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Trump, un paranoico da operetta

Giuliano Ferrara

Non è questione di orwellismo. Il jihadismo è combattuto poco e male, e tanti negano il suo legame con l’islam, ma dire che la stampa nasconde le stragi è roba da psichiatria della comunicazione alternativa

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Stiamo qui a trotterellare con i “de minimis”, a parte il Drago di Francoforte che galoppa, e intanto il presidente degli Stati Uniti, parlando con pardon, dice che la stampa “nasconde le stragi terroriste”. Ripeto: la stampa nasconde o minimizza le stragi terroriste. Ripeto, eccetera. C’è un grillozzo di seconda fila che si fa ridere dietro dicendo cose così tremendamente spassose a proposito di complotti internazionali, non ne ricordo il nome. E ci sono blog opachi di estremisti americani coccolati dagli uomini della attuale Casa Bianca che a questa torsione della comunicazione in “fatti alternativi” prestano la loro eco creativa. Ora, questo non è uso demagogico della paura, magari, è paranoia grave, fascista in quanto è anche da operetta, ma paranoia politica grave. Non è questione di orwellismo. Noi tutti sappiamo che il jihadismo è combattuto poco e male, che sul suo carattere fioriscono mistificazioni ideologiche di ogni genere, tutte negazioniste a proposito del suo legame con l’islam politico, cioè l’islam, ma se si afferma che la stampa nasconde le stragi jihadiste, siamo del tutto fuori controllo, entra in campo la psichiatria della comunicazione alternativa. Contro il jihadismo armato è necessaria una violenza incomparabilmente superiore, contro lo spaccio del falso come fatto, in un contesto di demagogia narcisista e di impellenza autoritaria, ci vuole la camicia di forza, e basta.

Qui abbiamo il miglior analista di istituzioni e politica, di gran lunga, il professor Sabino Cassese, che ci ha spiegato bene ieri la sregolatezza della presidenza cesarista americana, preoccupato delle sue radici anche nei mandati di George W. Bush e di Barack H. Obama ma allarmato della sua attuale deriva tendenzialmente catastrofica, appena sostenibile, ma chissà per quanto, dal meccanismo dei pesi e contrappesi del sistema costituzionale americano. Con un Cassese che spiega, non si può trotterellare. Unica obiezione. Quando Cassese elenca i sintomi del cesarismo presidenziale, sulla scorta di studi seri che ha fatto tradurre in Italia, menziona varie circostanze (colonizzazione della burocrazia, estrema polarizzazione a partire dalle primarie, usurpazione presidenziale di prerogative del Congresso, abuso dei sondaggi e altre). Tra queste mette anche il ruolo dei soldi nelle campagne elettorali. Bè, questo, non in Cassese specialmente ma nelle sue fonti, è il riflesso del moralismo di sinistra americano (non solo quelli che festeggiano ogni anno il complenno di Chomsky, come in “Captain Fantastic”, molti altri). In realtà i soldi sono sempre stati un veicolo democratico-liberale degli interessi in conflitto, e grandi battaglie sono state fatte dai conservatori liberali per impedire che le campagne elettorali americane diventassero “austere”, per così dire. Avevano ragione a battersi.

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Infatti l’attuale impostore della Casa Bianca è espressione di un fenomeno genuinamente democratico, e illiberale o antiliberale, ed è stato eletto con pochissimi soldi. Al posto dei soldi non c’è stata la libera determinazione della volontà generale, no, c’è stato il commercio abusivo della parola demagogica, il disprezzo per la verità, l’invocazione della galera per il competitore, i fatti alternativi diffusi da Wikileaks, dagli hacker del Cremlino, dalla burocrazia dell’Fbi. C’è qualcosa che è molto peggio dei finanziamenti ai Political Action Committees, ed è la via cesarista, parolaia, reality tv di un uomo arancione con un immenso e seducente riporto. I rischi della democrazia così intesa erano stati segnalati nell’Ottocento da Tocqueville e da Herman Melville, nel suo meraviglioso libro sul rapporto degli americani con il diavolo tentatore della “fiducia” o “fiducia sulla parola”. L’esito finale e mostruoso è che il capo della Casa Bianca dice con sicurezza che le stragi terroriste ci vengono nascoste da media disonesti, “e loro sanno il perché”, aggiunge l’impostore.

 

John Yoo, un legal scholar che ha giustificato con i suoi dossier la reazione d’emergenza di Bush e Dick Cheney alle stragi dell’undici settembre 2001, e lo rivendica (da Guantanamo alle guerre al waterboarding), è anche uno che ha accompagnato con la sua expertise giuridica i droni segreti e assassini di Obama, e molte altre azioni borderline dell’esecutivo nella sua funzione di tutela della sicurezza e libertà degli Stati Uniti (e del mondo occidentale). Ora Yoo scrive che perfino Alexander Hamilton, tra i Founding Fathers il più conseguente teorico della necessità di un esecutivo forte concentrato nei poteri di una sola persona, sarebbe nelle peste a giudicare il comportamento di Trump, che sbaglia e gravemente, per totale ignoranza e disprezzo della base costituzionale dello stato al cui vertice siede, anche quando la legge potrebbe essere dalla sua parte. Ecco. Vorrei che fossimo avvertiti. Possiamo giocare con i nostri impulsi. Possiamo geopoliticizzare il fenomeno Trump. Possiamo far finta che sia un blablabla senza gravi conseguenze. Possiamo essere d’accordo con la liquidazione di élite e culture delle istituzioni. Possiamo attenderci benefici indiretti, e anche in sede di eterogenesi dei fini, dalle sue sparate che intingono veleno nel calamaio ormai traboccante del politicamente scorretto. Ma non possiamo non sapere che un paranoico di bassa lega, e di spumeggiante simpatia, dunque un uomo veramente pericoloso, si divide tra Washington e Mar-a-Lago per rendere più difficile di quanto ci aspettassimo questo dannato, fucking secolo inaugurato dal 9/11 del 2001.

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