Ecco perché il Petro, finto bitcoin di Maduro, non salverà il Venezuela

Maurizio Stefanini

Per l’economista Alexander Guerrero, dell’Università Metropolitana di Caracas, è tutta una truffa. “Maduro offre una criptomenta centralizzata, pubblica. Cioè il contrario di una criptomoneta. Semplicemente, gli è finita la carta per stampare banconote"

[Articolo aggiornato il 20 febbraio 2018] Il Venezuela ha ufficialmente lanciato la prevendita della sua nuova moneta digitale chiamata petro. "Petro è nato e avremo un successo totale per il benessere del Venezuela", ha detto martedì il presidente Nicolas Maduro, spiegando che saranno coniati 100 milioni di petro, per un valore complessivo di circa 6 miliardi di dollari: a ogni petro, ha spiegato il leader venezuelano, corrisponderà un barile di petrolio e la nuova moneta potrà essere usata e scambiata come si fa con le altre criptovalute.


     

Il debito che Caracas deve rifinanziare ha superato i 120 miliardi di dollari. A metà novembre scorso la compagnia elettrica statale è stata dichiarata in default. “È una pioggerellina prima di un enorme temporale", ha detto al New York Times Jose Valera, avvocato internazionale specializzato in energia: "l'intero Venezuela è in bancarotta". Per il momento né il debito sovrano del paese né quello della Pdvsa, la compagnia petrolifera nazionale, sono stati dichiarati insolventi dai creditori, anche se Standard&Poor's afferma che sussistono le condizioni per un default. Per rifinanziare l’enorme debito cumulato, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha annunciato la volontà di lanciare il "Petro", una versione virtuale degli ormai svalutatissimi bolivares. 

 

Secondo Maduro la nuova criptovaluta sarebbe “collegata alle ricchezze del paese” e servirebbe a combattere sia l’inflazione sia “l’embargo internazionale”.“Si chiamerà Petro”, ha detto domenica in tv. “Ci permetterà di avanzare verso nuove forme di finanziamento internazionale per lo sviluppo economico e sociale del paese”. Ma per l’economista Alexander Guerrero, PhD a Londra, Fellow a Oxford e professore di Economia all’Università Metropolitana di Caracas, è tutta una truffa. Come spiega al Foglio, “Maduro offre una criptomenta centralizzata, pubblica. Cioè il contrario di una criptomoneta. In realtà quello che sta promettendo è di digitalizzare e dematerializzare la moneta. Semplicemente, gli è finita la carta per stampare banconote! Carta, inchiostro e stampa costano ormai troppo, ai livelli di iper-inflazione del Venezuela. Maduro confonde dunque criptomoneta con digitalizzazione”.

   

Secondo Guerrero questa non è che l’ennesima conferma sull’assoluta ignoranza di cose economiche in un governo che si sforza di spiegare tutte le sue difficoltà nella chiave del “sabotaggio della rivoluzione”. “Maduro sembra non sapere che le criptomonete sono sistemi di pagamento e investimento decentralizzati. Cioè, non centralizzati da qualche ente pubblico, come avviene per il denaro o le riserve auree. Meno che mai sostenuti da cose che non hanno prodotto”. Maduro dice che vuole agganciare il valore del Petro alle ricchezze naturali del Venezuela come oro, petrolio o diamanti. “Potrebbe metterci allora anche la coca. È quella che in questo momento in Venezuela sta producendo più ricchezza di tutto. Ma Maduro non capisce che oro, petrolio o diamanti non hanno in sé valore quando stanno nel sottosuolo. Prezzi e valore si applicano solo quando arrivano sul mercato. In realtà quello che vuole è applicare il concetto di signoraggio in maniera digitale e continuare a monetizzare il suo incontenibile deficit fiscale all’infinito”.  Insomma, il “Petro è un ossimoro. La tecnologia su cui si basano le criptomonete, cioè il blockchain, le definisce come private. Se c’entra il governo non è più criptomoneta, per definizione”.  La previsione dunque è che il Petro “non avrà successo. Sarebbe semplicemente come buoni di debito esterno smaterializzati e digitalizzati”.

   

Un’opinione simile ce la dà un ingegnere che sulle criptomonete ci ha lavorato intensamente. Come molti venezuelani, perché effettivamente era un modo per ovviare all’inflazione più alta del mondo. Ma proprio per la sua allergia a ogni cosa che sappia di decentralizzazione, il governo ha messo in galera diversi “minatori” di Bitcoin, accusandoli di “frode cibernetica” e “furto di energia”. Per questo le opinioni dell’ingegnere le pubblichiamo in maniera anonima. “Del Petrocoin non esiste niente, meno che mai l’informazione tecnica. Qual è il suo algoritmo? La definizione di moneta digitale è che sia decentralizzata. Se non è decentralizzata e di codice aperto, dubito molto che abbia successo nel lungo periodo. Potrà servire per lavare un po’ di denaro sporco, ma il controllo completo cui vogliono sottoporla sarà il suo tallone di Achille, perché non ci sarà fiducia”.

   

In questo momento l’inflazione in Venezuela è arrivata al 63,8 per cento su base mensile, e al 1800 per cento su base annuale. La società petrolifera di stato, precipitata come produzione ai livelli degli anni Ottanta, tre settimane fa è stata dichiarata in default sia da Fitch che da Moody’s, mentre un incontro di Maduro con i creditori si è concluso dopo mezz’ora con un nulla di fatto. L’unica offerta concreta ai convenuti era consistita in pacchetti di “autentico caffè e cacao venezuelano”. Dopo aver a lungo accusato il “sabotaggio economico” della borghesia e le sanzioni internazionali Maduro sembra ora essersi accorto che c’è comunque anche una corruzione che dilaga ed ha dunque fatto arrestare una quantità di dirigenti della stessa Pdvsa, tra cui gli ex-presidenti e ex-ministri del Petrolio Eulogio del Pino e Nelson Martínez. Anche l’ambasciatore all’Onu Rafael Ramírez, a sua volta ex-presidente di Pdvsa, è stato esautorato, e suo cugino Diego Salazar Carreño è stato arrestato.

    

Alla testa della Pdvsa è stato imposto il generale Manuel Quevedo, accelerando la militarizzazione del regime. Contemporaneamente a Santo Domingo, con mediazione internazionale, si è tenuto venerdì e sabato un incontro tra rappresentanti del governo e rappresentanti di quella parte dell’opposizione che ancora accetta di dialogare. Nessun risultato concreto, ma un nuovo incontro è in agenda per il 15. Qualcuno sospetta che El Petro sia solo una trovata per distrarre l’opinione pubblica da questo dialogo, anche se non è ben chiaro a proposito di cosa: il cedimento all’opposizione, o il tentativo di imbrogliarla di nuovo? Bloomberg collega invece la mossa ai recenti tentativi russi di creare un cripto-rublo: un esperimento che secondo uno studio del mese scorso a firma Zura Kakushadze della Free University of Tbilisi e Jim Kyung-Soo Liew of Johns Hopkins University avrebbe potuto essere applicato anche da Venezuela, Iran, Corea del Nord e altri paesi sotto sanzioni. Insomma, un modo per risolvere i problemi di finanziamento attraendo denaro sporco da lavare. Che l’osservazione di Guerrero sulla coca e quella dell’ingegnere sul riciclaggio non siano solo battute?

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