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A Barcellona sfila la “maggioranza silenziosa” che non vuole l'indipendenza

Così la grande manifestazione unionista spezza il “momentum” degli indipendentisti. Lo scrittore Vargas Llosa: “Da qualche tempo il nazionalismo causa disgrazie anche in Catalogna. È per questo che siamo qui, per fermarlo”

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La grande manifestazione di oggi a Barcellona, organizzata dall'associazione Societat civil catalana per rappresentare quella “maggioranza silenziosa” contraria al referendum per l'indipendenza della Catalogna di una settimana fa, ha avuto due risultati fondamentali. Il primo: ha dato un corpo e una voce ai tantissimi catalani che in questi giorni (si potrebbe dire: in questi mesi) non si sono sentiti rappresentati perché estranei e anzi contrari al processo di indipendenza. Il secondo: ha bloccato il “momentum” dei secessionisti.

 

 

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La manifestazione è stata imponente, forse più di quanto gli stessi organizzatori si aspettassero. La gente ha riempito quasi interamente i due chilometri di percorso tra Plaça Urquinaona e Pla de Palau, creando una marea di bandiere spagnole non meno impressionante delle grandi movimentazioni di massa a cui ci hanno abituato gli indipendentisti.

 

 

L'affluenza alla manifestazione era importante, in quanto finora sono stati gli indipendentisti i migliori a usare la piazza come simbolo di una presunta volontà popolare favorevole in maniera schiacciante alla secessione. Secondo gli organizzatori, ha partecipato alla manifestazione oltre un milione di persone. La cifra ufficiale sarà sicuramente inferiore, ma il País parla comunque di centinaia di migliaia di cittadini. Hanno marciato i leader politici di tutti i principali partiti, dal Partido popular a Ciudadanos (assenza immaginabile quella di Podemos, meno comprensibile quella del Partito socialista catalano), più numerosissime personalità del mondo della cultura. Il premio Nobel Mario Vargas Llosa ha tenuto il discorso probabilmente più apprezzato.

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“La passione peggiore di tutte, che ha causato già grandi stragi nel corso della storia, è la passione nazionalista”, ha detto Vargas Llosa. "Religione laica, eredità deprecabile del peggior romanticismo, il nazionalismo ha riempito la storia d'Europa, del mondo e di Spagna di guerre, di sangue e di cadaveri. Da qualche tempo il nazionalismo causa disgrazie anche in Catalogna. E' per questo che siamo qui, per fermarlo”.

 

Il processo indipendentista catalano, ormai l'abbiamo capito, è fatto certo di manovre politiche, votazioni, sentenze tribunalizie. Ma è fatto anche, e forse soprattutto, di ricerca di legittimità. Il governatore indipendentista Carles Puigdemont e i suoi lo sanno: senza il sostegno internazionale, senza che l'Europa intera tifi per le tue idee, senza che le tue ragioni siano predominanti nel discorso pubblico, la causa secessionista è persa. 

 

Finora, la battaglia del sostegno internazionale e della legittimità morale l'avevano vinta gli indipendentisti. Le grandi manifestazioni di massa con bandiere catalane stellate, le immagini delle famiglie commosse al voto durante il referendum di domenica e, soprattutto, le notizie sulle violenze della polizia spagnola contro i pacifici catalani avevano danneggiato infinitamente la causa di Madrid, dando l'impressione che in Catalogna ci fosse un unico blocco di opinione pro indipendenza che veniva oppresso dal governo centrale.

 

Non è così, ma è servita questa manifestazione oceanica per dare corpo alla maggioranza silenziosa e per far crollare le pretese di rappresentanza del governo catalano. Dopo la fuga delle imprese da Barcellona e la manifestazione di oggi, la finestra di opportunità per dichiarare l'indipendenza a disposizione di Puidgemont si è eccezionalmente ridotta. Con che faccia il governatore catalano potrà presentarsi martedì in Parlamento e dire di mettere in atto la volontà popolare?

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