Kim Jong-un (foto LaPresse)

Come non parlare a Kim

Redazione

Sulla Corea Trump usa una retorica tossica che impedisce la de-escalation

Il ministro degli Esteri della Corea del nord questo lunedì ha fatto una cosa che suona terribilmente seria, ha cominciato a creare una versione ufficiale della guerra che potrebbe arrivare: sono gli Stati Uniti che hanno fatto la prima mossa, ha detto, le parole del presidente Trump – “il ministro degli Esteri coreano non sarà in giro ancora a lungo” – sono una dichiarazione di guerra, ora abbiamo il diritto di abbattere gli aerei americani anche fuori dal nostro spazio aereo. Insomma, nella escalation di retorica ora i leader coreani stanno costruendo davanti al popolo e al mondo esterno il contesto in cui avverrà la guerra: era inevitabile, prendete nota, siamo stati aggrediti. E rispondono alle manovre militari americane per fare pressione, come i sorvoli della penisola coreana con i bombardieri, per dire che quella pressione non la sentono affatto e anzi rincarano: quei voli non ci intimidiscono, anzi saranno un casus belli che potrebbe dare il via al conflitto.

 

E’ da notare come nella retorica della Corea del nord ci sia un’organizzazione a gradini, vale a dire che a Pyongyang stanno impostando la corsa verso la catastrofe come una serie di passaggi successivi – che sarebbe meglio non ci fossero, sottinteso. Non costringeteci a rispondere per le rime. Invece la retorica di Trump è disorganizzata. Non lascia vie d’uscita, non offre una rampa per uscire da questa corsa a due verso il precipizio, usa espressioni come “fuoco e furia mai visti prima” e “Rocket Man” che bloccano di fatto la de-escalation. Inoltre il presidente americano con queste uscite rumorose sta facendo il contrario di quello che dovrebbe fare, sta occupando il centro della scena, mentre dovrebbe tenersi da parte e lasciare che i mediatori cinesi sbroglino la situazione. Tanto non c’è da fare pubblicità alla potenza americana, si sa che c’è. E’ come andare da un suicida e dirgli: “Scommetto che non hai il coraggio di saltare, sbruffone”. Con la differenza che il suicida in questo caso può lanciare testate nucleari contro le città della Corea del sud, del Giappone e persino dell’America.

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