"Ponte delle spie", il film di Steven Spielberg

L'intelligence asiatica ricorda sempre di più la Guerra fredda

Giulia Pompili
Se in America e in Europa lo spionaggio tra stati oggi riguarda soprattutto origliamenti di massa e monitoraggio di internet, i servizi segreti sudcoreani adottano ancora oggi gli stessi metodi che usavano i paesi dell’Urss per sorvegliare l’occidente, e lo 007 dislocato sotto copertura è essenziale per il reperimento di informazioni.

Roma. Lunedì scorso il portavoce del ministero della Difesa di Seul ha confermato che un alto ufficiale dei servizi segreti nordcoreani ha disertato al Sud lo scorso anno. Il colonnello apparteneva al General Reconnaissance Bureau di Pyongyang, il quartier generale dei servizi segreti, ed era specializzato nel controllo e monitoraggio delle informazioni dal Sud. Si tratta di una delle diserzioni di più alto livello dalla fine della guerra tra le due Coree. Sempre nel 2015 avrebbe disertato anche un diplomatico “di alto livello” proveniente da un paese africano non specificato. Ai due si aggiungono i 13 nordcoreani dipendenti di un ristorante nella città di Ningbo, nella provincia cinese dello Zhejiang, volati a Seul il 6 aprile scorso. A oggi, sono 29.137 i nordcoreani che sono scappati in Corea del sud dalla fine della guerra. Ognuno di loro, prima di essere reintrodotto nella vita quotidiana sudcoreana, subisce un debriefing da parte dell’intelligence che dura settimane: è in quel periodo-cuscinetto che si cercano i falsi profughi, gli agenti segreti sotto copertura, si carpiscono informazioni di prima mano dal Nord.

 

Sempre lunedì scorso, un ufficiale di volo della marina militare americana è finito sotto processo perché avrebbe passato informazioni riservate a Taiwan e alla Cina. Edward Lin, di origini taiwanesi, aveva lavorato nell’area dell’Asia-Pacifico per due anni, scrive il NavyTimes, prima di essere arrestato nell’estate del 2015. Era assegnato allo Special Projects Patrol Squadron, una divisione aerea che raccoglie segnali elettronici per operazioni d’intelligence.

 

Le due notizie, legate dalla temporalità con cui sono state rese note, in realtà sono legate anche semanticamente. Sembrano uscite dalla sceneggiatura del “Ponte delle Spie”, il film di Steven Spielberg basato sulla vita di James B. Donovan, uno dei più famosi negoziatori americani del periodo della Guerra fredda. Al centro della guerra tra blocco sovietico e blocco atlantico erano le informazioni. Se in America e in Europa lo spionaggio tra stati oggi riguarda soprattutto origliamenti di massa e monitoraggio di internet, negli ultimi dieci anni lo Human intelligence in stile Guerra fredda sembra vivere un revival in Asia. Con la Corea del nord, uno dei paesi più isolati del mondo, non potrebbe essere altrimenti: i servizi segreti sudcoreani adottano ancora oggi gli stessi metodi che usavano i paesi dell’Urss per sorvegliare l’occidente, e lo 007 dislocato sotto copertura è essenziale per il reperimento di informazioni.

 

“The Cold War Spy Pocket Manual: The Official Field-Manuals for Espionage, Spycraft and Counter-Intelligence”, un libretto pubblicato da poco da Pool of London Press (128 pp., 8,99 sterline) e curato dall’ex ambasciatore britannico Philip Parker, raccoglie alcuni manuali declassificati di spie americane, russe e inglesi della Guerra fredda. Tecniche di spionaggio e controspionaggio, metodi per l’utilizzo dei dispositivi di sorveglianza, per la traduzione dei codici cifrati, per il reclutamento delle fonti che disertano (“i disertori sono l’incubo di tutte le agenzie di intelligence”, scrive Parker) e per il riconoscimento di agenti sotto copertura. I vari capitoli del volume sembrano scritti per le spie moderne in Asia. Ci sono i documenti della Stasi in cui si elencano i vari servizi di sorveglianza di Berlino ovest – simili a quelli che oggi utilizza Pyongyang per disturbare i sistemi gps dei paesi vicini; c’è un documento proveniente dai “Penkovsky papers”, i file top secret trafugati e inviati alla Cia da Oleg Penkovsky, celebre colonnello dei servizi segreti russi che collaborava con l’occidente. Tra quei papers c’è il manuale di Ivan Prikhodko, un decalogo di adattamento allo stile di vita capitalista per spie sovietiche, dove si scrive che in America “si legge poco” ma si dà molta importanza alla “pubblicità, alle notizie sportive, ai cartoni animati”,  “uomini e donne fumano”, e c’è questa strana usanza di “cambiarsi magliette e calzini tutti i giorni”. Per capire il Pacifico oggi, basta guardare indietro.

 

 

 

 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.