Oltre Valditara

Compensi diversi tra sud e nord. La proposta della Caritas per riformare il Rdc

Luciano Capone

Il Rapporto 2023 dell'organizzazione religiosa mostra che un sussidio uguale penalizza i poveri del settentrione e favorisce i non-poveri del meridione. Servono soglie differenziate in base alle “diversità territoriali”

La polemica scaturita dalle dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sulla differenziazione territoriale degli stipendi degli insegnanti in base al costo della vita è già rientrata per l’immediata retromarcia dell’autore: “Non ho mai parlato di compensi diversi fra nord e sud”, ha detto il ministro dopo il polverone. È difficile capire se le affermazioni di chi è al governo siano da prendere sul serio, perché dietro c’è un’idea riformatrice, o siano semplici provocazioni.

 

Ma nel merito, la questione del differente costo della vita ha pienamente senso dal punto di vista economico. E, soprattutto, il governo dovrebbe estenderlo ad altri ambiti come la riforma del Reddito di cittadinanza, secondo quanto suggerisce la Caritas che la povertà la studia e l’affronta sul campo. Come ha ricordato sul Foglio Guglielmo Barone, “non conta il valore nominale del denaro, ma la quantità di beni che quel denaro permette di acquistare che, a sua volta, dipende dal livello dei prezzi”. E ciò vuol dire che è proprio quando i salari nominali sono uguali, come nella situazione attuale, che il reddito reale delle famiglie è differenziato territorialmente. E soprattutto tra nord e sud.

 

Questo divario, che nel Mezzogiorno può valere un 16-17 per cento in più per il livello dei prezzi più basso, comporta notevoli distorsioni nei programmi di assistenza come il Reddito di cittadinanza (Rdc). Lo evidenzia bene, come dicevamo, la Caritas nel suo recente Rapporto 2023 sulle politiche di contrasto alla povertà in Italia dal titolo “Adeguate ai tempi e ai bisogni”. Lo studio, che certifica l’impatto positivo del Rdc su povertà e disuguaglianza, analizza però le storture genetiche della misura che impediscono di raggiungere i poveri. Da un lato la quota di famiglie povere che riceve il Rdc varia dal 39% al 50% (a seconda delle stime), dall’altro lato vi è anche un’elevata quota di famiglie non povere che percepiscono il Rdc che varia dal 36% al 51%.

 

Una delle principali ragioni – insieme alla scala d’equivalenza che favorisce i single a scapito delle famiglie numerose e ai limiti agli anni di residenza in Italia che penalizzano gli stranieri – è secondo la Caritas proprio il diverso livello dei prezzi sul territorio nazionale che comporta soglie differenziate di povertà. “Al Sud, dove i prezzi sono inferiori al Nord – scrive la Caritas – vi possono essere famiglie che non sono povere perché la loro spesa si confronta con una bassa linea di povertà, ma che hanno diritto al Rdc perché hanno un reddito familiare inferiore alla soglia di reddito fissata per il Rdc, che è unica a livello nazionale. Il contrario avviene al Nord”. Ciò vuol dire, detto in termini più semplici, che il Rdc non va a molte famiglie del nord che sono povere mentre va a molte famiglie del sud che non sono povere.

 

C’è un dato, fornito dalla Caritas, che è molto indicativo. Nel 2021 il numero di nuclei familiari in povertà assoluta è simile tra settentrione e meridione: 835 mila nel nord e 826 mila nel sud. Ma la ripartizione geografica delle famiglie che ricevono il Rdc è molto diversa: 232 mila al nord e 756 mila al sud. “Sono così penalizzate le famiglie povere residenti al centro nord – scrive Massimo Baldini, dell’Università di Modena e Reggio Emilia, nel rapporto della Caritas – che a parità di tenore di vita hanno una maggior probabilità di essere escluse dalla misura e, se ammesse, ricevono un trasferimento minore”. Ne consegue che le famiglie del Mezzogiorno sono il 42% di quelle in povertà, ma rappresentano il 65% di quelle che percepiscono il Rdc. All’opposto, le famiglie del nord sono il 43% di quelle povere ma rappresentano appena il 20% di quelle beneficiarie di Rdc.

 

Questa distorsione redistributiva comporta anche conseguenze sui comportamenti individuali, perché trasferimenti relativamente più alti nelle zone più povere del paese tendono a ridurre la mobilità dei lavoratori e a disincentivare il lavoro (che, almeno nel settore privato, tende a essere più in linea con la produttività e il costo della vita). Pertanto, per migliorare il Rdc la Caritas suggerisce di tenere conto delle differenze del costo della vita fissando una soglia base unica a livello nazionale a cui aggiungere importi variabili non solo tra macro aree geografiche (nord e sud) ma anche al loro interno (città e piccoli comuni).

 

Si tratta di una proposta che si ispira al pensiero di don Milani, secondo cui: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”. Non a caso, sottolinea il responsabile scientifico del rapporto della Caritas Cristiano Gori, “ogni 100 famiglie in povertà assoluta presenti nelle diverse aree del paese, nel Nord ricevono il Rdc 37, nel Centro 69 e nel Sud 95”. Siccome il governo dovrà ristrutturare il Rdc, presto si vedrà se intende fare riforme, come suggerisce la Caritas, oppure fare solo polemiche, come nel caso di Valditara.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali