Migranti al porto di Tripoli (foto LaPresse)

Il governo sulla Libia è in deficit di credibilità

Daniele Raineri

“A testa alta” nei vertici internazionali, aveva detto Conte in estate. Ma nell’incontro di Palermo i gialloverdi usano lo stesso schema usato in economia: spariamola grossa, poi vedremo

New York. All’inizio dell’estate il governo gialloverde fece circolare uno slogan che riguardava il neo premier Giuseppe Conte: con lui, si diceva, finalmente il paese recuperava credibilità internazionale. Si trattava di un mantra misterioso – misterioso perché non era retto ancora da alcun fatto, non poteva esserlo – ma Conte lo fece suo l’11 agosto in un messaggio video alla nazione postato su Facebook: in tutte le missioni all’estero, diceva, “l’Italia si è presentata a testa alta senza mai chiedere concessioni, favori. Il nostro paese ha riacquistato credibilità agli occhi dei leader stranieri”.

 

Tre mesi dopo è arrivato il primo test reale di credibilità internazionale, la Conferenza organizzata dal governo gialloverde per stabilizzare la Libia cominciata ieri a Palermo, e Conte è più solo che mai. Aveva invitato il presidente americano Donald Trump – con il quale si vanta di avere un rapporto speciale – e il presidente russo Vladimir Putin – che dovrebbe considerare il governo gialloverde il più amichevole d’Europa – ma nessuno dei due è venuto, anche se sarebbero bastate loro due ore di volo da Parigi dov’erano domenica (la data della Conferenza in Sicilia era stata scelta apposta). La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron non ci sono. Il segretario di stato americano, Mike Pompeo, che era a Parigi domenica, non è venuto. Il generale Khalifa Haftar, senza il quale non c’è alcun accordo in Libia, un giorno dice che viene, il giorno dopo smentisce e infine arriva in un balletto umiliante da cui non potrebbe uscire “a testa alta” nessun governo. Immaginate l’America o la Russia o la Francia organizzare una conferenza di pace senza sapere se una delle due parti si presenterà.

 

A questo punto lo scenario migliore – si fa per dire – è che Haftar oggi farà una foto con i presenti, ma la foto l’aveva già ottenuta Macron a Parigi e ottenere il bis a Palermo un anno e mezzo dopo pare un po’ poco. Il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero non c’era all’apertura della Conferenza perché era a Bruxelles e non c’era nemmeno l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, che è stato utile al governo gialloverde per fare da ponte con il governo di Tripoli ma poi è stato messo da parte. I due azionisti di maggioranza della presidenza Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, non stanno pronunciando una sillaba sulla Conferenza perché sono impegnati nella loro gara personale, riconoscono un fallimento di credibilità da lontano e non vogliono perdere punti. E’ venuto il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ma la sua visita è piuttosto il sigillo finale alla ritrovata intesa con l’Italia dopo l’infarto diplomatico causato due anni fa dall’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, e le indagini sono ancora aperte. Il risultato è che stiamo perdendo la presa sulla Libia, che era l’unico settore degli affari esteri dove avevamo qualche rilevanza. E’ l’equivalente applicato alla politica internazionale di quello schema già usato dal governo gialloverde in politica economica: prima facciamo un grande annuncio e poi vedremo se ci riesce di andarci vicini.

 

La Conferenza di Palermo soffre di un deficit di credibilità accumulato negli anni. Il movimento Cinque stelle appoggiava fino al 2017 i golpisti libici che vogliono la testa del premier Fayez al Serraj e che in queste settimane si sono attestati sul fronte dei combattimenti ormai dentro alla capitale. Il fatto che poi al governo i grillini abbiano cambiato totalmente idea non aumenta la loro credibilità. Serraj una settimana fa ha ricevuto la visita del ministro della Difesa e del capo di stato maggiore della Turchia e parla spesso con i francesi, è chiaro che non affida la sua sopravvivenza soltanto al governo Conte. Appena due settimane fa Salvini era in Qatar a tessere le lodi dell’emiro e la cosa non dev’essere piaciuta a Haftar, che lo odia. Inoltre Salvini ad agosto aveva pubblicamente dimissionato Alberto Manenti, capo del servizio segreto esterno (Aise) e uomo cardine per quel che riguarda la Libia, eppure la settimana scorsa un Manenti ancora molto operativo è volato a Mosca per convincere i russi a convincere Haftar a venire. Insomma, molta confusione. Per fortuna, almeno, Conte ha precisato al direttore della Stampa Maurizio Molinari nell’intervista di ieri che a Palermo ci saranno soltanto “esponenti delle milizie armate ma ovviamente di armato non ci sarà nessuno”.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)