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Perso le elezioni? Apri un podcast. Così politica e carriere stanno rinascendo

Eugenio Cau

In America praticamente ogni congressman ha il suo. Nella maggior parte dei casi si tratta di modi noiosi per moltiplicare la propria presenza online. Con alcune belle eccezioni

Roma. La nuova forma di disintermediazione dell’informazione politica in America è piuttosto anziana. L’hanno messa in atto quattro giovani veterani della politica americana, tutti membri di alto livello dell’Amministrazione di Barack Obama. Jon Favreau, Tommy Vietor, Jon Lovett e Dan Pfeiffer, nomi celebri nel circolo politico di Washington e non solo (Favreau è stato il principale speechwriter del primo mandato obamiano, e ha scritto alcuni dei momenti più memorabili della retorica presidenziale). Come tanti liberal convinti della vittoria di Hillary Clinton alle elezioni dell’anno scorso, i quattro sono rimasti devastati dalla vittoria di Donald Trump, ma dopo lo choc hanno deciso di reagire non rientrando in politica, ma con uno strumento di lotta e persuasione più efficace: il podcast. Avete capito bene. Il podcast, vale a dire una trasmissione radio registrata ad hoc per essere diffusa online e ascoltata su cellulare o da pc.

      

“Pod save America” è il prodotto di quattro tra le migliori menti della politica liberal americana, e se un podcast vi sembra poco dovreste ascoltarlo. Non solo: dovreste vedere i numeri che genera. Secondo il magazine del New York Times, che ha dedicato alla questione un lungo articolo sul suo ultimo numero, un milione e mezzo di americani ascolta due volte alla settimana il podcast di Favreau e colleghi, e la casa di produzione messa su per l’occasione, Crooked Media (evidente riferimento agli attacchi trumpiani contro gli avversari) secondo stime del magazine fattura circa cinque milioni di dollari l’anno solo in introiti pubblicitari. Pod save America è un prodotto “unapologetically” liberal, nel senso che è militante. Favreau e i suoi hanno organizzato raccolte fondi, mobilitato attivisti, contribuito attivamente alla discussione politica.

 

Secondo il magazine del New York Times, Pod save America sta alla politica di sinistra come il programma radiofonico di Rush Limbaugh (o, ancora più su nella catena alimentare, Fox News) sta alla politica di destra, e questo è un risultato che non era riuscito a nessun altro in precedenza. Ci ha provato Current Tv, il network di Al Gore, ed è fallito miseramente. Stesso destino per il network radiofonico liberal Air America. Se Pod save America è riuscito nell’impresa, lo deve al fatto che ha introdotto una ricetta propria: non ha cercato di fare “la Fox di sinistra”, ma ha trovato un tono – rilassato, colloquiale, eccezionalmente spontaneo – per fare militanza “grassroot” e ascolti al tempo stesso. Il merito, però, è anche del mezzo in sé. Se dell’esplosione del podcast come mezzo espressivo si è già parlato, il podcast politico è uno dei generi in maggior ascesa, capace di muovere milioni e resuscitare carriere. Guardate al Regno Unito, dove il laburista Ed Miliband, dopo la cocente sconfitta politica del 2015, da qualche mese si è riciclato come podcaster con il suo Reasons to Be Cheerful e, con una certa sorpresa, i critici hanno dovuto constatare: è bravo!

   

In America, dove la podcast mania esiste da anni, praticamente ogni congressman ha il suo. Nella maggior parte dei casi si tratta di modi noiosi per moltiplicare la propria presenza online: deputati, senatori e candidati a ogni carica aprono un podcast così come aprirebbero un nuovo account Twitter, e lo abbandonano quando non serve più o si accorgono che c’è troppo da lavorare. Ma alcuni podcast fatti da politicSe sono rivelatori. Secondo il New York Times, che al tema ha dedicato un articolo a firma di Amanda Hess lo scorso ottobre, il podcast della campagna elettorale di Hillary Clinton è diventato un ascolto interessante solo dopo la sconfitta, quando la candidata ha registrato a settembre 2016 due puntate molto intense. Hess scrive che il podcast è un mezzo usato per la stragrande maggioranza da politici liberal per ovviare all’ossessione trumpiana dei media tradizionali, benché gli ascoltatori di podcast siano solo leggermente più a sinistra della media dell’elettorato americano, e dunque ecco l’ex vicepresidente Joe Biden tenere un podcast in cui racconta le news dal suo punto di vista, mentre secondo il Chicago Tribune il sindaco, Rahm Emanuel, si è rivelato ai concittadini come una figura un po’ meno rigida da quando ha aperto il suo podcast, Chicago Stories.

    

E in Italia? I podcast vanno maluccio, con poche eccezioni ottime, e quelli politici sono inesistenti: c’è molto potenziale incompreso. Ma così tante carriere spacciate sono state rivitalizzate dal mezzo che forse anche da noi la classe dirigente dovrebbe farci un pensierino.

 

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.