Iván Duque Márquez con la madre Juliana Marquez Tono (foto LaPresse)

Chi è il nuovo presidente della Colombia

Maurizio Stefanini

Si definisce “estremista di centro” ma è sostenuto dalla destra. Ha sconfitto un ex guerrigliero. Il problema della pace con le Farc e delle riforme economiche

“Oggi è un giorno molto speciale per la Colombia. Voglio ringraziare Dio e il popolo colombiano perché una nuova generazione arriva a governare con tutti e per tutti, con la maggior votazione della storia nel nostro paese”. Così Iván Duque Márquez ha salutato la sua elezione a presidente di Colombia, con 10.373.080 voti: il 53,96 per cento, contro gli 8.034.189 voti e il 41,81 per cento di Gustavo Francisco Petro Urrego. Si tratta di un record nella storia elettorale colombiana: oltre un milione di voti in più rispetto a quelli con cui nel 2010 il presidente uscente Juan Manuel Santos vinse il suo primo mandato contro il verde Antanas Mockus.

  

Nato il primo agosto del 1976, Duque è il più giovane presidente della storia colombiana. Avvocato, un master alla American University, un altro alla Georgetown University, una specializzazione a Harvard, esperienza lavorativa Banca Interamericana di Sviluppo, già consulente del ministero delle Finanze con Santos. Con lui per la prima volta diventa vicepresidente di Colombia una donna: la 63enne Marta Lucía Ramírez, già ministro del Commercio con l’Estero e della Difesa, ambasciatrice a Parigi, candidata presidenziale del Partito conservatore nel 2014. Duque ha anche promesso di riempire di donne la sua amministrazione.

 

Tra le sue maggiori promesse c'è una semplificazione del sistema fiscale: “Vogliamo fare del nostro paese il paese delle microimprese, delle piccole, delle medie e delle grandi che generino impiego, che permettano di espandere la classe media, che permettano di sconfiggere la povertà”. Ha pure parlato di “Economia Arancione”: “una gioventù che desidera la scienza, la tecnologia e l’innovazione”. E ha promesso di fare della Colombia “un paese di sostenibilità ambientale”, promuovendo i veicoli elettrici e il riciclo. Un discorso da riformista liberale. In effetti Duque si definisce “un estremista di centro”, e il suo partito Centro Democratico.

  

L’immagine è però quella di una vittoria della destra. Il Centro Democratico fu infatti fondato dall’ex-presidente Álvaro Uribe Vélez quando ruppe col suo delfino ed ex-ministro della Difesa Santos sul tema del negoziato di pace con le Farc, e con i candidati vicini a Santos affondati al primo turno il ballottaggio tra Duque e l’ex-guerrigliero Petro è apparso come un nuovo referendum sulla pace: dopo quello che Santos perse, ma poi superò sull’onda del Nobel per la Pace. Duque è un candidato tra i più riformisti che il Centro Democratico poteva scegliere, e d’altra parte Petro non viene dalle Farc ma dall’M-19: altro movimento guerrigliero di immagine più moderata, che tornò nella legalità già nel 1990. In più Petro era riuscito per il ballottaggio a ricevere l’appoggio di personaggi sicuramente non sospettabili di simpatia per le Farc: da Mockus a Íngrid Betancourt, che delle Farc fu la più famosa prigioniera, e la cui liberazione rappresentò uno dei più grossi successi per l’amministrazione Uribe. Tuttavia la somma dei voti mostra che Petro non è riuscito neanche a sommare tutto l’appoggio di Sergio Fajardo: altro candidato di sinistra che era arrivato terzo per un’incollatura. E' aneddotico ma non troppo ricordare che al momento del voto all’estero tra i colombiani in Italia al primo turno fuori dell’ambasciata di Roma tra sostenitori di Petro e di Fajardo finì a botte.

  

La campagna è stata dunque durissima, tra accuse a Duque di voler far fallire il processo di pace, e controaccuse a Petro di essere ideologicamente vicino al fallimentare regime venezuelano. In queste sue prime parole dopo l’elezione Duque cerca ora la riconciliazione. “Non c’è più spazio per continuare a incentivare i confronti e le rotture. Qui non si tratta più di Duquismo o Petrismo, si tratta di una Colombia per tutti noi”. “Oggi siamo tutti amici di costruire la pace”. Ha promesso che continuerà ad aiutare gli ex-guerriglieri che si smobilitano, ma anche mano ferma con chi nasconde le armi e alimenta il narcotraffico, come pure correzioni “a favore delle vere vittime”.

 

Quanto a Petro, secondo lui con otto milioni di voti “non c’è sconfitta”. Però quel “per ora non saremo governo” è sembrato una citazione non troppo velata al famoso “por ahora” con cui Chávez in tv aveva riconosciuto la sconfitta del suo golpe, promettendo però che avrebbe continuato la sua lotta.

Di più su questi argomenti: