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Se pure il water diventa un problema di politica internazionale

Giulia Pompili

L’enorme business dei wc in Giappone e Corea

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Roma. Chiunque viaggi in Giappone o in Corea a un certo punto della sua visita si troverà costretto ad affrontare una delle caratteristiche più peculiari dei due paesi: il water. Non è un argomento trattato spesso nelle guide turistiche, ma in particolare in Giappone il bagno è un elemento centrale della cultura. I gabinetti – da quelli dell’hotel a cinque stelle fino al bagno della stazione sperduta nella campagna nipponica – rispondono tutti a determinate caratteristiche volte ad assicurare all’avventore comodità, pulizia, e il maggior numero possibile di servizi (perfino i pochi che hanno ancora i vasi alla turca, diffusi nell’epoca precedente alla Seconda guerra mondiale). Dagli anni Sessanta, quando la seduta ha iniziato a sostituire le turche e gli orinatoi, fino a oggi, oltre il 70 per cento dei giapponesi si è dotato di una toilette hi-tech, perché un water non è detto che sia soltanto un water: la tavoletta si riscalda automaticamente non appena poggiate le terga, e i bottoni accanto al sedile offrono una serie di servizi, a seconda del modello – quello base ha quasi sempre l’igienizzatore e il famoso washlet, ovvero la doccetta automatizzata per il bidet (che fino a poco tempo fa era unisex, ma ora sono stati introdotti bidet che distinguono se l’avventore possiede genitali maschili o femminili, alla faccia del gender).

 

Con l’evoluzione di internet, sono nati i primi smart-wc, alcuni dispongono della presa usb per il cellulare, display per internet, e insomma, fanno tutto da soli (quasi, va). Ma non è solo una questione di water: nei bagni dell’aeroporto giapponese di Tokyo Narita hanno istallato un nuovo porta rotoli, accanto a quello della carta igienica, che dispensa una carta igienizzante per cellulari. Sul foglio, mentre eliminate i germi dal vostro smartphone, potete leggere la procedura per collegarvi al wifi dell’aeroporto. Ma con un numero sempre maggiore di aziende asiatiche che investe nel business, è necessario trovare un linguaggio comune, soprattutto per i turisti che non hanno dimestichezza con le lingue straniere: è per questo che l’altro ieri è stato firmato un protocollo d’intesa tra i membri dell’Associazione dei produttori di sanitari (la Toto, quella con la maggiore fetta di mercato, in testa) per uniformare i simboli che corrispondono ai tanti bottoni e alle varie funzioni – una rivoluzione del mercato che potrebbe aprire a un protocollo internazionale. Anche in Corea del sud il business dei gabinetti negli ultimi anni è decollato: basta entrare in un negozio di articoli tecnologici per trovare interi corridoi di smart-water o semplici washlet.

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E’ anche una questione di status: più il trono è costoso, più si dimostra la propria agiatezza. E infatti il grosso delle richieste arriva soprattutto dalla Cina: nel 2016 la Toto ha visto raddoppiare le esportazioni verso il paese. L’espansione del settore è evidente anche dal fatto che Pechino ora vuole usare i water politicamente. L’agenzia di stampa Yonhap ha scritto ieri che la Cina avrebbe vietato l’importazione delle tecnologiche tavolette per i water prodotte da 22 aziende coreane. Il boicottaggio è per punire Seul, colpevole di aver accordato all’America l’istallazione del sistema antimissilistico Thaad.

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