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Cosa vuol dire governare i confini senza dare le solite colpe all’Europa

Le responsabilità dell’Europa sono molte ed evidenti. Ma le responsabilità di un paese come l'Italia, che da troppo tempo campa spacciando per accoglienza l’apertura indiscriminata delle frontiere esistono, eccome se esistono.
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La notizia l’avete vista tutti: giovedì scorso il presidente del Consiglio svedese, Stefan Löfven, capo del più importante partito socialdemocratico del suo paese, ha predisposto un piano di espulsione di massa dalla Svezia per decine di migliaia di richiedenti asilo. Tra le 60 mila e le 80 mila persone. “Ci troviamo – ha detto il ministro dell’Interno svedese Anders Ygeman – di fronte ad una grande sfida, per questo dobbiamo accrescere le risorse e migliorare la collaborazione tra le autorità: prima di tutto dobbiamo creare le condizioni per il rientro volontario dei richiedenti asilo ma, se non ce la facciamo, dovremo forzare questo rimpatrio”. Poche settimane prima, un altro primo ministro di sinistra, il premier slovacco Robert Fico, subito dopo i fatti di Colonia, aveva fatto un passo ulteriore: “Il nostro paese non solo rifiuta le quote obbligatorie ma non prenderemo mai una decisione volontaria che porti alla formazione di una comunità musulmana unificata in Slovacchia”. Dunque, con modalità tuttora da verificare, frontiere chiuse per i musulmani. Abbiamo citato due esempi di esecutivi di sinistra duri sul tema immigrazione per dimostrare che la questione del dover governare anche con durezza i confini a fronte di un’ondata migratoria senza precedenti non è un tema che riguarda solo la campagna elettorale della destra xenofoba ma è un tema con il quale anche chi finora ha declinato una generica volontà di accoglienza e di apertura indiscriminata delle frontiere dovrà fare i conti in modo definitivo. #Adesso.
 
Ad Angela Merkel, in Germania, è bastato un nulla, un’enfasi eccessiva, dopo quella foto famosa del bambino turco morto sulla riva del mare, per passare dallo status di regina d’Europa allo status di regina assediata (anche nel suo partito). Il nostro presidente del Consiglio fa bene a insistere su un punto cruciale, sulla necessità di trasformare il problema dei nostri confini nel problema dei confini d’Europa, ma c’è un problema grave che riguarda il nostro governo e forse più in generale i governi d’Europa che ci permette di tornare al tema da cui siamo partiti: le espulsioni degli immigrati che non hanno il diritto a stare nel nostro paese e il loro relativo rimpatrio. Si dirà? Ma non c’è coincidenza tra espulsioni e rimpatri? Purtroppo no. In Italia, dati aggiornati al 31 luglio 2015, ci sono state 8.497 espulsioni su un totale di 18.068 irregolari registrati. In tutto il 2015, dati del Viminale, i rimpatri effettivi sono stati circa 3.000. Aggiungiamo a questo dato un altro numero significativo: tra il 2014 ed il 2015 sono entrate in Italia, via mare, 325 mila persone. Di queste, circa 150 mila sono state accolte nei centri. E tutte le altre? Già, e tutte le altre?
 
I problemi che a questo punto si aprono per il nostro paese sono di due tipologie. La prima riguarda la ragione dei pochi rimpatri.
La seconda riguarda una prassi alla lunga pericolosa. Ci si chiederà: ma perché pochi rimpatri in Italia? La questione è nota. Se non c’è un accordo con il paese che deve ricevere il migrante l’espulsione è inattuabile e dato che l’Italia ha un numero limitato di accordi di rimpatrio con i paesi da cui arrivano i migranti il risultato è che gran parte di coloro che dovrebbero essere espulsi semplicemente rimangono in giro per l’Italia. In paesi come la Germania, che ha un numero maggiore di accordi di rimpatrio rispetto a noi, l’ingresso, salvo situazioni eccezionali, non è permesso ai migranti che arrivano per ragioni economiche e in virtù di quegli accordi la Germania ha la possibilità concreta di bloccare ai confini chi non ha diritto a entrare nel paese. Per l’Italia, essendo il nostro confine sul mare e non su terra, il rimpatrio, anche in presenza di accordi, sarebbe naturalmente più difficile ma nonostante questo tra i paesi da cui arriva il maggior flusso di migranti (Costa D’Avorio, Gambia, Guinea, Mali, Nigeria) l’Italia non è riuscita a stringere accordi di rimpatrio e dunque, anche volendo, le espulsioni decretate non sarebbero e non sono attuabili. A questo va poi aggiunto un elemento ulteriore di destabilizzazione che viene spesso dimenticato ma che una sua importanza ce l’ha. In base alle regole di Dublino, qualunque migrante venga identificato è costretto poi a rimanere nel paese in cui viene identificato. E, considerando che una buona parte di migranti che arriva in Italia non ha alcuna intenzione di rimanere in Italia, spesso le forze dell’ordine che avrebbero il dovere di prendere le impronte digitali a tutti i migranti accettano, di fronte a casi di resistenza, di chiudere un occhio e di non accogliere i “resistenti” nel circuito di accoglienza (che comunque per restare nel paese dove arrivano devono chiedere asilo).
 
[**Video_box_2**]I fatti di questi giorni, dunque, sommati anche ad alcune cattive prassi del nostro paese nella gestione delle frontiere, dovrebbero portare il governo a non considerare esaurito il problema dell’immigrazione solo perché “il problema – come ha ricordato venerdì Renzi di fronte a Merkel – non è solo italiano ma è anche europeo”. Le responsabilità dell’Europa sono molte ed evidenti. Ma le responsabilità di un paese che da troppo tempo campa spacciando per accoglienza l’apertura indiscriminata delle frontiere – e che da troppo tempo considera una virtù quella di trattare i nostri confini come se fossero non dei luoghi da governare ma dei luoghi di transito – esistono, eccome se esistono, e anche Renzi, senza dover per forza scaricare tutti i problemi sull’Europa, avrebbe la forza per dimostrare che governare anche con durezza i confini, anche con le cattive se serve, non è una questione di destra: è, come sempre, semplicemente una questione di buon governo.
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