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No, la bambina siriana che twitta non è la nuova Anne Frank

Paragonare il caso della piccola di Aleppo, Bana Alabed, a quello della ragazzina ebrea di Amsterdam è un esercizio assurdo e ideologico

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Il Washington Post l’ha definita “la nostra Anne Frank”. Il paragone è stato scomodato per la piccola Bana Alabed, diventata famosa per i suoi terribili tweet da Aleppo, in Siria. Ad agosto si era azzardato in un simile paragone anche Nicholas Kristof sul New York Times. I siriani hanno sostenitori nelle alte vette dei governi occidentali, dell’Unione Europea e dei paesi arabi sunniti. Gli ebrei non avevano nessuno. Non c’era ancora neppure lo stato di Israele.

 

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Il Foreign Office britannico e il Dipartimento di Stato americano cinicamente presero la decisione che era meglio lasciar morire gli ebrei nelle camere a gas di Hitler piuttosto che bombardare le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz. Fino al 1944 non c’erano neppure campi profughi per gli ebrei, quasi a guerra conclusa. La Svizzera accolse un piccolo numero di profughi ebrei, come fecero Svezia e Giappone prima del 1941. Tra le nazioni del mondo, solo la Cina, un paese senza antisemitismo, ne prese un numero significativo. I profughi siriani hanno invece avuto porte aperte da tutta l’Europa e dai campi profughi dell’Onu nei paesi limitrofi. Sono stati accolti generosamente anche da Obama e dal Canada. La Germania ne ha presi un milione.

 

La giustapposizione quindi fra gli ebrei nel 1939 e i profughi siriani nel 2016, fra una ragazzina di Aleppo e una ragazzina ebrea di Amsterdam, è un esercizio assurdo e ideologico. Oltre che un’offesa per tutte le Anne Frank sterminate dai nazisti. 

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