un sistema troppo rigido
Perché il carrello della spesa mostra un'inflazione ancora preoccupante
Il rialzo dei prezzi nei prodotti sui beni primari alimentari è anti egualitaria ed è cinque punti sopra il livello generale, ma dal mercato del lavoro arrivano buone notizie
Purtroppo chi aveva previsto che l’inflazione fosse salita in ascensore e invece in discesa preferisse usare le scale sta avendo ragione. I dati diffusi venerdì scorso dall’Istat sui prezzi al consumo ci hanno raccontato che per i beni da supermercato, quelli che ci siamo abituati a chiamare “carrello della spesa”, l’aumento resta stabile: addirittura al 12,7 per cento, cinque punti sopra il livello dell’inflazione generale. Ma secondo una rilevazione Nielsen riportata dal Sole 24 Ore, “i prezzi allo scaffale negli ultimi 12 mesi vedono un aumento del 16 per cento e per il momento non si colgono segni di rallentamento”.
Un bel guaio i cui effetti con tutta evidenza non sono solo statistici ma da un versante mette in ulteriore difficoltà le già precarie relazioni tra industria e grande distribuzione e dall’altro ha ricadute sulla gestione del (calante) potere d’acquisto delle retribuzioni. Infatti nessuno sa rispondere con certezza alla domanda sui tempi di discesa dell’inflazione del carrello. C’è chi dice l’estate piena e chi addirittura indica la fine del 2023. Ma per i motivi di cui sopra non ce lo possiamo permettere, il fuoco sta covando sotto la cenere. E la contrazione dei consumi che colpisce i prodotti-base della dieta mediterranea indica che a comprare di meno sono le famiglie a più basso reddito e, infatti, un’ulteriore riprova viene dalle carni di pollo che vanno in controtendenza e fanno segnare un considerevole incremento delle vendite.
La fenomenologia degli aumenti di prezzo del carrello è semplice: se in una primissima fase di salita dell’inflazione la filiera industria-distribuzione era riuscita a contenere e assorbire la tendenza, successivamente si è generato un movimento che si potrebbe catalogare sub specie “liberi tutti”. I listini dell’industria sono stati aggiornati e i supermercati hanno traslato quasi tutto l’incremento sul consumatore finale. Risultato: i fatturati della grande distribuzione sono saliti ma la marginalità ovviamente non ha seguìto lo stesso itinerario (anzi) e molte catene stanno accusando il colpo fino a chiudere numerosi punti vendita.
Secondo Mario Sassi, esperto della grande distribuzione (gdo) e blogger di successo, tutto ciò avviene anche per la rigidità dei meccanismi di governo dei prezzi. “Le diverse componenti della filiera si siedono attorno al tavolo con cadenza annuale o al massimo semestrale e le decisioni che prendono diventano vincolanti per un periodo troppo lungo rispetto alle oscillazioni dell’inflazione e soprattutto alla necessità di farla scendere con sufficiente velocità. Una volta alzati i listini il treno va e non si ferma”. Di questo passo ci vorranno mesi per rallentare il convoglio e da qui le pessimistiche previsioni di un carrello bollente ancora per tutto il 2023. Ma si può gestire una materia così delicata con modelli di funzionamento così rigidi? Sassi sostiene di no, le negoziazioni industria-gdo dovrebbero essere più ritmate e comunque il governo non può chiudere gli occhi su quanto sta accadendo. Potrebbe quantomeno prendere l’iniziativa e stimolare le parti a rivedere l’anacronistica governance dell’inflazione. Ma per ora il gabinetto Meloni sembra avere in testa un altro schema di priorità.
Se poi dalle modalità di gestione dei listini volessimo allargarci e capirne di più sul funzionamento della filiera agro-alimentare dovremmo misurarci con una mappa non facile da decifrare. Dipende molto dalle politiche di acquisto dell’energia e delle materie prime implementate dalle varie aziende. Chi ha comprato a prezzi altissimi lo stagno e si occupa di packaging tenderà a coprire la spesa fatta con politiche di prezzo più sostenute. Chi ha riempito i magazzini di prodotti legati alla stagionalità in un momento in cui il prezzo del gas era alle stelle si comporterà nella stessa maniera. È quello che Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche chiama “lag temporale” e ovviamente ci racconta anche di comportamenti assai differenti tra grandi aziende dotate di un energy manager, ad esempio, e Pmi più garibaldine e meno lungimiranti nelle politiche di approvvigionamento. Quindi dentro la filiera del food è difficile operare una reductio ad unum e poter dire con sicurezza che le aziende industriali manovrano con mano ferma i listini. Troviamo invece imprese che hanno saputo tenere una buona marginalità con aziende decisamente in perdita e magari prossime a passare di mano.
Due ultime considerazioni riguardano le politiche di concorrenza e i riflessi sociali del carrello rigido. Per ora tranne registrare che i discount se la passano meglio dei supermercati tradizionali c’è poco da aggiungere: alla fine del 2021 alcune insegne avevano lanciato il cuore oltre l’ostacolo comunicando ai clienti campagne “contro il carovita ma, vista la brusca virata a cui sono state costrette, prima di rimettere in onda lo stesso copione ci stanno pensando più di due volte. Rischierebbero di minare la credibilità – merce rara – nei confronti del consumatore. Se ci fosse però nelle prossime settimane un’ulteriore e vistosa contrazione della domanda potrebbero spuntare iniziative di “primo pezzo” lanciate per intercettare i clienti più scettici. Per ora specie nell’alimentare assistiamo a deviazioni di percorso, come quella già citata del boom del pollo, ovvero l’individuazione di prodotti meno pregiati e più a buon mercato. Il food al contrario della bolletta energetica consente questi shift.
Quanto al sociale è abbastanza evidente che l’inflazione dei prodotti food è anti egualitaria, colpisce soprattutto i ceti che stanno in basso nella piramide dei redditi e che soprattutto non hanno avuto la possibilità di accumulare extra-risparmio durante la pandemia (e quindi non hanno una riserva a cui attingere adesso). L’unico sollievo, sottolinea De Novellis, viene dal mercato del lavoro che presentandosi decisamente ricettivo permette a chi ha bisogno di lavorare di trovare un’occupazione, seppur mal remunerata, e quindi di sostenere per questa via i bilanci famigliari e di limitare la contrazione dei consumi. Ma la polarizzazione sociale generata dall’inflazione merita un’indagine a sé visto che nei prossimi giorni di Pasqua leggeremo da tutte le località turistiche del paese di un flusso considerevole di italiani in gita e ci domanderemo ancora una volta come convive questa grande disponibilità a investire in mobilità & divertimento con i carrelli della spesa pieni solo fino a metà.