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Un Migration compact di sistema

Redazione

La diplomazia europea ha sfruttato la conferenza di Bruxelles per mettere il governo afghano sotto pressione. Il testo firmato domenica rappresenta un passo in avanti significativo: Kabul ha accettato di “cooperare per organizzare rimpatri degni, sicuri e ordinati di cittadini afghani che non rispettano le condizioni per restare nell’Ue”.

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La conferenza internazionale che si è tenuta ieri a Bruxelles sull’Afghanistan potrebbe segnare un punto di svolta nella politica dell’Unione europea sull’immigrazione. Federica Mogherini dice che non c’è una connessione tra i miliardi di euro promessi dalla Commissione e dagli stati membri al governo afghano e l’accordo firmato domenica con Kabul per facilitare il rimpatrio di decine di migliaia di migranti afghani. “Non c’è mai un legame tra il nostro aiuto allo sviluppo e ciò che facciamo sull’immigrazione”, ha detto l’Alto rappresentante europeo per la politica estera: l’obiettivo della conferenza è “esprimere continuo sostegno per il popolo afghano e le donne afghane (…) non solo a parole ma anche con il sostegno finanziario”. L’Ue e i suoi stati membri hanno messo sul tavolo 1,2 miliardi di euro l’anno per il periodo 2017-2020. Settanta paesi hanno partecipato all’incontro promosso da Mogherini. Complessivamente la comunità internazionale dovrebbe mobilitare 13,6 miliardi in quattro anni.

 

Di fronte all’offensiva di Kunduz, il segretario di stato americano, John Kerry, ha invitato i talebani a imboccare la strada di “una fine onorevole del conflitto” scegliendo la riconciliazione. Mogherini ha detto che “ci sono resistenze alla pace”, ma la via d’uscita è “un elemento di inclusione dei talebani”. Anche se l’allergia all’hard power si conferma, l’Ue si vuole all’avanguardia del soft power. “Investire nella sicurezza e nel successo dell’Afghanistan è un investimento per la nostra sicurezza”, ha spiegato Mogherini. Ma la pretesa che non ci sia “condizionalità” sulla questione migratoria è stata smentita senza troppe pruderie terzomondiste dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk.

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Dopo quello con la Turchia, l’accordo con l’Afghanistan di fatto rappresenta il secondo “Migration compact” che l’Ue è riuscita a negoziare usando lo strumento degli aiuti allo sviluppo come leva per convincere Kabul ad accettare riammissioni e rimpatri. “L’Ue diventerà il più importante donatore nel 2017 e manterrà questi livelli per i prossimi quattro anni”, ha spiegato Tusk. “L’Ue è leader in occidente nel prendersi cura dei rifugiati, non ci aspettiamo di essere lodati, ma i paesi di origine devono riprendersi i migranti economici irregolari”, ha detto il presidente del Consiglio europeo. La diplomazia europea ha sfruttato la conferenza di Bruxelles per mettere il governo afghano sotto pressione. Il testo firmato domenica rappresenta un passo in avanti significativo: Kabul ha accettato di “cooperare per organizzare rimpatri degni, sicuri e ordinati di cittadini afghani che non rispettano le condizioni per restare nell’Ue”. Con l’accordo l’Afghanistan si è impegnato a fornire rapidamente passaporti e documenti di viaggio. I migranti afghani potranno essere caricati su aerei di linea e charter organizzati da Frontex. Per un periodo transitorio di sei mesi ci sarà un tetto di 50 rimpatri a volo, ma non ci sono limiti al numero di afghani che saranno rimpatriati.

 

Il realismo è alla base della svolta europea sull’immigrazione. Dopo i siriani, il cui afflusso è stato praticamente azzerato grazie all’accordo con la Turchia, gli afghani sono il secondo gruppo di richiedenti asilo in Europa. Secondo i dati di Eurostat, negli ultimi dodici mesi più di 222 mila afghani hanno chiesto protezione internazionale nei paesi dell’Ue – più della metà in Germania. Rimpatriare un profugo afghano in un paese ancora in guerra, dove i talebani hanno ancora la forza di attaccare Kunduz, può apparire disumano e contro il diritto internazionale. Ma alcuni esperti di immigrazione e i servizi di intelligence si sono fatti un’idea diversa: molti degli afghani che raggiungono l’Europa lo fanno per ragioni economiche.

 

E i giudici incaricati di verificare le richieste di asilo nei paesi dell’Ue sembrano essere d’accordo: nel secondo semestre del 2016 il tasso di riconoscimento di asilo o altre forme di protezione internazionale per gli afghani (46 per cento) è stato molto più basso rispetto a quello di siriani (98 per cento), eritrei (92 per cento) e iracheni (60 per cento). Dal punto di vista del diritto internazionale, per contro, l’accordo tra Ue e Afghanistan non fa una piega. Come con i siriani da rimpatriare in Turchia, gli europei si sono impegnati a valutare le richieste di asilo su base individuale e a garantire eccezioni per i casi di minori non accompagnati, donne sole, anziani, malati e possibili ricongiungimenti famigliari.

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Una volta affrontate le urgenze di siriani e afghani, Mogherini e Tusk devono rimboccarsi le maniche con la vera massa di migranti economici che arriva sul suo territorio, attraversando il Mediterraneo grazie alle operazioni di salvataggio al largo delle coste libiche. E’ quanto ha chiesto l’Italia con la proposta di Migration compact che, nei progetti di Mogherini, dovrebbe trasformarsi in tanti piccoli Migration compact con i paesi dell’Africa. La Libia è esclusa per ovvie ragioni di stabilità e sicurezza. Ma i paesi di origine e di transito con cui l’Ue può concludere contratti analoghi a quelli firmati con Turchia e Afghanistan sono molti: Etiopia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan, Ghana, Costa d’Avorio, Algeria, Marocco e Tunisia. Lo strumento può apparire brutale, ma alla fine è l’unico efficace: gli aiuti allo sviluppo e le risorse del piano di investimenti per l’Africa (l’Ue punta fino a 88 miliardi) devono essere condizionati alla firma e all’attuazione di accordi di riammissione e rimpatrio. Senza un’accelerazione, il Mediterraneo continuerà a essere un mare di morte e l’Italia rischia di trasformarsi in un grande e insostenibile hotspot di migranti economici.

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