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Vieni avanti neonazi

Daniele Raineri

Charlottesville è stata una disfatta per la nazi “alt-right”. I due errori che per ora hanno bloccato l’ascesa del branco americano verso la politica mainstream

Roma. Nota la rivista americana The Atlantic che i fatti di Charlottesville sono il fallimento della cosiddetta alt-right americana di cambiare pelle e di lasciarsi alle spalle il cliché detestato e ridicolo dei suprematisti bianchi – “io odio i nazisti dell’Illinois”, i Blues Brothers li liquidavano così nel film di John Landis – per diventare una nuova forza politica mainstream con cui fare i conti. Eppure negli ultimi due anni avevano avuto successi insperati. Erano diventati esperti dei nuovi linguaggi, avevano creato colonie fortissime sui social media, si potevano riconoscere in molte prese di posizione dell’Amministrazione Trump – che non li appoggia, naturalmente, ma neanche prende le distanze in modo netto se non in casi eccezionali come ieri, e di malavoglia. “Il razzismo è malvagio – ha detto il presidente americano, Donald Trump – e quelli che provocano violenza nel suo nome sono criminali e delinquenti, inclusi il Ku Klux Klan, i neonazisti, i suprematisti bianchi e tutti gli altri gruppi di odiatori che sono ripugnanti per tutto quello che abbiamo caro come americani”. Trump è stato spinto a pronunciare queste parole da molti suoi consiglieri, incluso l’ex generale John Kelly che da due settimane è il suo nuovo chief of staff. Il Daily Stormer, il sito dei neonazisti americani, due giorni fa aveva gongolato: “Trump non ha detto nulla di specifico contro di noi, non ci ha condannato, non c’è alcun segnale contro di noi”.

 

Negli ultimi due anni i militanti dell’estrema destra americana potevano dire se non di essere arrivati all’egemonia culturale – da cui sono lontanissimi – di avere comunque il vento bene in poppa. A un certo punto la normalizzazione sembrava quasi cosa fatta: i siti dei giornali nazionali presentavano la pettinatura e lo stile nel vestire di Richard Spencer, uno dei leader carismatici, come fosse una nota di colore qualsiasi, e ormai i media avevano accettato l’etichetta “alt-right”, destra alternativa, che è un camuffamento del ben noto assortimento di impresentabili. Poi due episodi hanno rovinato l’ascesa della “alt-right” verso lo status di nuova forza politica legittima. Uno fu il discorso famigerato di Spencer a Washington nel novembre 2016 per celebrare l’elezione di Trump: gli slittò la frizione, concluse con un sonoro “Heil Trump” a cui i presenti risposero scattando a braccio teso. La troppa indulgenza verso il solito repertorio nazistoide bruciò in un attimo la percezione che fossero una novità: erano i soliti di sempre, ma con una bella pettinatura. Il secondo episodio è appena finito questo fine settimana a Charlottesville, dove il raduno della destra che doveva essere la grande prova di forza è invece diventato il disvelamento – il solito disvelamento, l’ennesimo disvelamento – che i suprematisti bianchi sono sempre la stessa zuppa, anche se adesso sono più di prima e vanno forte su Twitter. Una manifestante antirazzista uccisa in un assalto a sfondamento con una macchina (così identico a un attentato tipo dei fanatici dello Stato islamico), altre trenta persone ferite, due poliziotti morti dopo che il loro elicottero è precipitato mentre seguiva gli scontri, milizie armate che giravano nelle strade – le leggi dello stato della Virginia lo permettono – e la cui presenza ha inibito l’intervento della polizia, che in molti casi ha preferito stare in disparte per non complicare la situazione. L’elenco potrebbe continuare, ma il senso è che Charlottesville è stato un fallimento della alt-right. Spencer, intervistato dall’Atlantic, dice che lui era “soltanto un invitato” e non un organizzatore. Jason Kessler, che invece è di sicuro tra gli organizzatori del raduno, preferisce non rilasciare interviste perché dice che in questo momento il pregiudizio contro di lui è troppo forte. Domenica aveva provato in una conferenza stampa improvvisata a dare una sua versione, ma era stato inseguito e placcato in un’aiuola da contestatori inferociti che lo accusano della morte di Heather Heyer, la manifestante antifascista investita dalla macchina.

 

Nel calcolare i pro e i contro di questo raduno con le torce davanti al paese, i militanti della alt-right sembrano avere peccato della stessa ingenuità di Peter Cvjetanovic, uno studente immortalato mentre alla testa del corteo dei suprematisti bianchi grida slogan nazionalisti. “Non credevo che la mia foto sarebbe girata così tanto”, ha detto, impaurito da tutta l’attenzione su di lui, e poi ha prodotto alcune precisazioni molto deboli sul fatto che lui è un nazionalista, non un razzista.

 

Registrato questo fallimento, c’è comunque da tenere in conto che Charlottesville non è stata che una tappa. Sabato prossimo a Boston ci sarà un nuovo raduno, tutti gli errori del fine settimana scorso potrebbero essere risolti nelle prossime adunate, ma alcuni problemi non sembrano di facile soluzione, almeno a breve termine: per esempio la presenza delle milizie armate e vestite con le mimetiche, al punto che sembravano la Guardia nazionale arrivata a sorvegliare gli scontri. E invece degli scontri erano parte. 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)