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Zeru tituli per i populisti

Il “sospiro di sollievo” in Austria non basta a curare la crisi dell’Ue

David Carretta

A Vienna battuto “l’estremista” Hofer, arriva il primo presidente verde della storia. Le ripercussioni sul continente.

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Bruxelles. L’ecologista Alexander Van der Bellen ha vinto le elezioni presidenziali in Austria, impedendo all’estrema destra populista di arrivare per la prima volta al vertice di un paese dell’Europa occidentale. Di fronte alla prospettiva di dare il potere a Vienna al candidato della Fpo, Norbert Hofer, una piccola maggioranza di austriaci – il 50,3 per cento – ha permesso all’Unione europea di tirare “un sospiro di sollievo”, come ha detto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Il conteggio dei voti per corrispondenza ha trasformato un incubo in una prospettiva più bucolica: il primo presidente verde della storia europea. Ma la crisi in Austria e nell’Ue è lungi dall’essere sventata. “Questa campagna non è una sconfitta, ma un investimento per il futuro”, ha detto Hofer. La metà del paese ha votato per lui al ballottaggio, dopo lo storico 35,1 per cento al primo turno. I socialdemocratici della Spo e i popolari dell’Ovp, che governano in grande coalizione, sono ai minimi in termini di popolarità, spaccati al loro interno per la tentazione di un’alleanza con il “mostro” Fpo. Come dimostra la virata sui rifugiati e il conflitto sul Brennero negli ultimi mesi dell’ex cancelliere socialdemocratico Werner Faymann, l’estrema destra ha già contagiato il centro politico. Se la sconfitta di Hofer permette agli struzzi dell’Ue di continuare a tenere la testa sotto la sabbia, in tutta Europa le forze populiste proseguono il loro assalto contro i partiti che rappresentano la ragionevolezza centrista e europeista.

 

Il voto austriaco racconta la stessa storia di Polonia, Ungheria, Francia, Danimarca, Grecia e perfino Germania: l’elettorato popolare e rurale abbandona i partiti tradizionali – a cominciare dalle forze progressiste legate al Pse – a vantaggio dei populisti anti-europei di destra e di sinistra. Van de Bellen è stato votato dai laureati (81 per cento), da chi vive nelle città (61 per cento a Vienna) e dai giovani (56 per cento), secondo gli exit poll di Atv. L’86 per cento degli operai ha scelto Hofer, mentre la cartina delle campagne austriache è tutta dipinta di “blu Fpo”. I 30 mila voti di scarto indicano che la strategia della demonizzazione – usata nel 2001 in Francia per fermare il “fascista” Jean-Marine Le Pen al secondo turno delle presidenziali – o quella delle sanzioni – quelle contro l’Austria nel 2000 quando la Fpo di Joerg Haider entrò in un governo di coalizione – non bastano più per arginare le forze populiste. Alexis Tsipras è al potere in Grecia. Viktor Orban sta trasformando l’Ungheria in una democrazia illiberale. I leader polacchi, diretti da Jaroslaw Kaczynski, sono in aperto conflitto con la Commissione sulle manovre per mettere a tacere i contropoteri.

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I populisti hanno in comune un nazionalismo spinto, che erode le fondamenta dell’Ue e inizia da avere serie ripercussioni economiche. “Gli investitori stanno scappando dall’Europa”, è l’allarme lanciato dal Wall Street Journal. Non ci sono solo il malessere della zona euro, la fragilità delle banche o i bassi tassi di interesse della Bce: la ragione della grande fuga degli investitori dall’Europa è anche politica, in un’Ue sempre più segnata da fratture, instabilità e crisi. Il 23 giugno c’è il referendum nel Regno Unito sulla Brexit. Il 26 giugno la Spagna potrebbe confermarsi un paese ingovernabile. L’Ue spera in un reset nel 2017, quando andranno al voto Francia, Germania e forse Italia. La Commissione rifiuta di intervenire nei dibattiti nazionali e rinvia decisioni controverse su migranti o Patto di Stabilità. Ma nel frattempo i populisti di entrambe le estreme continuano a crescere, con Marine Le Pen che tra un anno potrebbe rendere la Francia ingovernabile e Alternative für Deutschland che potrebbe impedire a Cdu-Csu e Spd di continuare a governare in una grande coalizione a due.

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