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Il deal atomico con l'Iran non basta più, diplomatici al lavoro

Daniele Ranieri

Il congelamento della ricerca nucleare è inutile se Teheran trasferisce migliaia di missili in Siria sul confine israeliano. Ultimatum fra tre mesi

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Roma. Si parla con sempre più insistenza della necessità di un secondo patto con l’Iran, oltre a quello firmato nel luglio 2015 che stabiliva la fine delle sanzioni economiche internazionali in cambio del congelamento per almeno dieci anni del programma di ricerca nucleare iraniano. Questo secondo patto prende atto che il governo di Teheran è impegnato in una serie di manovre militari e politiche in medio oriente che sono aggressive e pericolose e quindi il congelamento della ricerca nucleare da solo non basta se tutto il resto va avanti come se nulla fosse. Anzi, a essere più precisi prende atto del fatto che per raggiungere quell’accordo sul nucleare per anni si è taciuto sulle altre questioni in cui l’Iran è implicato, lasciando che prendessero dimensioni preoccupanti. Sabato scorso un gruppo di diplomatici di Italia, Francia e Regno Unito ha incontrato un gruppo di diplomatici iraniani a margine della Conferenza per la sicurezza di Monaco, in Germania, proprio per parlare della necessità di questo secondo accordo. Tra le manovre aggressive citate da questi negoziatori europei – molto discreti e ancora impegnati in una fase molto preliminare – ci sono la questione Siria e la questione Yemen.

   

L’Iran sta gestendo la Siria come una piattaforma militare da usare in una possibile guerra contro Israele, ha occupato alcune basi, ha mandato un esercito di consiglieri militari e ha creato una moltitudine di milizie che in teoria non fa parte di un’armata regolare ma che in pratica è inquadrata tra le forze iraniane (il governo iraniano chiama queste forze “l’asse della resistenza”). Se il programma nucleare è congelato ma l’Iran sposta migliaia di missili nel sud della Siria a pochi minuti di volo dalle città israeliane, pronti a essere lanciati da gruppi paramilitari bene addestrati, allora dal punto di vista della pace in medio oriente la situazione è tornata di nuovo a prima del 2015 – anzi è molto più rischiosa. L’Iran potrebbe avere in mente una salva di missili “a saturazione” che potrebbe sopraffare e rendere inutili le difese missilistiche di Israele.

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Ieri il New York Times ha pubblicato un lungo pezzo che cerca di fare il punto della situazione e che contiene un’immagine molto chiara, la mappa in puntini rossi delle installazioni militari iraniane in Siria: un po’ dappertutto. Domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu mentre parlava dal podio della Conferenza di Monaco ha alzato un pezzo di un drone iraniano che dieci giorni fa è entrato nello spazio aereo di Israele. Insomma, in quell’area la questione è molto sentita. Un discorso simile vale per lo Yemen, dove negli ultimi due anni un gruppo di guerriglieri del nord all’improvviso ha cominciato a colpire con missili balistici l’aeroporto internazionale della capitale saudita Riad, a più di ottocento chilometri di distanza, e ha mostrato capacità militari mai dimostrate prima. Nel caso yemenita la situazione non è chiara come nel caso siriano, la collaborazione militare degli Houthi con l’Iran dev’essere ancora provata con elementi incontrovertibili e le dimensioni del progetto sono minori, ma lo schema trasformare-forze-irregolari-locali-in-alleati è uguale.

  

Questo secondo patto – che non esiste ancora: è l’oggetto di una discussione in corso – è molto legato al primo, quello del 2015. L’Amministrazione Trump ha detto che se non si raggiunge questo secondo accordo sui comportamenti aggressivi dell’Iran entro maggio allora si ritirerà anche dal primo accordo sulla ricerca nucleare e quindi imporrà di nuovo sanzioni economiche. Il fatto che un manipolo di diplomatici europei sia al lavoro per scongiurare quest’ipotesi, assai concreta, è il primo segnale di convergenza tra Europa e America da molti mesi, dopo che la spaccatura sulla questione Iran era diventata assai evidente.

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