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Un Foglio internazionale

Ecco tutti i danni di Obama in Siria

Redazione
Umanitarismo vaniloquente, appeasement e indecisionismo, scrive l'American Interest.
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"La parte orientale di Aleppo, in mano ai ribelli, sembra essere in procinto di capitolare o di essere rasa al suolo da parte dell’incessante bombardamento aereo della Russia e dell’assedio delle milizie addestrate dall’Iran. Il presidente Vladimir Putin avrà quindi raggiunto il proprio scopo: salvare il regime di Bashar al-Assad in un troncone di Siria i cui confini settentrionali sarebbero marcati dalle rovine di Aleppo, come parte della sua riaffermazione delle credenziali della Russia come rivale regionale e globale degli Stati Uniti. Tuttavia, ciò non è reso possibile solo dalla spietatezza di Putin. L’allineamento della Turchia verso la Russia, e, fino a un certo punto, verso l’Iran, rappresenta il cambiamento maggiore nell’equazione strategica dell’affollato campo di battaglia nella Siria nord-occidentale”.

 

Queste considerazioni del Financial Times hanno fornito lo spunto all’editorialista di The American Interest, Walter Russel Mead, per commentare gli effetti delle contraddizioni della politica estera del presidente americano uscente, Barack Obama, in medio oriente. Mead è professore di Foreign Affairs and Humanities al Bard College, è stato senior fellow al Council on foreign relations fino al 2010, e professore di Relazioni internazionali a Yale. Secondo lui, a causa del tergiversare e dell’irresolutezza della Casa Bianca, Putin è riuscito “non solo a re-inserire la Russia nella politica mediorientale in un ruolo molto più influente”, ma a guadagnare “una relazione più stretta e commercialmente benefica con l’Iran, assieme all’indebolimento dell’Unione Europea e della leadership di Merkel per la questione dei migranti”.

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Inoltre, Putin ha avuto successo laddove molti leader sovietici avevano fallito: “E’ riuscito a causare una profonda divisione all’interno della Nato, attraverso l’ulteriore alienazione della Turchia dall’occidente e, in particolar modo, da Washington”. Se da un lato quindi Obama ha lasciato spazio di manovra a Putin, dall’altro non è riuscito nell’obiettivo che aveva dichiarato essere centrale nella sua politica estera. Mead fa riferimento all’ambizione ingenua e vanagloriosa che il presidente aveva quando ancora raccoglieva premi Nobel per la Pace, cioè “la riconciliazione degli Stati Uniti con il mondo musulmano”.

 

In questo, “il suo spietato abbandono dei sunniti siriani alla politica genocida dei loro avversari ha causato eguali se non maggiori danni alla reputazione degli Stati Uniti tra gli arabi sunniti di quanto fatto da qualsiasi suo predecessore dai tempi di Harry Truman”. La politica siriana di Obama è “uno dei più vergognosi e più tristi spettacoli di inettitudine seriale che si sono visti nella scena globale in tutti questi anni”. Mead conclude notando come le denunce dei crimini che vengono compiuti a causa delle indecisioni di Obama, “meramente sottolineano lo spaventoso vuoto morale e politico dell’approccio del presidente alle politiche internazionali”.

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