che le associazioni del quartiere hanno deciso di rendere loro la vita più difficile: “Il quartiere si è ribellato alla loro presenza”, continua Philippe Carry, mentre mi mostra le varie petizioni che ha contribuito a scrivere e i resoconti delle riunioni tenute insieme con gli altri commercianti della zona. “Per il commercio è fondamentale essere “in pace”; leggere articoli allarmati sui giornali, vedere descritto il Vieux Lyon come un quartiere di estrema destra non fa bene agli affari”.

 

Per il suo attivismo, Philippe Carry è stato colpito personalmente, prima ha trovato la porta di casa forzata, poi hanno vandalizzato la sua vetrina. “L’aggressione alla mia bottega mostra il cortocircuito di queste persone. In Francia esistono circa trenta laboratori di orologiai artigianali come il mio, siamo in un certo senso i custodi del savoir-faire francese, lo stesso che queste persone dicono di volere difendere”, dice Philippe Carry.

 

Secondo uno dei fondatori della Maison des passages, un’associazione che si occupa di organizzare dibattiti, mostre e spettacoli teatrali sulla diversità e l’immigrazione, il movimento di rigetto del quartiere è stato paradossalmente aiutato dall’attacco subìto dall’orologiaio: “Anche noi, per quello che rappresentiamo, siamo diventati un loro obiettivo, hanno provato a saccheggiare i nostri uffici, distrutto parte della nostra vetrina, costringendoci a mettere una rete metallica. Ma finché lo scontro era limitato a persone come noi, che possiamo essere ricondotti a militanti di idee di sinistra, il resto del quartiere non si sentiva attaccato in quanto tale. Prendersela con l’orologiaio di Saint-Paul è stato troppo, e la città ha reagito duramente”.

 

Il Foglio ha provato a visitare le loro sedi, senza successo. Alcuni hanno semplicemente deciso di andarsene, altri, come il Pavillon noir, sono stati chiusi con un decreto del prefetto, altri ancora, come il negozio di tatuaggi a rue Lainerie, prima animato da un militante del Bastion Social, Logan Djian, e da un militante di Casa Pound, Daniele Castellani, hanno cambiato nome e gestione. L’unico locale ancora aperto è La Traboule, la sede di Génération identitaire, una porta blu che dà sulle scale, a Montée du change. Il Foglio ha provato a contattare i responsabili di questi movimenti, senza riuscire a ottenere un’intervista. Siamo andati per tre giorni consecutivi a La Traboule, abbiamo bussato il campanello, aspettato, ma all’interno non c’era nessuno.

 

Jean-Yves Camus spiega che esistono dei contatti molto stretti tra il Rassemblement national (ex Front national) e questi gruppi più estremi: “C’è stata un’epoca in cui la federazione regionale del Rhône del Front national aveva accettato un certo numero di personalità che facevano militanza anche nei gruppi di estrema destra, come Yvan Benedetti e Alexandre Gabriac, eletti nel consiglio regionale in delle liste del Front national. Poi Marine Le Pen, dopo essere stata eletta alla guida del partito nel 2011 ha pian piano depurato il partito da questi personaggi”.

 

Camus sostiene che l’obiettivo dell’estrema destra sia più culturale che elettorale, e che l’attività politica di associazioni come Génération identitaire aiuti indirettamente il Rassemblement national: “La loro è un’ideologia che possiamo definire come anti-multiculturalista, sostengono che la Francia sia un paese di cultura cristiana e considerano che essere francese voglia dire appartenere a un gruppo etnico preciso. Diventare un partito però è difficile, per ragioni economiche ed elettorali: non sono considerati come presentabili. Così la loro attività si sposta sul piano culturale, cercano di attirare l’attenzione sui problemi dell’immigrazione, sull’islam. E il Front national recupera questi temi affrontandoli in modo più moderato e, se vogliamo, presentabile”.

 

Quando Camus parla di azioni dimostrative si riferisce al colpo comunicativo messo in atto l’anno scorso. Il 21 aprile 2018, poco dopo le 9 del mattino, una colonna di pick up ha risalito la strada che da Névache porta al Colle della Scala, passo alpino di 1.700 metri al confine tra Italia e Francia. Dalle Jeep scoperte sono scesi un centinaio di militanti di Génération identitaire. La milizia ha ripristinato in modo simbolico la frontiera, per “Dimostrare che è possibile controllare i nostri confini, se c’è la volontà di farlo”. Il Front national, in quell’occasione, si è schierato in modo molto compatto con il movimento, difendendo la sua azione dimostrativa.

 

Circa un mese dopo la nostra visita a Lione siamo stati ricontattati da Romain Espino, il responsabile di Génération identitaire di Lione, che ha accettato di rispondere a qualche domanda. Espino rifiuta la definizione di estrema destra proposta dai media nei confronti di movimenti come il suo, e ci tiene molto a specificare di ritenersi “di destra identitaria”. Gli chiediamo cosa voglia dire concretamente: “Difendiamo i valori e le tradizioni. Le popolazioni che dal nord Africa e dall’Africa subsahariana si trasferiscono qui in Francia non lo fanno perché amano questo paese, ma perché è più vantaggioso rispetto al loro paese di origine. Vogliono imporci il loro modo di vivere, la loro visione della società e la loro religione. C’è una minaccia reale”. Espino chiarisce anche qual è l’obiettivo di Génération identitaire, un’analisi molto simile a quella tratteggiata da Jean-Yves Camus: “Non siamo un partito, non abbiamo l’obiettivo di posizionarci su tutti i temi politici, ma mandiamo avanti la nostra battaglia sulle questioni di identità, interveniamo per orientare il dibattito politico, mostrando ai responsabili politici quali sono i problemi e obbligarli a prendere posizioni. Il nostro obiettivo è influenzare tutta la destra, i Républicains, Debout la France, e il Rassemblement national”.

 

Durante il weekend che ha trascorso a Lione il Foglio ha anche provato ad assistere a una conferenza organizzata da Égalité et Reconciliation, movimento antisemita e cospirazionista che unisce alcune idee di estrema destra e di estrema sinistra, in collaborazione con Civitas, associazione di cattolici integralisti, dal titolo “Immigrazionismo, nazional-sionismo: due trappole tese dal mondialismo”. Gli organizzatori non sono riusciti a trovare una sala disponibile ad accoglierli, a dimostrazione di come Lione cerchi in tutti i modi di smentire la narrazione che la vorrebbe come capitale dell’estrema destra. Chiediamo a Thomas Rudigoz, tra i principali protagonisti della chiusura amministrativa del Pavillon noir, ritrovo del Bastion social, se crede che la battaglia è stata vinta: “Affatto, purtroppo il problema esiste e resta insidioso, il Bastion social è tuttora attivo: è vero, non possono più riunirsi ufficialmente al Pavillon Noir, ma ci risulta che in modo molto discreto delle riunioni continuino a tenersi. Purtroppo, visto il contesto nazionale ed europeo, il terreno per queste attività resta fertile”. Per adesso resta dunque una sola possibilità per evitare che queste persone prendano di nuovo il controllo di una parte del centro storico di Lione, conclude Rudigoz: “Essere vigili”.

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