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come costruire un paese più attrattivo

Bonomi: “Implementare il Pnrr. Ora basta tentennamenti” 

Recessione, Bce, crescita, ottimismo. Parla il presidente di Confindustria, all’evento organizzato dal Foglio con Ey 
 

Con che occhi guarderemo al futuro dell’Italia? Ieri, a Roma, il Foglio e Ey hanno organizzato una mattinata di riflessione attorno a un tema preciso: come costruire un paese più attrattivo. Nel corso della mattinata è intervenuto anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Questo è un estratto del testo del suo intervento.

     


   

“Sono impegnato in queste giornate in una missione negli Stati Uniti dove stiamo aprendo una nuova sede di Confindustria nell’ambito di un progetto che ha visto già delle aperture di nuove sedi a Singapore e Kyiv. L’idea che sta alla base di queste nuove aperture si collega moltissimo ai temi trattati da voi oggi, temi che riguardano lo stato dell’arte e il futuro del sistema produttivo italiano e la sua capacità di resistere agli choc.

Usciamo da anni di crisi praticamente permanente: siamo passati da una pandemia mondiale a una guerra dentro l’Europa. La guerra in Ucraina è un fatto storico epocale che sta segnando le nostre vite e quelle delle nostre imprese e non solo per i riflessi economici che ha avuto. Il gas in Europa ad agosto del 2022 ha fatto registrare un più 1.709 per cento rispetto a fine 2019. Una percentuale sconcertante, anche se momentanea, che dà l’idea del fenomeno. Le ripercussioni sul nostro manifatturiero sono state pesantissime: un costo per le imprese italiane di circa 80 miliardi ma non solo. Mi riferisco anche agli sconvolgimenti sugli effetti geopolitici che questa guerra sta causando e che non possono non condizionare un paese esportatore come il nostro. E questa è una guerra vicina di cui conosciamo il volto: ce ne sono altre di cui si parla meno ma che non ci riguardano meno. Il Sudan, la Tunisia o ancora la guerra di nervi tra superpotenze cinese e americana. Pensiamo che siano cose lontane, invece impattano sulle nostre imprese. 

Nonostante tutto questo, l’Italia per il 2022 ha fatto segnare un record assoluto di export: più 9,4 per cento annuo, 600 miliardi di valore. E non solo: il nostro Centro studi, nel rapporto “Esportare la Dolce Vita” sui beni di lusso italiani, certifica che ci sono 100 miliardi di potenziale che possiamo sfruttare nel breve in alcuni mercati come gli Stati Uniti e soprattutto in alcuni paesi asiatici. L’export spiega bene la grande resilienza mostrata dall’industria italiana nell’annus horribilis sul fronte dei costi che è stato il 2022. Le imprese hanno retto il colpo ma non è solo dell’export il merito: io credo che riguardi anche la peculiare organizzazione su filiere e catene del valore della nostra industria manifatturiera. Stiamo assistendo infatti a un fenomeno, ancora solo in parte, ma su cui verrà la pena di investire e riflettere: quello dell’accorciamento e rafforzamento delle filiere. Stiamo lavorando molto su questo anche con il nostro Centro studi.

Ma tornando all’oggi, alla congiuntura, segnali di sofferenza cominciano a farsi sentire anche sulla nostra economia. Ora ci aspetta un anno di crescita, ma modesta. Una crescita, lo sappiamo, anche superiore alle attese ma con variabili di incertezza che non ci devono far stare tranquilli. Non possiamo sentirci al sicuro soprattutto considerati i rischi che abbiamo visto all’orizzonte: c’è grande preoccupazione per questa corsa al rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali. Le politiche di contenimento dell’inflazione le comprendiamo ma non si può rischiare di uccidere il paziente per un accanimento terapeutico. Il rischio è la recessione e non solo tecnica: stiamo assistendo già a un arretramento dell’economia tedesca legata a noi a doppio filo, vediamo che la produzione industriale vive una frenata che ci preoccupa. Insomma un’eccessiva stretta della Bce potrebbe far peggiorare ulteriormente il quadro. E’ quindi un quadro incerto, dove fare previsioni è molto complesso. Noi abbiamo fiducia nelle imprese italiane ma non ce la possiamo fare da soli: dobbiamo lavorare sul fronte della spinta agli investimenti, senz’altro. Serve uno scatto di reni che deve venire proprio dalla messa a terra di una politica industriale coerente che non disperda risorse. Abbiamo anche la straordinaria leva del Piano nazionale di ripresa e resilienza, e non solo: dobbiamo mettere in campo un grande piano di investimenti per la transizione 5.0 se vogliamo restare competitivi nei confronti dei due grandi poli, Stati Uniti e Cina, che hanno lanciato una sfida globale. Noi e l’Europa dobbiamo stanziare fondi importanti per stimolare le imprese. Sul Piano nazionale di ripresa e resilienza arrivati a questo punto occorrono operazioni verità: è il momento di guardare avanti e non indietro perché in gioco c’è la reputazione del paese in Europa e non solo. Stiamo indebitando le prossime generazioni: non ha senso farlo per progetti che non contribuiscono alla crescita. Senza pensare all’obiettivo finale che sono le riforme di cui non si parla proprio più. Noi abbiamo fatto diversi richiami e proposte e riteniamo che i fondi debbano andare a progetti in grado di generare investimenti e crescita; andare alle imprese che sono in grado di metterle a terra nella direzione appunto della crescita. E’ in corso una trattativa del nostro governo con l’Europa che sosteniamo nella direzione di una maggiore flessibilità, ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte: il Piano nazionale di ripresa e resilienza va implementato senza tentennamenti nel modo giusto nei prossimi giorni, non nei prossimi mesi. Siamo ottimisti e convinti che possiamo riuscirci. L’ottimismo è la cifra dell’imprenditore e le imprese vogliono ogni giorno contribuire alla crescita e alla creazione di ricchezza. Siamo a disposizione. Con questo messaggio di speranza e ossessione per il futuro vi saluto, vi ringrazio e vi auguro buon lavoro”.

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