Donald Trump (foto LaPresse)

Cacciare Trump a calci nel sedere

Giuliano Ferrara

E’ ora di mettere in sicurezza gli Stati Uniti, la sua Amministrazione, le sue Forze armate e di intelligence, la sua diplomazia. Il Grand Old Party sostituisca al più presto il pericoloso cialtrone con Mike Pence

Che Trump fosse un pericoloso cialtrone, un leader banalmente infantilizzante e infantile, un re degli ignoranti, alcuni di noi, pochi, lo avevano capito per tempo. Non faccio l’elenco delle cose, ad alto o medio contenuto incostituzionale, con sospetto di sfumatura criminale, capaci di dimostrare l’assunto. Il lettore del Foglio sa, ne sa più di me. Ora bisogna vedere se il Grand Old Party, questa riserva di bassa energia politica e civile, questo partito avvilito da un clamoroso take over televisivo e da una classe dirigente penosa, salvo le solite notevoli eccezioni, saprà prendere atto della cosa e lavorare con accanimento per mettere al più presto il vicepresidente Mike Pence, un mediocre ma eletto nel ticket con l’impostore, al posto dell’uomo di fiducia, il truffaldo che si è impadronito delle leve di un potere che non sa gestire se non in modo puerile, narcisistico, estremamente dannoso per l’America e per il mondo. Sarebbe un modo per salvare almeno in parte l’onore politico di una maggioranza congressuale che si avvia a diventare minoranza impotente nel giro di un anno e mezzo o poco più, visti i disastri combinati e da combinare a cura dell’uomo finito eletto con tre milioni di voti meno del competitore alla Casa Bianca. E di mettere in relativa sicurezza il paese più importante del mondo, la sua celebrata Amministrazione di sistema, le sue Forze armate e di intelligence, la sua diplomazia, la struttura del potere federale degli Stati Uniti, giustizia umiliata compresa, che oggi è nelle mani di un bamboccio irresponsabile. L’America intesa come free speech, opinione, lobby, mercato, associazioni, compresa come fervore democratico e costumi inattaccabili di libertà, ha le risorse per fare questo e altro.

 

Sono queste espressioni forti, che non avrei mai voluto usare, e mai e poi mai a proposito di un paese che questo piccolo giornale difese con grinta per anni dagli attacchi scriteriati delle tribù antiamericane d’occidente, in particolare all’indomani dell’11 settembre del 2001. Un paese che ha sognato e ha saputo far sognare non tanto in ragione del suo potere simbolico e materiale quanto della possanza del suo sistema di libertà costituzionali e della sua cultura di governo imperiale dell’ordine mondiale, capace di sacrificio e di attenzione meticolosa ai temi veri della pace e della prosperità dei popoli, che si realizzano anche attraverso l’uso intelligente della forza nei momenti decisivi del secolo americano. Un paese di liberatori conquistato da un pupazzo. Un paese che ha Dio nel suo essere profondo avvilito da un bamboccio anticristiano. Purtroppo otto anni di correttezza politica e di bulimia harvardiana sotto il presidente Obama, comunque un gigante rispetto a quello che si vede ora, hanno prodotto una reazione antiestablishment di cui il primo demagogo di passaggio ha saputo così abilmente e così egoisticamente approfittare. Nella sua mediocrità Hollande ci ha lasciato in eredità Macron, con il suo governo e la sua battaglia antidemagogica per una riforma reale della V Repubblica e dell’Europa nel segno della reazione intelligente alla stupidità della chiusura mentale e di spirito. Obama, nella sua grandiloquenza che lo consegna sic et simpliciter alla storia e a molte vacanze in Toscana, primo presidente nero in un paese che ci ha messo cent’anni, da Lincoln a Johnson (1863-1964), per abolire davvero la schiavitù e la segregazione razziale, dalla guerra di secessione al Civil Rights Act, ci ha lasciato uno stuolo di cuochi, un orto bio nel giardino delle rose a Washington, e Donald Trump.

I dementi e i mezzi dementi che quando c’era da battersi per l’America sonnecchiavano, e si sono risvegliati soltanto per dare del fenomeno Trump una lettura grottesca, di adesione e pregiudizio, spesso nel segno della tentata colonizzazione russa o putiniana dell’America, dovrebbero cominciare ad accorgersi che le barzellette sulla volontà popolare sono appunto barzellette, jokes, blagues, offuscamenti mentali da troppo reality show quando non siano integrate dal funzionamento professionale weberiano della politica istituzionale, con intelligenza e competenza elitaria. I tiepidi, quelli che aspettiamo-di-vedere-che-fa, dovrebbero capire che la superficie delle cose è quella che dà la loro profondità allarmante. Gli euforici del mercato che festeggia guardino intanto la quotazione del dollaro, il resto ha da seguire. O Trump viene tecnicamente imbambolato in uno dei suoi campi da golf, questo Briatore che si credeva di essere un Berlusconi, poveretto, o va cacciato via a calci nel sedere. E ora occupiamoci del G7 e dell’incontro con il Papa.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.