Combattenti Houthi a Sanaa (foto LaPress)

In Yemen la guerra dall'alto continua a fare strage di civili

Luca Gambardella

Ennesima strage nel nord del paese controllato dai ribelli: decine i bambini morti dopo il lancio di missili della coalizione sunnita. Un disastro umanitario che coinvolge anche gli sponsor rivali: Stati Uniti e Iran

Oggi a Dahyan, nel nord dello Yemen controllato dai ribelli sciiti Houthi, un attacco aereo lanciato dalla coalizione sunnita ha colpito uno scuolabus e ha ucciso decine di bambini. L'Arabia Saudita, che comanda insieme agli Emirati arabi uniti le operazioni militari contro i ribelli, ha giustificato il bombardamento, definendolo "un'azione militare legittima", "conforme al diritto umanitario internazionale". Non esiste un bilancio certo delle vittime, ma l'agenzia Reuters parla di 43 morti – soprattutto bambini – e 61 feriti. Si tratta solo dell'ultimo caso di attacchi contro i civili nel paese, ennesima dimostrazione che la guerra aerea condotta da tre anni in Yemen semplicemente non funziona.

 

La Croce rossa internazionale – una delle pochissime organizzazioni presenti sul campo in quella che è considerata la più grave crisi umanitaria del mondo – ha detto che gran parte delle vittime aveva meno di 10 anni. "Secondo il diritto umanitario internazionale, i civili devono essere protetti durante il conflitto", ha ribadito Johannes Bruwer, capo delegazione della Croce rossa in Yemen. Ma in realtà, per quanto drammatico sia il bilancio provvisorio dell'attacco di oggi, il paese vive quasi quotidianamente stragi come questa. Secondo le ong, scuole e bambini sono tra i principali bersagli degli attacchi della coalizione. Solo il 2 agosto scorso le forze saudite avevano bombardato il mercato del pesce e l'ospedale di al Hudayida, uccidendo 55 persone e ferendone 130. Gli attacchi a Hudayida sono molto frequenti e hanno effetti drammatici, perché in questa città portuale che si affaccia sul mar Rosso arriva il 70 per cento degli aiuti umanitari diretti in Yemen. Per rispondere all'attacco, i ribelli a loro volta hanno lanciato due missili contro le petroliere saudite al largo delle coste, interrompendo per qualche ora i rifornimenti di greggio che attraversano Bab al Mandeb, il punto di passaggio obbligato per le petroliere che accedono dal Golfo di Aden al mar Rosso.

 

Così come già avvenuto per l'attacco di oggi, le autorità militari della coalizione parlano di solito di attacchi legittimi e proporzionati. Nel caso del bombardamento a Dahyan, una nota diffusa dai sauditi ha detto che l'attacco mirava a rispondere all'attacco missilistico lanciato ieri dagli Houthi che aveva preso di mira la città saudita di Jizan, poco oltre il confine con lo Yemen. Secondo la coalizione sunnita, i ribelli sciiti sarebbero soliti usare i bambini come scudi umani e a questo si dovrebbe l'alto numero di vittime tra i più piccoli. Ma secondo le Nazioni Unite e le ong gli attacchi contro i civili sono spesso deliberati, o frutto di errori nell'identificazione dei bersagli al suolo. Solo raramente il comando militare saudita e gli alleati americani ammettono questi errori, che spesso costano un elevato numero di vite tra i civili. Il conflitto tra sciiti Houthi – sostenuti dall'Iran – e coalizione sunnita – appoggiata dagli Stati Uniti – è iniziato nel 2015, quando i ribelli avevano costretto all'esilio il presidente filo-saudita Abd Rabbu Mansour Hadi, l'unico legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale. Da allora, secondo il bilancio ufficiale delle Nazioni Unite, coloro che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case sono stati oltre 3 milioni, mentre i morti sono stati 10 mila. Ma altre verifiche non ufficiali parlano di un bilancio cinque volte più grande.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.