Il ministro delle Imprese Adolfo Urso (Ansa)

L'intervista

Sfidare i Nimby sulle materie prime si può: scavando. Parla Urso

Stefano Cingolani

Come produrre le materie prime in casa, come chiede l’Ue? "Occorre considerare l’intero processo produttivo", dice al Foglio il ministro delle Imprese e del Made in Italy

Potremmo chiamarla la rinascita delle miniere oppure, se suona meglio, la corsa alle materie prime critiche. Torna l’Europa della terra, non più l’Europa del carbone e del ferro, ma dei minerali rari. L’Italia deve e può partecipare partendo da una posizione tutt’altro che secondaria. E’ un passaggio chiave della transizione energetica, che richiede decisioni politiche, risorse finanziarie, organizzazione industriale, innovazione e consenso perché la riconversione ha costi e ricadute sia sociali sia ambientali. Per chi non segue con attenzione le vicende europee è una novità, ma Adolfo Urso ha messo già al lavoro il ministero delle Imprese e del Made in Italy. Non c’è tempo da perdere, il 2030 è vicino e “un futuro verde non è una danza o un sogno di mezza estate. Tutto si tiene – spiega al Foglio – Non basta guardare quel che esce da una ciminiera o dallo scappamento di un’auto, occorre considerare l’intero processo produttivo”. “Il mondo elettrico non comincia dal sole e dal vento, ma dalla terra, dai materiali fondamentali per costruire batterie e per immagazzinare l’energia prodotta con l’intera gamma delle fonti rinnovabili (nucleare compreso)”.

 

L’Unione europea ha presentato la bozza di un regolamento che dovrebbe essere varato entro tre mesi. L’obiettivo generale è ridurre la dipendenza da un singolo paese oltre il livello del 65 per cento. “Raggiungere l’autosufficienza sarebbe impossibile, ma dobbiamo evitare di passare dalla subalternità alla Russia alla sudditanza, ben peggiore, dalla Cina. Condivido completamente quel che ha detto Josep Borrell Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea”, sottolinea Urso. Occorre diversificare le fonti di approvvigionamento e produrre in casa entro il 2030 in media il 10 per cento, ciò vuol dire che qualche paese farà più di altri a seconda delle materie prime che può estrarre. Il ministro ha aperto un primo tavolo insieme a Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente, il 28 febbraio, e ne apre un secondo “per prendere da subito le decisioni necessarie”. Il tempo stringe e gli obiettivi sono estremamente ambiziosi. La quota del 10 per cento si riferisce non al fabbisogno attuale, ma a quello del 2030 che sarà almeno 4-5 volte superiore. Per il litio si arriverà addirittura a undici volte. “Abbiamo le carte per giocare una partita importante – insiste Urso – E occorre far capire a tutti le conseguenze sul sistema industriale e l’impatto complessivo delle scelte che occorre fare”. Insomma, le batterie nascono dalle miniere e, a meno di non metterci completamente nelle mani della Cina, dobbiamo tornare a scavare.

 

La prima mossa fondamentale è aggiornare la mappa che risale agli anni 70. Delle 34 materie prime critiche l’Italia ne possiede 15 e otto di esse sono estraibili in tre-quattro anni, forse meno perché nel frattempo le tecnologie hanno fatto un balzo in avanti. Si tratta di cobalto in Lazio e Piemonte; rame in Liguria, Toscana e nella fascia alpina; litio nell’alto Lazio; magnesio in Toscana; grafite in Piemonte e Calabria; nichel in Sardegna e nelle Alpi; tungsteno in Sardegna e nell’arco alpino; titanio metallico in Liguria. Qui possiamo vantare un record, perché sotto il suolo ligure c’è il più grande giacimento d’Europa, ma è stato inserito in un parco nazionale protetto. L’idea di accedervi, dunque, è quanto meno irrealistica.

 

L’estrazione è il primo dei quattro obiettivi specifici indicati dalla Commissione europea. Il secondo riguarda la produzione. Di qui a sette anni occorre lavorare in casa il 40 per cento delle materie prime critiche. Anche in questo caso la percentuale è calcolata sul fabbisogno futuro. Oggi la lavorazione avviene per lo più in Cina dove vengono esportate le materie prime che non ci sono o non sono sufficienti in territorio cinese. La ragione è semplice: è inquinante. Attenzione però, inquina ancor più se vengono utilizzati processi arretrati con basso impiego di tecnologie. In Europa l’impatto ambientale sarebbe certamente minore. Il quarto obiettivo riguarda proprio le tecnologie, anche in questo caso bisognerà dotarsi del 40 per cento di quelle necessarie, come pannelli solari, pale eoliche, microprocessori, e richiede significativi investimenti. La via maestra, sottolinea Urso, è utilizzare il Fondo europeo per gli investimenti strategici. Che cosa c’è di più strategico delle materie prime critiche? Su come finanziarlo si apre un capitolo parallelo, forse il più difficile, tra le (oggi scarse) risorse proprie della Ue e la possibilità di attingere al mercato emettendo eurobond ad hoc. La posizione italiana è che venga utilizzato anche per investimenti all’estero, dall’America latina ricchissima di materie prime critiche, all’Africa, dove la Cina è già presente e vuole ottenere una posizione dominante. Il quarto obiettivo riguarda lo smaltimento e il riciclo, a cominciare dalle stesse batterie, ma non solo. La percentuale da raggiungere è il 15 per cento entro il 2030. Qui l’Italia ha sviluppato capacità migliori di altri paesi europei e potrebbe avere un ruolo guida.

 

Gli obiettivi sono fissati, la mappa delle potenzialità è in via di definizione, ora si tratta di fare le leggi e stabilire i finanziamenti europei e nazionali, anche facendo ricorso a incentivi mirati. Occorre predisporre, insomma, il quadro normativo e le condizioni economiche che consentano alle imprese di operare. Quali imprese? Rinasce l’Egam, l’ente minerario soppresso nel 1978? “E’ troppo presto per discutere di questo”, spiega il ministro Urso. A preoccuparlo non sono i minatori, ma i Nimby, non è difficile prevedere che questa scelta strategica solleverà un polverone ecologista sotto lo slogan fatelo pure, ma non nel mio giardino di casa. E non sarà sufficiente dire che ce lo chiede l’Europa, né che è un passaggio indispensabile per la transizione ambientale. “Bisogna capire che nessuno può ritenersi al riparo e anche il proprio giardino finirà per inaridirsi, la battaglia dell’ambiente si combatte assumendo ciascuno le proprie responsabilità”, sottolinea Urso. “Ogni dossier è collegato, ci vuole un approccio totale, che abbracci insieme la politica energetica, ambientale, industriale e sociale”.

 

Il ministro parla di “una evoluzione non una rivoluzione” e un primo risultato di questa impostazione lo si è visto a proposito dei nuovi carburanti. Dal tutto elettrico si è arrivati a riconoscere la neutralità tecnologica, grazie alla opposizione dell’Italia che, così facendo, ha aperto la porta alla Germania per riportare in campo il motore endotermico oltre il 2035. I tedeschi poi hanno puntato sull’e-fuel il carburante sintetico ottenuto mescolando idrogeno e ammoniaca, con costi molto elevati (oggi circa dieci euro al litro) e alto impatto ambientale. Il biocarburante italiano è rimasto fuori, ma non del tutto. Se ne riparlerà nel 2026. Urso è ottimista e pragmatico. Chissà quali innovazioni ci saranno nei prossimi anni, questo è un campo dove comanda la tecnologia. “Intanto, abbiamo salvato la componentistica per il motore termico e l’intero automotive italiano che lavora soprattutto per le grandi imprese tedesche”. Una industria tradizionale continuerà a vivere e una industria antica come quella mineraria rivive in forme nuove. Anche per il progresso economico ci sono più cose in cielo e in terra di quante non contenga un’astratta filosofia.

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