La governatrice di Tokio, Yuriko Koike, riceva la bandiera olimpica alla cerimonia di chiusura dei Giochi di Rio 2016

Consigli giapponesi alla Raggi anti-olimpica

Giulia Pompili
Per Tokyo 2020 aumentano i costi? La governatrice ha una lezione per il sindaco di Roma.

Roma. Virginia Raggi è stata eletta sindaco di Roma il 22 giugno scorso. Poco più di due mesi dopo, Yuriko Koike è stata eletta governatrice di Tokyo, e in molti hanno voluto vedere una certa vicinanza, almeno simbolica, tra le due: entrambe sono le prime donne a guidare capitali di paesi del G7, e poi… E poi basta, perché le similitudini tra le due finiscono qui. Koike è stata ministro dell’Ambiente con Junichiro Koizumi, è stata ministro della Difesa con il primo governo di Shinzo Abe, quando è stata scaricata dal partito prima della fine della campagna elettorale ha deciso di andare avanti da sola, e il suo coraggio è stato premiato dagli elettori. Koike guida una metropoli tredici milioni di persone, mentre a Roma ci sono poco più di quattro milioni di residenti.

 

E poi l’ultima, macroscopica differenza: mentre la Raggi annunciava la mozione – votata ieri al Consiglio comunale – per ritirare la candidatura della città di Roma nella corsa alle Olimpiadi del 2024, Yuriko Koike spiegava la sua personale visione dei Giochi olimpici di Tokyo 2020. Raggi ha detto di aver ritirato la candidatura di Roma perché “le Olimpiadi sono un assegno in bianco che firmano le città ospitanti: ciò lo dice l’Università di Oxford in uno studio. Le Olimpiadi sono un sogno che diventa incubo. Non abbiamo dati di Rio ma abbiamo negli occhi le immagini degli abitanti di Rio”. Koike, mentre ritirava il testimone a Rio il 21 agosto scorso, ha detto: “I cittadini di Tokyo sono quelli che pagano le tasse, e dobbiamo avere la loro disponibilità qualunque cosa facciamo. Non lascerò white elephant (cattedrali nel deserto, ndr) da far pagare ai cittadini. Lascerò una buona eredità. Questa è la direzione in cui voglio che vadano i Giochi”. E pensare che le cose per Tokyo 2020 non erano partite bene, con il primo logo poi ritirato perché frutto di un plagio, e i problemi con lo stadio olimpico (nel 2015 fu scartato il monumentale progetto della archistar Zaha Hadid perché troppo costoso). Keizoku wa chikara nari, dice un proverbio giapponese. Vuol dire: la forza è nella perseveranza, anche se le prove sono dure.

 

La scelta del Comitato olimpico per la sede dei Giochi della XXXII Olimpiade è arrivata nel 2013. All’epoca al governo c’era già Shinzo Abe, che vedeva nelle Olimpiadi un’opportunità di crescita economica. Soprattutto, in Giappone erano passati poco più di due anni dalla devastazione del Grande Terremoto dell’11 marzo del 2011. Ma dopo l’annuncio del Cio di quel 7 settembre, la città di Tokyo rispose con una imprevedibile esplosione di gioia. “Il Giappone ha bisogno della potenza di quel sogno adesso!”, era lo slogan che si leggeva per le strade della capitale. Shintaro Ishihara, l’ex storico governatore di Tokyo che aveva promosso la candidatura della sua città come una grande occasione di riscatto, commentava la decisione del Cio – come riporta un articolo del Wall Street Journal dell’8 settembre 2013: “Il Giappone è una nazione con grandi capacità naturali. E’ solo che ultimamente abbiamo un po’ perso fiducia in noi stessi”. Quale migliore occasione, se non le Olimpiadi?”.

 

I problemi, e su questo ha ragione la Raggi, sono sempre i costi. Ieri un panel indipendente ha presentato le stime di budget alla città di Tokyo, su ordine della nuova governatrice che voleva vederci chiaro sull’aumento di alcune voci di spesa. Koike si è trovata sul tavolo un conto previsto di 39 miliardi di dollari, a fronte di uno stanziamento iniziale da 9 miliardi. Ha annullato le Olimpiadi? No, ha chiesto a tutti gli attori di riunirsi (compreso il Cio) e di valutare il cambiamento di alcune location. “L’aumento dei costi è il maggior problema che Tokyo sta affrontando”, spiega al Foglio Magdalena Osumi, giornalista del Japan Times che da tempo copre le questioni olimpiche. “E’ bene preoccuparsi dei cittadini, in queste circostanze, perché Tokyo non ha autorità di prendere decisioni finanziarie e gli attuali accordi con le altre organizzazioni coinvolte in Tokyo 2020 sono vaghi sulla copertura dei costi”. E se Koike avesse deciso di annullare tutto, visto l’aumento del budget? Per quanto riguarda Tokyo, dice Osumi, “è più probabile che il Cio decida di ridurre i costi, piuttosto che annullare i Giochi”. Ma soprattutto, non è la governatrice a fare la scelta finale: “Finora Koike ha promesso di trasformare le Olimpiadi in un successo, ha istituito un panel indipendente per indagare su quanto l’aumento dei costi potrà incidere sulle tasche dei cittadini di Tokyo, ponendo come priorità il loro interesse. E poi, se i Giochi fossero annullati, anche i giapponesi avrebbero da perdere”, dice Osumi.

 

Già. Sia Roma 1960 sia Tokyo 64 fanno pensare a due paesi che si ricostruirono anche grazie alle Olimpiadi. Cos’è cambiato oggi? “Tokyo ha costruito il primo bullet train per i Giochi del 1964, quindi possiamo dire che i giapponesi, delle Olimpiadi, ricordano soprattutto le infrastrutture”, dice Osumi. Di certo il Giappone non è immune dalla corruzione e dalle spese gonfiate, quindi la trasparenza invocata sia dalla Raggi sia dalla Koike ha ancora senso o è una parola vuota? “Koike ha dimostrato che il suo obiettivo di aumentare la trasparenza non era soltanto una strategia elettorale, ma che può essere utile per i cittadini. Gli ultimi mesi prima della sua elezione, a causa della mancanza di trasparenza nelle amministrazioni, abbiamo avuto vari scandali finanziari”. Le cose a Tokyo, a quattro anni dai Giochi, stanno migliorando. Keizoku wa chikara nari, Virginia-chan.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.