Shin Kyoung-sook durante una presentazione del libro “Prenditi cura di lei”

La scrittrice coreana che copiava Mishima, un cortocircuito patriottico

Giulia Pompili
Non c’è niente di più inedito dell’edito, recita l’antico adagio attribuito a Mario Missiroli e usato ormai in maniera fin troppo disinvolta, non solo in Italia.

Non c’è niente di più inedito dell’edito, recita l’antico adagio attribuito a Mario Missiroli e usato ormai in maniera fin troppo disinvolta, non solo in Italia. Il fatto è che se sei l’immagine della Corea all’estero, la campionessa della nuova ondata di letteratura asiatica ultrapop, venduta in patria come “la scrittrice coreana più conosciuta in occidente”; insomma, se sei la paladina della letteratura di Seul – e sappiamo quanto il governo coreano tenga all’esportazione cultural-propagandistica dei prodotti tipici – non puoi farti beccare a copiare pari pari un intero capitolo di “Patriottismo” di Yukio Mishima.

 

E’ successo che una raccolta di racconti del 1996 di Shin Kyoung-sook – cinquantadue anni, prima coreana e prima donna ad aver vinto il Premio della letteratura asiatica nel 2011 – è finita sotto accusa una decina di giorni fa sulle colonne dell’Huffington post Korea. Un articolo dello scrittore coreano Lee Eung-jun, infatti, faceva notare le somiglianze inequivocabili tra “Legend” della Shin e il racconto breve di Mishima, “Patriottismo”, del 1961 (dal quale Mishima trarrà poi il cortometraggio omonimo nel ’66). Lee Eung-jun aveva già posto la questione della dubbia originalità dei lavori di Shin nel 2000, ma senza alcun riscontro. Dopo la tempesta mediatica che le si è abbattuta contro, questa volta, la Shin ha ammesso in un’intervista al giornale coreano Kyunghyang Shinm di non essere più sicura di ciò che ha scritto oltre dieci anni fa. Si è scusata con tutti i lettori, ha detto che il racconto incriminato sarà d’ora in poi escluso dalle ripubblicazioni. Si è appellata a una famosa giustificazione di chi copia: non è colpa mia, l’avrò letto e poi rimosso ma chi può dire come la mia mente ha elaborato ciò che ho scritto? Praticamente la stessa difesa di George Harrison, quando gli fecero notare che “My Sweet Lord” era praticamente identica al brano “He’s So Fine” delle Chiffons (lui fu condannato a pagare lo stesso - leggi qui la storia).

 

Ci vorrebbe una Olivia Pope, la protagonista della serie tv “Scandal” che risolve problemi, per lo più di reputazione, per sistemare la questione Shin Kyoung-sook. Ci vorrebbe una Olivia Pope perché il problema di Shin Kyoung-sook non è all’estero, ma è a casa. Nei trentuno paesi in cui è stato tradotto si continuerà di sicuro a leggere il romanzo più famoso di Shin, “Prenditi cura di lei” – più di due milioni di copie per una storia strappacuore di anziani, di metropolitane affollate e di persone scomparse. E la lobby degli scrittori coreani, la Korean Writers’ Association, potrebbe pure perdonarti prima o poi – anche se le tre case editrici più importanti stanno per istituire una sorta di Polizia del plagio, scriveva ieri il Korea Times. Ma, cara Shin, ciò di cui non ti libererai mai è il fantasma del soggetto che hai copiato. A sentire la propaganda che fa Seul del Giappone, soprattutto di quello imperiale e nazionalista, una coreana che legge Mishima è già un po’ uno scandalo. Figuriamoci se uno dei fiori all’occhiello della letteratura da esportazione viene beccato a copiare uno dei manifesti del patriottismo giapponese.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.