Foto: Ansa/Angelo Carconi

Editoriali

In lode a Petrocelli, grillino filorusso

Redazione

Il presidente della commissione Esteri al Senato rivela la natura del M5s

Non rinnega. E di questo gli andrebbe dato atto. Perché in un partito che fa dell’apostasia il suo elemento di legittimazione, Vito Petrocelli ci ricorda cosa sia davvero il M5s (o almeno cosa sia stato). Lucano, classe ’64, il senatore grillino che si definisce “maoista” è al suo secondo mandato. Nel primo, riuscì a farsi sospendere per aver impedito il voto in Aula sul Jobs Act, per poi dare a Pietro Grasso del “pupazzo”. Si batté anche contro lo Sblocca Italia (“Una porcata”), e contestò l’Expo perché era  “un favore alle mafie”. E se pensiamo che oggi quella Virginia Raggi che lui ebbe a proporre come leader del M5s è alla guida della commissione del Campidoglio per l’Expo del 2030, capiremo forse il valore della coerenza di Petrocelli.

Una coerenza notevole soprattutto in tema di diplomazia. Perché, da quando Dibba è fuori dal Movimento, il Nostro è forse l’unico a rivendicare fedeltà ai regimi di Cina e Russia. E lo fa, beninteso, da presidente della commissione Esteri del Senato. E’ da quel ruolo che Petrocelli sostiene che la repressione nello Xinjiang sia un’invenzione dei media americani e invoca la trasformazione dell’Italia  nel “riferimento di Mosca, Pechino e Teheran”.

Ma è sul fronte russo che Petrocelli risulta quasi commovente, nel suo sforzo di difendere la propaganda putiniana. Nel novembre scorso, quando Maurizio Molinari venne ingiuriato dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Petrocelli rilanciò quelle intimidazioni chiedendosi: “Può il direttore di Repubblica incrinare i rapporti tra Italia e Russia?”. La colpa di Molinari? Aver messo in guardia dalle mire espansioniste di Putin. Ma d’altronde Petrocelli ha sostenuto che l’“invasione” russa ai danni dell’Ucraina fosse una bufala rilanciata dai giornali anglosassoni (ecco da chi fa ripetizioni di geopolitica Travaglio!) fino a che i tank di Mosca non hanno iniziato a sparare. E anche ora, resta tetragono: “Non voterò per l’invio di armi a Kiev”, dice. Lo ringraziamo: in mezzo a tanta ipocrisia, lui resta lì a ricordarci cosa sia (o sia stato) davvero il grillismo.

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