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I rapporti

Le strade per governare l’ascesa cinese nell’auto elettrica

Chicco Testa

Due rapporti sull'andamento del mercato. Il primo da parte dell'Agenzia internazionale dell'Energia, il seconda di Alix Partners, con il suo Global Automotive Outlook

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Due rapporti sull’andamento del mercato dell’auto elettrica dicono cose in parte contrastanti, ma alla fine convergenti. Il primo da parte dell’Agenzia internazionale dell’Energia che, come ormai nello stile dell’Agenzia, per tutto quanto riguarda la transizione si presenta con toni ottimistici. Per l’Agenzia il mercato continua a crescere e le attese sono anche migliori. Il numero di auto elettriche vendute nel primo trimestre del 2024 è pari a quelle vendute nel 2023 e la tendenza dovrebbe continuare. Con grandi differenze fra i diversi paesi. In Cina 1 auto su 2 vendute è elettrica, 1 su 9 negli Stati Uniti, 1 su 4 in Europa. Dovrebbero sostituire l’utilizzo di milioni di barili di petrolio. I cui consumi però continuano a crescere in tutti gli altri settori.

Un secondo rapporto da parte di Alix Partners con il suo Global Automotive Outlook, centrato prevalentemente sull’Europa, mostra invece diversi segni di incertezza. La crescita continua, ma con un tasso inferiore alle attese. Rallenta un po’ in tutti i paesi e l’Italia rimane il fanalino di coda con uno scarso 4 per cento di incidenza dei veicoli elettrici sul totale.  Sul rallentamento europeo pesa soprattutto la differenza di prezzo e le incertezze delle case automobilistiche sugli incentivi che i diversi governi potrebbero elargire. Oltre a una ancora insufficiente  penetrazione dei sistemi di ricarica veloce. Ma le batterie scendono continuamente di costo e migliorano le prestazioni.

La novità, almeno fino a un certo punto, che emerge con tutta evidenza è invece il ruolo sempre più predominante della Cina. Il suo mercato interno è quello che tira più di tutti, la sua leadership nella fabbricazione di batterie è molto forte, i primi 3/4 produttori sono tutti cinesi, i prezzi a cui può aggredire il mercato sono nettamente competitivi. Risultato: mentre nel mercato dell’auto tradizionale la quota di mercato cinese è del 9 per cento nel mercato dell’auto elettrica questa percentuale è ben oltre il 50 per cento. Oltretutto nel nuovo mercato elettrico il peso reputazionale degli storici brand europei è molto minore. Se devo comprare un’auto con motore a scoppio, il marchio Alfa Romeo o Bmw o Mercedes o qualsiasi altro brand europeo mi racconta una storia di eccellenza; se invece mi oriento verso un acquisto elettrico, tutti ripartono quasi da zero e il prezzo diventa determinante. Inoltre il low cost cinese, non solo in questo settore, non è più sinonimo di bassa qualità. Sia dal punto di vista stilistico sia da quello prestazionale e del comfort i prodotti cinesi non presentano più evidenti differenze.

Avete presente cosa è successo alcuni decenni fa con le auto giapponesi? La prima a fare le spese di questa situazione è probabilmente Tesla, che sta perdendo il suo vantaggio competitivo. Perde quote di mercato e gli azionisti scappano. Ma le pene di Tesla non sono una consolazione per gli altri produttori europei e americani.  Il mercato globale dell’auto nei suoi numeri complessivi rimane più o meno stabile nel mondo intorno agli 85 milioni di veicoli. L’auto elettrica ne rappresenta più o meno il 20 per cento ed è in crescita, ma se il 50 per cento e rotti della crescita è coperta da produttori cinesi o da produttori europei e americani che però producono in Cina o montano batterie di fabbricazione cinese abbiamo un bel problema. Stiamo parlando di milioni e milioni di perdita di posti di lavoro e anche di una leadership tecnologica che ha costituito uno degli assi principali dello sviluppo industriale dell’occidente. Si evoca, lo ha fatto anche Ursula von der Leyen, il ricorso ai dazi. Ma l’argomento dei sussidi statali cinesi per giustificarli contro una concorrenza sleale  si è molto indebolito dopo le cifre enormi stanziate sia dagli Stati Uniti sia dall’Unione europea.  Inoltre  questo significa alzare i prezzi interni e giustificare eventuali ritorsioni nei confronti dell’export europeo. Insomma un bel rompicapo.

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