Theresa May (foto LaPresse)

Lezione di élite

Giuliano Ferrara

Imparare da Theresa May: resistere ai populisti, altro che ributtarsi a sinistra

Guardando Theresa May a Westminster tra gli sbertucciamenti ho fatto qualche piccolo pensamento. C’è il problema di chi ci rappresenta e quello di come ci rappresentiamo. Non mi convince l’ipotesi, riaffacciata con eleganza da Luciano Violante nel Corrierone di ieri, secondo la quale una volta la sinistra rappresentava le classi sociali deboli e la destra i poteri forti, poi c’è stata l’inversione delle parti e dunque il popolo ha preso a votare per le destre nazionaliste, cariche di miti e imperativi volgari della paura e del risentimento, lasciando con un palmo di naso la sinistra globalizzatrice e chic.

 

Ricordo Giorgio Amendola che scriveva nei Sessanta su Rinascita, il settimanale fondato da Togliatti, un articolo-verità in cui sosteneva, all’epoca del centrosinistra storico, che i sindacati e gli intellettuali della sociologia militante (c’è sempre un De Masi in agguato dietro ogni scemenza) dovevano smettere di raccontare balle sull’inadeguatezza dei salari dei lavoratori, che erano cresciuti, stavano crescendo. Chi rappresentava indubitabilmente un ceto popolare forte e compatto di allora, gli operai dell’industria base del Boom, faceva della seria pedagogia politica e cercava di indurre i rappresentati a immaginarsi per quello che erano, non una nebulosa di rancori sociali ma una potenza riformista.

 

Ricordo Bettino Craxi che, con modi brutali, demoliva negli Ottanta la scala mobile dei salari per il suo osceno egualitarismo antindustriale e antieconomico, in tempi di inflazione galoppante, e lo faceva con Pierre Carniti, sindacalista solidarista, social-cristiano, durissimo nei metodi all’americana, aziendalisti e di categoria, dai tempi della sua Fim: entrambi non sopportavano, e fu una battaglia durissima, per una volta vinta con destrezza, la piatta rappresentazione che esprimeva il lavoro dipendente del suo ruolo e delle sue potenzialità di lavoro e di reddito. Ricordo anche Berlusconi che vinse a Mirafiori nel 1994 a mani basse il voto operaio e popolare, in un anticipo degli anticipi di cui il Cav. fu assoluto specialista, ma senza mai rinunciare a presentarsi come un campione dell’imprenditoria, un uomo fattosi da solo, un riccone con idee di riforma liberale del sistema, dalle tasse al famoso articolo 18 (e qui i freni furono più potenti dell’accelerazione, come si sa).

 

Insomma, che sia la sinistra o siano fenomeni nuovi di taglio populista e democratico, i fatti dicono nella storia italiana, che ha riscontri ampi in quella europea e mondiale, che si può rappresentare il popolo senza diventare una caricatura del popolo o del populismo, come è invece accaduto ai ruspanti di Salvini e ai vaffa della Giggi Economy. Il punto è importante, perché ne deriva che la soluzione non è un rilancio generico e populisteggiante della sinistra all’inseguimento dei nuovi venuti, bensì la riaffermazione, da sinistra o da dovunque si voglia, della verità di certe cose e della falsità di altre, della giustezza di certe soluzioni e della cecità di altre. Si può tenere botta e il rilancio non è imitativo. Per dirlo con una famosa formula: non mollare.

 

Ma che c’entra Theresa May? C’entra. E’ un leader nato da una disgrazia, la Brexit imposta via referendum involontariamente, dunque un vero delitto cumulato a un errore, dal conservatore Cameron. E’ un leader che affronta l’ascesa elettorale incredibile del superpopulismo socialisteggiante di Jeremy Corbyn, nel paese in cui il New Labour di Blair aveva fatto i conti con le verità e le giuste soluzioni del thatcherismo, il liberismo nelle mani di una rivoluzionaria. E’ un leader reso fragile dall’astuzia e dal cinismo delle classi dirigenti del suo partito o di una frazione importante di esse, in cui primeggia l’artificio retorico-politico del dottor Boris Johnson, un Johnson così diverso dal grande Samuel, severo maestro letterario e civile del Settecento inglese, un Johnson che gode a fare del rappresentante il tonante amplificatore della follia della folla invece che il castigatore delle stupidità passanti e vaghe.

 

Ecco. Si è vista in un video la May mentre il rettangolo magico del parlamento britannico le rumoreggiava contro, lei era nel pieno del casino, costretta a parlare per vaghezze politiciste e a giustificare, coprire, un potere esecutivo debolissimo, specie in relazione al sano tentativo di negoziare una Brexit che non costi ai sudditi di Sua Maestà più di quanto già gli è costata fino adesso, e gli MP la dileggiavano chiassosamente, la deridevano, la interrompevano, rendevano difficilmente percepibile quel che diceva, uno spettacolo selvaggio a cui Westminster, il benedetto modello Westminster, ci ha abituati, quando la democrazia mostra la sua allegra ubriachezza e si leva i lacci delle scarpe e rutta di gran timbro dal profondo della gola collettiva.

 

Uno spettacolo interrotto con parole sarcastiche dallo Speaker dei Comuni, per un momento, con la premier che si sedeva per consentirgli di ristabilire per dir così un qualche ordine e si rimetteva in piedi per parlare con uno sguardo di sfida e di replica all’oltraggio insieme fiero, disincantato, non livoroso: certo, ridete, potete ridere, l’essenza della discussione parlamentare è questa, bevete tranquilli anche al mattino, onorevoli colleghi che pensate al festival multicolore delle vostre constituencies, dei vostri rappresentati incazzati, ché tanto io quel che vi devo dire ve lo dico, e poche storie ma senza rancore, senza astio, sorridendo nel fragore belluino degli sbertucciamenti. Ecco. Esistono classi dirigenti, o le loro aristocrazie migliori, anche quando perdono, che sono dette élite, e la loro tempra, che si vede anche e sopra tutto quando vengono domati certi istinti, quando la pretesa caricaturale di rappresentare il popolo mille volte pazzo si manifesta in tutta la sua potenza di fuoco. Di questo ci sarebbe bisogno. Altro che di rimettersi a fare la sinistra con un occhio pietoso e solidale verso le paure e le ubriacature nazionaliste, socialiste, della nuova base popolare e proletaria che chiude i porti ai miserabili senza saper distinguere un rimorchiatore da un incrociatore.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.