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Spinte e freni

La crescita è buona, ma Confindustria vede nubi all'orizzonte

Mariarosaria Marchesano

Il centro studi dell'organizzazione degli industriali prevede un rallentamento del pil nel secondo trimestre: manifattura e costruzioni ostacolano il contributo positivo offerto dai servizi. I vari settori dell’economia italiana non marciano con lo stesso ritmo: ecco perché

L’entusiasmo per la crescita dell’Italia nel primo trimestre di quest’anno (più 0,6 per cento, superiore a Francia, Germania e persino agli Stati Uniti) è destinata a durare poco. Il centro studi di Confindustria prevede che il pil potrebbe rallentare nel secondo trimestre perché, in sostanza, manifattura e costruzioni ostacolano il contributo positivo offerto dal settore dei servizi, che sta beneficiando ancora della domanda repressa delle famiglie dopo il Covid. Per il centro studi degli industriali, inoltre, il calo del prezzo del gas è una potente spinta positiva, ma i consumi restano frenati dall’inflazione, gli investimenti dal costo del credito e l’exportdal rallentamento mondiale. Insomma, si va verso un assestamento della crescita a causa di una serie di fattori, ma la sostanza è che i vari settori dell’economia non marciano con lo stesso ritmo: a fronte di un terziario che continua a essere solido industria e edilizia segnano il passo. Quali sono le ragioni?

 

Per quanto riguarda la produzione industriale, l’analisi di Confindustria spiega che questa è diminuita a marzo (-0,6 per cento) per il terzo mese consecutivo ed è riuscita a chiudere il trimestre di poco in negativo (-0,1 per cento) solo grazie alla buona eredità di dicembre. Ma lo scenario è in peggioramento: l’indice Pmi di aprile, infatti, è bruscamente crollato (a 46,8 da 51,1) e a maggio la fiducia delle imprese è di nuovo calata: meno ordini, più basse attese sulla produzione e la domanda estera non tira più: l’export italiano di beni si è fermato, in media, nel primo trimestre 2023.

 

Sul fronte delle costruzioni, per comprendere la portata del suo rallentamento e l’effetto sulle previsioni di crescita del pil bisogna ripescare l’audizione di qualche giorno fa dei direttori generali del Tesoro e delle Finanze, rispettivamente Riccardo Barbieri e Giovanni Spalletta, e del Ragioniere generale dello stato, Biagio Mazzotta, in cui si vede come a fronte di un impegno di grandi proporzioni di risorse pubbliche (93 miliardi per il superbonus e 21 miliardi per il bonus facciate, spesa lorda stimata dal Mef) il beneficio per l’economia sia stato modesto. Concetto, questo, sottolineato anche dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, quando dice che la spinta al pil c’è stata negli anni passati ma i costi del credito d’imposta sono stati pure molto ingenti. A ogni modo, l’aspetto più rilevante dell’analisi del dipartimento del Tesoro sta nella stima di forte rallentamento prevista per quest’anno dell’impatto macroeconomico del Superbonus. Tale impatto, infatti, stimato a più 0,9 per cento nel 2023 se paragonato all’anno in cui sono stati varati gli incentivi (il 2020) ma è di meno 1 per cento se messo a confronto con l’incremento percentuale dello scorso anno: più 1,9 per cento, come effetto cumulo degli impatti positivi sul pil del 2021 (più 1,2 per cento) e del 2022 (più 0,7 per cento). In pratica, nel 2023 l’effetto del Superbonus è negativo di 1 punto di pil sul tasso di crescita.

 

A prescindere dal fatto che poco meno della metà della spesa in edilizia ha attivato interventi aggiuntivi e più della metà ha messo in moto ristrutturazioni che sarebbero state comunque realizzate, l’analisi del dipartimento del Tesoro spiega che lo sfasamento temporale nelle decisioni di spesa delle famiglie potrebbe essere alla base del minor impatto economico delle agevolazioni per l’edilizia abitativa. “In pratica – dice il dipartimento del Tesoro – le famiglie potrebbero aver anticipato delle spese previste per gli anni successivi per fruire degli incentivi, il che avrebbe comportato una riallocazione temporale degli investimenti a favore degli anni di vigenza dei bonus ma a scapito degli altri anni”. È possibile, inoltre, che le famiglie abbiano preferito intraprendere investimenti agevolati così da beneficiare dei bonus, rimandando altri investimenti residenziali non incentivati. “Su tale tendenza potrebbero anche avere inciso i significativi rialzi dei prezzi dei materiali da costruzione. In tal senso le stime presentate rappresentano un limite superiore dell’impatto macroeconomico delle due agevolazioni”. Comunque sia, il risultato è di una spinta (insieme con una produzione industriale diventata più fiacca) in senso contrario alla crescita del paese che il sia pur vivace settore dei servizi da solo non riesce più di tanto a trainare.

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